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Bulgakov ora riemerge
LA SICILIA di sabato 30 luglio 2016


di FRANCESCO MANNONI
Il maestro svelato. I "Diari" del grande scrittore e drammaturgo russo riemersero dalla Lubianka grazie a Vitalij Sentalinskij. "Un'impresa" quel ritrovamento narrata, in un saggio avvincente come un thriller, dalla professoressa Luciana Vagge Saccorotti, a sua volta studiosa dell'autore di "Il Mastro e Margherita",«un intellettuale che, pur sotto Stalin, diceva sempre ciò che pensava»

Bulgakov ora riemerge

«I suoi "Diari" erano anche una specie di laboratorio artistico e un tentativo di autoanalisi. Vi scrive della sua grande difficoltà a tirare avanti, della fame, ma parla anche di politica sporca e innaturale...»

«Scusi, non ci credo, non può essere, i manoscritti non bruciano», disse Woland, il diabolico protagonista di "Il Maestro e Margherita", quando il Maestro gli confessò di aver bruciato il suo romanzo. Ed aveva ragione. Anche i "Diari" per il cui sequestro Michail Bulgakov aveva sofferto tantissimo, quando gli furono restituiti dopo numerose e dolorose vicende, bruciò in preda alla disperazione. "Diari" una cui copia fatta dalla polizia riemerse dall'oblio grazie alla tenacia dello studioso russo Vitalij Sentalinskij, che ha scavato negli archivi della Lubjanka (e un libro, "I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del Kgb" Gar- zanti 1994, raccontò quell'eccezionale ritrovamento). Sentalinskij dal 14 al 1 8 settembre sarà in Italia ospite di Pordenonelegge, per raccontare del suo lavoro, ma nel frattempo la sua storia è narrata in un saggio avvincente come un thriller scritto dalla professoressa Luciana Vagge Saccorotti, studiosa di Bulgakov e dei popoli aborigeni artici e subartici: "Il maestro svelato. Bulgakov riemerge dalla Lubjanka" (Gammarò Edizioni, 174 pp. 18 euro). L'abbiamo intervistata. Perché i diari sono considerati tanto importanti? «Perché oltre a contenere le reazioni di Bulgakov a ciò che accadeva, erano anche una specie di laboratorio artistico e un tentativo di autoanalisi. Nei "Diari" scrive della sua grande difficoltà a tirare avanti, della fame, della richiesta allo zio, per sopravvivere, di farina, olio di girasole, patate. Descrive il gelo feroce patito in alloggi senza riscaldamento. Ma parla anche di politica sporca e innaturale. La sua è una testimonianza più unica che rara della situazione economica, politica e sociale di quegli anni a Mosca». Perché fu continuamente sorvegliato dalla polizia segreta? «Tutti gli intellettuali erano sorvegliati in quel periodo, ma riguardo al nostro scrittore ci fu un fatto che incuriosì i servizi segreti: avevano messo gli occhi su un trafiletto apparso su una rivista russo/berlinese nel quale un certo Bulgakov informava di avere l'intenzione di compilare un dizionario bibliografico degli scrittori russi contemporanei con i loro profili letterari, e perciò chiedeva a tutti gli scrittori russi, in tutte le città della Russia e all'estero, di inviargli materiale autobiografico. L'intento era chiaramente in contrasto con le direttive del potere, e diede l'avvio a una sorveglianza di molti anni sull'autore». Come mai Bulgakov non rinunciò mai alla sua indipendenza anche quando fu quasi in miseria? «Perché diceva sempre quello che pensava. Verso la fine della sua vita, cedette alle insistenze degli amici che gli suggerivano di scrivere qualcosa che fosse di gradimento al regime e scrisse la pièce "Batum", sulla gioventù di Stalin. Ma non riuscì a non esporre gli avvenimenti così com'erano stati nella realtà, e l'uscita dell'opera non fu mai autorizzata». È vero che fosse protetto da Stalin? «No. Il dittatore lo ammirava come drammaturgo, ma non gli ha mai concesso quello che Bulgakov chiedeva: la normale messa in scena delle sue opere, e un viaggio anche di pochi mesi all'estero. Non è stato nemmeno molto amato dai suoi contemporanei. Certi atteggiamenti eccessivamente eccentrici e il carattere a volte troppo impulsivo nascondevano, soprattutto agli occhi di chi non voleva vedere, le doti profonde del suo animo che imbarazzavano persino i suoi persecutori, come il senso dell'onore e della franchezza. Ed è stato forse il suo atteggiamento di assoluta sincerità verso il potere, del cui comportamento non faticava a dichiarare il suo totale dissenso, che ha fatto nascere in molti l'idea di una certa ben simulata complicità con le alte sfere. Ma non è così. E le drammatiche vicende intorno a "Batum" se non altro lo dimostrano».

IL ROMANZO
«Il maestro e Margherita» di Michail BuIgakov fu pubblicato in edizione originale nel 1966, ed è considerato come uno dei più grandi capolavori della letteratura russa del '900.11 romanzo-che parte dalle persecuzioni politiche subite da un drammaturgo nell'Urss contiene una satira acuta sull'immobile società sovietica.

