FAVOLE DEL NOVECENTO «L’ANTAGONISTA ORA Č IL DISORIENTAMENTO»

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11/01/2021, ore 07:31

Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Lo cunto de li cunti», i fratelli Grimm, «Le mille e una notte», Collodi o Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile – apparentemente – struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio accurato e molto interessante, è andata alla scoperta di quelle che sono «Le nostre favole» (Gammarò Edizioni, 21 euro) selezionando «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana » che hanno approcciato il favolistico. «Il libro – premette la prof.ssa Boroni – si propone di far rivivere la favola e la fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra, Camilleri (tanto per citarne alcuni, ma sono una cinquantina quelli trattati nel libro), tutti pezzi da “novanta” della letteratura contemporanea italiana. I testi di questi insospettabili scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bambini della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte».

Intenti didattici e divulgativi a braccetto in questa antologia critica della favola?
«È nato come “Manuale per studenti di Scienze della formazione primaria” (per il mio insegnamento di Letteratura italiana contemporanea), ma i fruitori si sono aggiunti e stratificati. Un libro abbastanza unico nel suo genere. Un lavoro che presenta dubbi sul codice di valori che un insegnante può proporre, così come accade proprio per la favola moderna. Si è drasticamente esaurita la spinta educativa dei due secoli precedenti, che tanti nomi illustri e tante storie ci avevano regalato, con i loro happy end quasi scontati e con la loro solida morale da perseguire. Il Novecento, con annesso questo ventennio del nostro secolo, si presenta contraddittorio, in equilibrio tra una volontà distruttiva e un costante desiderio di rinascita. Alcuni autori hanno riservato ad essa uno spazio specifico, non certo di secondaria importanza, all’interno della loro produzione. Si sono definiti autori di favole e si sono dedicati alla favola per lo più con intenti di rinnovamento del genere, sentendo la necessità di uniformarsi alle esigenze e agli orientamenti culturali delle generazioni alle quali si rivolgono, che esigono libertà di approccio».

Dagli antichi greci a Rodari, com’è cambiato il mondo della favola?
«Se in passato, da Esopo a Fedro, le favole offrivano consigli di prudenza necessari per la vita quotidiana, per salvarsi dalla violenza, dalla frode, da una società crudele, la favola del ’900 ha perso il carattere “moralistico” e dedica il suo spazio a narrazioni nelle quali i protagonisti non impartiscono delle lezioni esemplari, ma raccontano semplicemente quel che accade. Spetta poi al lettore trarre le conseguenze. Le favole del ’900 ci forniscono una rappresentazione della società che si rispecchia nel disagio dell’uomo e dell’intellettuale. Fin dai tempi antichi, la struttura delle favole consisteva nel contrasto-dialogo tra personaggi, risolto nella prevalenza dell’uno sull’altro. Il protagonista di tante favole del Novecento, invece, spesso non ha un antagonista se non la società in cui vive, e se stesso in tutto il suo disorientamento. Se la peculiarità stilistica di Fedro è la brevitas, uno degli elementi caratteristici del sistema linguistico di Rodari (forse l’erede più “scapestrato” e interessante dei favolisti antichi), che gli deriva dalla sua formazione di giornalista e maestro, è la naturale inclinazione al racconto breve, cui si accompagna la personale tendenza alla narrativa del discorso letterario».


