“Il Treno da Mosca” (Oltre Edizioni, 2019) è l’ultimo romanzo di Maurizio Lo Re, che si inserisce, a parere di chi scrive, nel filone letterario che questo autore porta avanti pubblicando opere che hanno la Storia come scenario ove collocare, ambientare e far vivere gli intrecci dei personaggi. Narrare per grandi linee la trama di questa sua ultima opera ci sembra utile per comprendere la scelta letteraria che questo autore ha voluto fare per caratterizzare i propri romanzi. Ne “Il Treno da Mosca”, ambientato nella Italia della fine degli anni 70, primi anni 80, l’avvocato Lucio Manacorda trova, abbandonata sul sedile di un treno, un vecchia copia del romanzo “Lucien Leuwen” di Stendhal. Tra le pagine del vecchio libro vi è scritto un “libro parallelo”, ossia è scritta la drammatica esperienza di un ufficiale italiano, Lorenzo Stefani, che dopo la tragedia dell’8 Settembre 1943 è stato deportato in un campo di concentramento tedesco e qui ha scritto una sorta di sintetico diario (o se vogliamo di cahier de doléances) dove ha descritto la sua esperienza umana di militare sbandato sotto il tallone del regime nazista. Una esperienza che è stata comune ad una generazione di soldati italiani gettati allo sbaraglio in una guerra perduta in partenza a causa delle velleità di un regime totalitario, il fascismo, guidato da capi che non erano altro che avventurieri, superficiali e dilettanti di cose militari. Lucio Manacorda legge nelle pagine di questo improvvisato “diario di guerra” le vicende dell’autore, il quale ha conosciuto durante la detenzione Olga, una prigioniera sovietica da cui ha avuto una figlia, Irina. Una volta liberato, nel dopoguerra Lorenzo Stefani torna in patria e lascia all’amata Olga proprio il vecchio libro di Stendhal ove ha scritto il suo diario. Lucio Manacorda, forse per curiosità, forse per dare alla propria vita un senso che proceda parallelo al senso che ha dato alla sua vita di professionista, di cittadino, di padre e marito affettuoso, insomma di piccolo borghese ancorato al suo mondo fatto di certezze e di quotidianità abitudinaria (magari un tantino grigia), decide di rintracciare l’autore di questo diario di guerra. Ci riesce e da questi riceve l’invito o comunque la suggestione di andare in Unione Sovietica a rintracciare la figlia Irina. Manacorda così fa e riesce ad incontrare Irina, la quale gli propone addirittura di farla espatriare clandestinamente dall’Unione Sovietica e condurla in Italia. Non riveleremo ovviamente l’intreccio della trama ed il finale, che è bene che il lettore conosca da solo. Il romanzo può esser definito un misto tra il romanzo storico alla Walter Scott, ove la Storia fa da sfondo alla storie private dei personaggi e le atmosfere alla Graham Green. Un romanzo dove le vicende private dei protagonisti si snodano tra gli scenari paranoici della Guerra Fredda? Un libro di spionaggio, popolato da servizi segreti e personaggi ambigui? Un libro introspettivo, ove Lucio Manacorda si lancia in questa avventura tra Unione Sovietica e Italia per soddisfare il proprio desiderio di evasione e tuffarsi in una realtà dove l’avventura rappresenta per lui una sfida alle sicurezze di un vita in fondo programmata? Tutto questo è bene che lo decida il lettore. Maurizio Lo Re viene dalla carriera diplomatica, durante la quale ha anche prestato servizio quale Console in Corsica, Incaricato d’Affari a Cuba, Console Generale a Capodistria (ex Jugoslavia, ora Slovenia) e Ambasciatore a Riga, in Lettonia. Una volta cessato dal servizio, Lo Re si è dedicato agli studi storici ed alla narrativa, pubblicando i romanzi “La linea della memoria” nel 2002, “Filippo Paulucci – L’italiano che governò a Riga” nel 2006, “Gli amici di Leuwen” nel 2009, “Domani a Guadalajara” nel 2013 ed il saggio memorialistico “Inusuali vicende consolari” (Youcanprint, 2016). E’ interessante notare come il romanzo storico sia un genere che in Italia sembra che stia prendendo piede da qualche tempo a questa parte, interessando un numero sempre crescente di autori, i quali si confrontano con lo scenario della Storia quale immenso palcoscenico ove far muovere i loro protagonisti. Non più o non solo, quindi, il racconto di storie private, intime, introspettive (quelle che Francesco Rosi definiva con un pizzico di ironia “storie dove gli autori si guardano l’ombelico”) ma la consapevolezza che le vite private di tutti noi in un modo o nell’altro sono coinvolte ed influenzate dal contesto storico in cui si svolgono e non ne possono prescindere. Il che mi sembra un riconoscimento che vada ascritto anche ad autori come Maurizio Lo Re.
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