[leggi l'articolo originale su nome]


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LA SICILIA - sabato 30 luglio 2016


di FRANCESCO MANNONI
Il maestro svelato. I "Diari" del grande scrittore e drammaturgo russo riemersero dalla Lubianka grazie a Vitalij Sentalinskij. "Un'impresa" quel ritrovamento narrata, in un saggio avvincente come un thriller, dalla professoressa Luciana Vagge Saccorotti, a sua volta studiosa dell'autore di "Il Mastro e Margherita",«un intellettuale che, pur sotto Stalin, diceva sempre ciò che pensava»

Bulgakov ora riemerge

«I suoi "Diari" erano anche una specie di laboratorio artistico e un tentativo di autoanalisi. Vi scrive della sua grande difficoltà a tirare avanti, della fame, ma parla anche di politica sporca e innaturale...»

«Scusi, non ci credo, non può essere, i manoscritti non bruciano», disse Woland, il diabolico protagonista di "Il Maestro e Margherita", quando il Maestro gli confessò di aver bruciato il suo romanzo. Ed aveva ragione. Anche i "Diari" per il cui sequestro Michail Bulgakov aveva sofferto tantissimo, quando gli furono restituiti dopo numerose e dolorose vicende, bruciò in preda alla disperazione. "Diari" una cui copia fatta dalla polizia riemerse dall'oblio grazie alla tenacia dello studioso russo Vitalij Sentalinskij, che ha scavato negli archivi della Lubjanka (e un libro, "I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del Kgb" Gar- zanti 1994, raccontò quell'eccezionale ritrovamento). Sentalinskij dal 14 al 1 8 settembre sarà in Italia ospite di Pordenonelegge, per raccontare del suo lavoro, ma nel frattempo la sua storia è narrata in un saggio avvincente come un thriller scritto dalla professoressa Luciana Vagge Saccorotti, studiosa di Bulgakov e dei popoli aborigeni artici e subartici: "Il maestro svelato. Bulgakov riemerge dalla Lubjanka" (Gammarò Edizioni, 174 pp. 18 euro). L'abbiamo intervistata. Perché i diari sono considerati tanto importanti? «Perché oltre a contenere le reazioni di Bulgakov a ciò che accadeva, erano anche una specie di laboratorio artistico e un tentativo di autoanalisi. Nei "Diari" scrive della sua grande difficoltà a tirare avanti, della fame, della richiesta allo zio, per sopravvivere, di farina, olio di girasole, patate. Descrive il gelo feroce patito in alloggi senza riscaldamento. Ma parla anche di politica sporca e innaturale. La sua è una testimonianza più unica che rara della situazione economica, politica e sociale di quegli anni a Mosca». Perché fu continuamente sorvegliato dalla polizia segreta? «Tutti gli intellettuali erano sorvegliati in quel periodo, ma riguardo al nostro scrittore ci fu un fatto che incuriosì i servizi segreti: avevano messo gli occhi su un trafiletto apparso su una rivista russo/berlinese nel quale un certo Bulgakov informava di avere l'intenzione di compilare un dizionario bibliografico degli scrittori russi contemporanei con i loro profili letterari, e perciò chiedeva a tutti gli scrittori russi, in tutte le città della Russia e all'estero, di inviargli materiale autobiografico. L'intento era chiaramente in contrasto con le direttive del potere, e diede l'avvio a una sorveglianza di molti anni sull'autore». Come mai Bulgakov non rinunciò mai alla sua indipendenza anche quando fu quasi in miseria? «Perché diceva sempre quello che pensava. Verso la fine della sua vita, cedette alle insistenze degli amici che gli suggerivano di scrivere qualcosa che fosse di gradimento al regime e scrisse la pièce "Batum", sulla gioventù di Stalin. Ma non riuscì a non esporre gli avvenimenti così com'erano stati nella realtà, e l'uscita dell'opera non fu mai autorizzata». È vero che fosse protetto da Stalin? «No. Il dittatore lo ammirava come drammaturgo, ma non gli ha mai concesso quello che Bulgakov chiedeva: la normale messa in scena delle sue opere, e un viaggio anche di pochi mesi all'estero. Non è stato nemmeno molto amato dai suoi contemporanei. Certi atteggiamenti eccessivamente eccentrici e il carattere a volte troppo impulsivo nascondevano, soprattutto agli occhi di chi non voleva vedere, le doti profonde del suo animo che imbarazzavano persino i suoi persecutori, come il senso dell'onore e della franchezza. Ed è stato forse il suo atteggiamento di assoluta sincerità verso il potere, del cui comportamento non faticava a dichiarare il suo totale dissenso, che ha fatto nascere in molti l'idea di una certa ben simulata complicità con le alte sfere. Ma non è così. E le drammatiche vicende intorno a "Batum" se non altro lo dimostrano».

IL ROMANZO
«Il maestro e Margherita» di Michail BuIgakov fu pubblicato in edizione originale nel 1966, ed è considerato come uno dei più grandi capolavori della letteratura russa del '900.11 romanzo-che parte dalle persecuzioni politiche subite da un drammaturgo nell'Urss contiene una satira acuta sull'immobile società sovietica.

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OGT newspaper
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02/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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