Le favole, la loro morale, ma anche i contenuti talvolta macabri, come agiscono sull’immaginario infantile?
«Streghe malvagie, orchi e matrigne, diavoli e maghi che per secoli hanno popolato l’immaginario di intere generazioni, sono tutti personaggi che custodiscono un patrimonio di risorse interpretative del reale difficilmente attingibile per altre vie. Se le fiabe sono state strumento educativo e formativo prezioso per strati sociali tenuti lontani Gianni Rodari è considerato l’erede più interessante dei favolisti antichi ANSA / DEGIOVANNI EDITORE dalla possibilità di fruire della cultura d’élite, allo stesso tempo hanno fornito un paradigma di riferimento per significati e valori magari oscuri, ma condivisi da un’intera comunità. Veri e propri luoghi di scambio simbolico, le fiabe e favole veicolano messaggi latenti, significati profondi, pensieri collettivi rimossi. La favola moderna è molto più articolata, non è un testo semplice per bambini, anzi essa richiede la comprensione di diversi livelli di significato, si presenta in una nuova veste, si adatta alla realtà espressiva, emozionale e comunicativa del mondo contemporaneo e vuole raccontare la vita dell’uomo “smarrito” nella sua complessità. Il nostro tempo non ha perduto il gusto della favola, ma vi ha inserito una più acuta carica critica e simbolica, con relative allusioni politiche e ricorsi alla satira».


Qual è la reale differenza fra fiaba e favola?
«I termini favola e fiaba derivano etimologicamente da una medesima voce verbale latina, fari, che significa parlare. Fanno capo, quindi, ad una stessa esigenza narrativa, il semplice raccontare. A questa comune origine si sovrappone l’interpretazione che considera la parola fabula come derivata da “faba”, ossia fava, il legume con il quale i romani si divertivano in un passatempo simile a quello dei dadi. Una situazione di svago che rimanda al piacere ricercato anche attraverso il racconto di fantasia. Spesso ai termini favola e fiaba viene attribuito il medesimo significato, ma corrispondono a due generi letterari ben distinti, con origini e sviluppi molto differenti (nel libro io racconto, differenziandole, la fiaba e la favola dalle origini ai giorni nostri). L’evoluzione linguistica dei due generi è simile, ma la caratteristica narrativa è molto diversa; se la favola è un componimento letterario ben strutturato, la fiaba non lo è, tanto che ha radici esclusivamente popolari e orali. Le fiabe sono per lo più racconti fantastici in cui è prevalente l’aspetto narrativo. L’ideale fiabesco si identifica con l’irreale, il magico, il meraviglioso». Perché la favolistica orientale sembra alonata di un fascino maggiore? Esotismo, misteri o altro? «Ci sono raccolte che diventano il punto d’arrivo della complessa favolistica orientale come i Jàtaka e il Panchatantra a cui tutti, dopo, hanno attinto. Soprattutto quest’ultimo, è un composito caleidoscopio dove appaiono animali eletti a simbolo dei diversi atteggiamenti umani. Animali vili o coraggiosi, sciocchi o saggi, fonti di consiglio in merito al vivere quotidiano. Il fascino continua con “Le mille e una notte”, una straordinaria raccolta di novelle orientali, di varia ambientazione sia storica che geografica e di differenti autori.Questa raccolta work in progress è arrivata in Occidente grazie ad Antoine Galland a fine Seicento. Tale mito planetario è stato il trait d’union tra Oriente e Occidente. Il mondo è ancora incantato da questo scrigno di magia orientale intramontabile; califfi, ombre, narghilè, pozioni magiche più note in Occidente che nel mondo arabo».


Gli animali parlanti delle fiabe sono una caricatura dell’uomo spesso più bestiale di loro?
«La favola ha i piedi per terra, nasce con l’uomo, quando questo “animale” vive in dimestichezza con le altre specie. “Che cosa son gli animali, se non le diverse immagini delle nostre virtù e dei nostri vizi, che Dio fa errare davanti al nostro sguardo, i fantasmi visibili delle anime nostre?” come afferma Victor Hugo. Le favole che compaiono nel mondo greco e nel mondo romano hanno come protagonisti gatti, cani, coccodrilli, piccoli serpenti e scarabei, si possono quindi difficilmente separare dalla tradizione egizia, dove questi animali rientrano nell’ambito del sacro e dell’inevitabilmente religioso. Ma diventano più avanti “caricature” dell’uomo. Soprattutto nelle favole contemporanee».

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