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Svelati i segreti del sito neolitico di Göbekli Tepe, il tempio piů antico del mondo
Exibart di mercoledě 20 maggio 2020
Un team di ricercatori israeliani dell'Universitŕ di Tel Aviv ha svelato i segreti architettonici del tempio piů antico del mondo: il Göbekli Tepe, in Turchia

di Gaia Redavid
Situato nel sud-est della Turchia, il sito neolitco di Göbekli Tepe , si compone di una complessa struttura di quasi 11.500 anni. Riconosciuto dagli studiosi il tempio più antico del mondo, il sito archeologico è stato negli ultimi 25 anni al centro di numerose ricerche da parte delle università di tutto il mondo. Ci eravamo già occupati del sito in occasione della sua apertura al pubblico, avvenuta proprio lo scorso anno.

La scoperta del Göbekli Tepe risale agli anni Sessanta ma il sito sembra essere stato dimenticato per poi essere riscoperto negli anni Novanta. Due archeologi dell’Università di Tel Aviv, il dottorando Gil Haklay e il suo supervisore, il porfessor Avi Gopher, hanno recentemente svelato i segreti di questo sito neolitico, evidenziandone l’intricato schema geometrico.

«Potrebbe essere sorprendente ma la progettazione architettonica ha iniziato a svilupparsi già 15mila anni fa», ha dichiarato proprio Haklay al Jerusalem Post: «All’inizio del Neolitico erano già in grado di pianificare e costruire con precisione progetti molto grandi e complessi». Evidenziando l’unicità del sito per dimensioni, per l’archeologo «In realtà abbiamo un altro esempio di costruzione su larga scala di questo periodo e si trova a Gerico, dove una grande torre è preservata in tutta la sua altezza con una scala interna, ma non è monumentale come Göbekli Tepe e richiedeva molto meno sforzo».

La struttura del Göbekli Tepe è composta da decine di colonne monolitiche alte da quattro a cinque metri disposte lungo almeno 20 anelli concentrici, che gli archeologi hanno chiamato “recinti”. I pilastri del sito sono decorati con elaborati rilievi raffiguranti animali tra cui gazzelle, giaguari, asini selvatici asiatici e pecore selvatiche. Queste decorazioni hanno portato gli studiosi a considerare il sito come un vero e proprio luogo di culto, dove i devoti, probabilmente appartenenti a comunità diverse, si sarebbero riuniti per eseguire rituali.

La struttura e le dimensioni del sito aiutano anche a far luce sulla vita di chi l’ha costruito e utilizzato. «Stiamo parlando di cacciatori-raccoglitori ma, allo stesso tempo, vediamo segni di una struttura sociale molto complessa», ha dichiarato Haklay, specificando che non è ancora chiaro quanto tempo è stato impiegato la costruzione del tempio. Potrebbero essere stati necessari secoli, se non di più, con il contributo, gli apporti e le stratificazioni di generazioni diverse.

La complessa struttura geometrica del Göbekli Tepe

Come spiegato in un articolo recentemente pubblicato dal Cambridge Archaeological Journal, i ricercatori israeliani sono riusciti a riportare alla luce il disegno geometrico che interessa i recinti. «Abbiamo scoperto che esiste un punto centrale in ciascun recinto, che abbiamo identificato non solo nei tre nell’area di scavo principale, ma anche in altri situati all’esterno di esso», ha raccontato Haklay. «Abbiamo anche scoperto che il centro di questi recinti si trovava sempre tra i due grandi pilastri centrali allineati con il lato anteriore. Questi pilastri presentavano anche una struttura antropomorfa e hanno una facciata frontale. In ogni recinto basato sui pilastri periferici circostanti è stato trovato un allineamento con il lato frontale stretto. Questa è stata la nostra prima osservazione: una regola di progettazione astratta».

In seguito, il team ha notato che il ruolo di quei punti centrali si estendeva oltre un singolo recinto, perché i tre punti centrali degli involucri B, C e D formavano un triangolo equilatero quasi perfetto.

Questa scoperta ha anche superato una precedente teoria comune tra i ricercatori secondo cui i recinti sono stati concepiti e costruiti in fasi non correlate. Infine, alla domanda relativa a come fosse stata possibile la costruzione di un monumento così complesso all’epoca, i due studiosi hanno spiegato che mentre centinaia di persone hanno contribuito alla costruzione di Göbekli Tepe, la pianificazione è stata probabilmente effettuata da una sola persona o da un piccolo gruppo.

«Per farlo, hanno dovuto concettualizzare strumenti di pianificazione architettonica come la formulazione di una pianta del pavimento, geometria di base e misure», ha concluso Haklay. Queste misurazioni non sono state standardizzate ma hanno permesso loro di costruire la forma esatta che avevano precedentemente pianificato.



