“Non voglio più vedere ciò che vidi” |
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15/02/2021, ore 15:47
| "TUTTO CIÒ che vidi e non voglio più vedere. Non voglio più vivere. Oggi sparo e uccido chi consegnerà le chiavi di Pola ai comunisti”. E’ il 10 febbraio del 1947, giorno della firma del trattato di pace, e Maria Pasquinelli (sotto, in una foto del 1946), maestra bergamasca poco più che trentenne, abbatte con tre colpi di pistola il generale inglese Robert De Winton, rappresentante del Governo Alleato. L’antica città romana di Pola si era mantenuta italiana al 98 per cento, tanto che era stata considerata zona A, come Trieste, e amministrata dagli inglesi. Avrebbe dovuto tornare all’Italia. Ma al dittatore comunista Tito faceva troppa gola e con lei tutta l’Istria in gran parte italiana. Era una terra ricca, produttiva. Bisognava eliminare la popolazione e sistemarci dei bravi jugoslavi. Così fece: chiamò gente povera dall’interno della Croazia e Slovenia, Bosnia, Erzegovina, Kosovo invitandoli a liberare quella terra razziando e uccidendo: “Buttate tutti nelle foibe. Prendetevi le loro vite, le loro case, le loro cose. Ora la nostra razza comanderà. Gli italiani devono crepare: ci hanno rubato le nostre terre”. Chi non morì, partì. A Pola rimase solo un centinaio di italiani. Maria non venne uccisa sul colpo, ma arrestata. A Trieste fu processata e condannata a morte, poi la sua pena fu commutata nell’ergastolo. Non chiese mai la grazia, ma l’ottenne dopo 18 anni di detenzione grazie all’intercessione della sorella al capo dello Stato. E’ morta a Bergamo alla soglia dei cent’anni. L’assassina era una pazza? Tutt’altro, era “soltanto un’italun’italiana”, come dirà al processo, profondamente delusa dalla sua patria, dal suo esercito, dai suoi politici: per due anni viaggiò tra Milano e Pola cercando di far capire la situazione al confine orientale italiano. Come sparivano gli italiani. A nessuno sembrava importare nulla. “Tutto ciò che vidi. Parla Maria Pasquinelli. 1943-1945 fosse comuni, foibe, mare. All’interno l’elenco dettagliato degli italiani istriani trucidati dai titini in Istria nel settembre-ottobre 1943” (Oltre edizioni) è stato scritto da due giornaliste di origine istriana Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti. Nel 2007 Maria Pasquinelli concede l’unica intervista della sua vita a Rosanna Turcinovich, che l’ascolta rapita per ore per capire fino a dove può condurre l’amore patrio e il senso di giustizia disatteso. Ne nascerà un primo libro: “La giustizia secondo Maria” (Del Bianco Editore). Quando sta per andarsene le lascia un biglietto vergato e firmato da lei: l’autorizza a richiedere al Vescovado di Trieste la consegna del baule che custodisce tutte le interviste che lei ha effettuato per due anni alle famiglie degli infoibati, le liste con i nomi e cognomi e il luogo della foiba dove sono stati gettati. Turcinovich entra in possesso del baule, depositato in una banca, solo qualche anno fa. Sono dettagliatissime cronache da giornalista di guerra. Nel 1942 Pasquinelli era andata ad insegnare a Spalato, che era stata annessa all’Italia nel Governatorato di Dalmazia. L’11 settembre del 1943 assiste alla resa delle nostre armi ai partigiani slavi che saccheggiano la città e fanno esecuzioni sommarie lungo la strada. Poi si organizzano: scavano fosse e ci mettono dentro i civili vivi, a cui sparano, così non devono trasportarli da morti. Vengono uccisi dei suoi colleghi insegnanti assieme al preside e al provveditore agli Studi. Poi arrivano i tedeschi da cui ottiene, pagando, di esumare 106 italiani fucilati. Ritorna in Italia, a Trieste apprende delle foibe in Istria e chiede un incontro a Junio Valerio Borghese che le dà il mandato per andare in Istria. I partigiani slavi hanno instaurato una strategia del terrore, scatenando in nome del nazionalismo slavo l’odio per gli italiani. Maria assiste a delle atrocità che la segnano profondamente. Un padre, ad esempio, vede estrarre dalla foiba le sue tre figlie. Scrivono le autrici: “In tempi recenti, storici croati hanno dichiarato pubblicamente che gli istriani e fiumani italiani non sono altro che croati opportunisti che avevano scelto la lingua e la cultura italiane per essere ammessi nelle stanze del potere”. Sì, me lo sono sentita dire anch’io in Croazia che i mei antenati erano croati, come mai allora scrivevano in latino e poi in italiano? E come si spiega che 350 mila abitanti dell’Istria e della Dalmazia, se erano croati, abbiano preferito abbandonare tutto e perfino morire soltanto perché si sentivano italiani?
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