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Exibart - mercoledě 20 maggio 2020
Un team di ricercatori israeliani dell'Universitŕ di Tel Aviv ha svelato i segreti architettonici del tempio piů antico del mondo: il Göbekli Tepe, in Turchia

di Gaia Redavid
Situato nel sud-est della Turchia, il sito neolitco di Göbekli Tepe , si compone di una complessa struttura di quasi 11.500 anni. Riconosciuto dagli studiosi il tempio più antico del mondo, il sito archeologico è stato negli ultimi 25 anni al centro di numerose ricerche da parte delle università di tutto il mondo. Ci eravamo già occupati del sito in occasione della sua apertura al pubblico, avvenuta proprio lo scorso anno.

La scoperta del Göbekli Tepe risale agli anni Sessanta ma il sito sembra essere stato dimenticato per poi essere riscoperto negli anni Novanta. Due archeologi dell’Università di Tel Aviv, il dottorando Gil Haklay e il suo supervisore, il porfessor Avi Gopher, hanno recentemente svelato i segreti di questo sito neolitico, evidenziandone l’intricato schema geometrico.

«Potrebbe essere sorprendente ma la progettazione architettonica ha iniziato a svilupparsi già 15mila anni fa», ha dichiarato proprio Haklay al Jerusalem Post: «All’inizio del Neolitico erano già in grado di pianificare e costruire con precisione progetti molto grandi e complessi». Evidenziando l’unicità del sito per dimensioni, per l’archeologo «In realtà abbiamo un altro esempio di costruzione su larga scala di questo periodo e si trova a Gerico, dove una grande torre è preservata in tutta la sua altezza con una scala interna, ma non è monumentale come Göbekli Tepe e richiedeva molto meno sforzo».

La struttura del Göbekli Tepe è composta da decine di colonne monolitiche alte da quattro a cinque metri disposte lungo almeno 20 anelli concentrici, che gli archeologi hanno chiamato “recinti”. I pilastri del sito sono decorati con elaborati rilievi raffiguranti animali tra cui gazzelle, giaguari, asini selvatici asiatici e pecore selvatiche. Queste decorazioni hanno portato gli studiosi a considerare il sito come un vero e proprio luogo di culto, dove i devoti, probabilmente appartenenti a comunità diverse, si sarebbero riuniti per eseguire rituali.

La struttura e le dimensioni del sito aiutano anche a far luce sulla vita di chi l’ha costruito e utilizzato. «Stiamo parlando di cacciatori-raccoglitori ma, allo stesso tempo, vediamo segni di una struttura sociale molto complessa», ha dichiarato Haklay, specificando che non è ancora chiaro quanto tempo è stato impiegato la costruzione del tempio. Potrebbero essere stati necessari secoli, se non di più, con il contributo, gli apporti e le stratificazioni di generazioni diverse.

La complessa struttura geometrica del Göbekli Tepe

Come spiegato in un articolo recentemente pubblicato dal Cambridge Archaeological Journal, i ricercatori israeliani sono riusciti a riportare alla luce il disegno geometrico che interessa i recinti. «Abbiamo scoperto che esiste un punto centrale in ciascun recinto, che abbiamo identificato non solo nei tre nell’area di scavo principale, ma anche in altri situati all’esterno di esso», ha raccontato Haklay. «Abbiamo anche scoperto che il centro di questi recinti si trovava sempre tra i due grandi pilastri centrali allineati con il lato anteriore. Questi pilastri presentavano anche una struttura antropomorfa e hanno una facciata frontale. In ogni recinto basato sui pilastri periferici circostanti è stato trovato un allineamento con il lato frontale stretto. Questa è stata la nostra prima osservazione: una regola di progettazione astratta».

In seguito, il team ha notato che il ruolo di quei punti centrali si estendeva oltre un singolo recinto, perché i tre punti centrali degli involucri B, C e D formavano un triangolo equilatero quasi perfetto.

Questa scoperta ha anche superato una precedente teoria comune tra i ricercatori secondo cui i recinti sono stati concepiti e costruiti in fasi non correlate. Infine, alla domanda relativa a come fosse stata possibile la costruzione di un monumento così complesso all’epoca, i due studiosi hanno spiegato che mentre centinaia di persone hanno contribuito alla costruzione di Göbekli Tepe, la pianificazione è stata probabilmente effettuata da una sola persona o da un piccolo gruppo.

«Per farlo, hanno dovuto concettualizzare strumenti di pianificazione architettonica come la formulazione di una pianta del pavimento, geometria di base e misure», ha concluso Haklay. Queste misurazioni non sono state standardizzate ma hanno permesso loro di costruire la forma esatta che avevano precedentemente pianificato.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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