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'Il dio del male' di Biagio Proietti
SOLOLIBRI.NET di sabato 23 maggio 2020
Una donna commissario? Non una novitą dopotutto, ma in un giallo di quelli “giusti”. Il dio del male di Biagio Proietti č uscito a novembre 2019 per i tipi Oltre Edizioni (276 pagine).

di Felice Laudadio

Dov’è Anna?: ai giovani questo titolo non avrà granché da dire, ma gli stagionati ex telespettatori delle reti RAI monopoliste pre-apertura alle televisioni private riconosceranno uno dei più celebrati noir televisivi di sempre, trasmesso nel 1976; la fiction TV più seguita dal pubblico: 24 milioni ogni puntata, 28 per la settima e ultima. Allora non le chiamavano fiction, ma sceneggiati e per quello che ci interessa lo sceneggiatore è tutt’ora sulla breccia. È Biagio Proietti, oggi ottantenne, autore televisivo una cinquantina d’anni fa, che nell’ultimo decennio si è impegnato nella scrittura di polizieschi, con ottimi risultati, come conferma in questa nuova indagine di Daniela Brondi.
L’Italia si addice al giallo secondo Proietti, che si ispira ai grandi del poliziesco d’ogni tempo, da Dashiell Hammet a Raymond Chandler, e propone in prosa semplice personaggi scolpiti ma umani e situazioni convenzionali ma intriganti, prodotti di consumo, per quanto di alta qualità narrativa.

Come nello sceneggiato record (Dov’è Anna? fu il primo a presentare location italiane quando i nostri gialli venivano ambientati esclusivamente all’estero), le storie della commissaria romana non abbandonano i confini nazionali.
Daniela è una donna poliziotto, come si diceva una volta. Dopo il trasferimento da Mantova alla capitale, dirige la Sezione Omicidi della Squadra Mobile. Abita in un piccolo appartamento anonimo. Si trascura, trascinandosi da un giorno di servizio all’altro. Da quando è morto il mentore Salinari, le resta solo Ferli, la sua ombra, fedele, silenzioso, sempre disponibile sul lavoro e fuori. Stima il nuovo Capo, Cantini, bravo dirigente e uomo a modo che non potrà mai diventare però un vero amico.
Cantini si disimpegna abilmente nelle sabbie mobili della politica capitolina, come chi l’ha preceduto, l’ottimo Salinari. È bravo anche a riconoscere il valore delle persone e considera la Brondi un vero talento. È una funzionaria dai modi gentili, usa il tatto giusto e in più è una bella donna, ma soprattutto è fatta d’acciaio puro, non si ferma davanti a nessun ostacolo. Per questo il dottore non esita ad affidarle il caso che gli è stato caldeggiato nientemeno dal ministro in persona.

A sua volta, il responsabile del dicastero dell’Interno è intervenuto su pressione di un imprenditore farmaceutico, Franco Verzini, un sessantenne più tonico fisicamente che finanziariamente, ma che tanto ha fatto intenzionalmente per indebolire le casse dell’azienda, arricchendo invece i suoi conti riservati all’estero.
A sei giorni dal compleanno, ha ricevuto da un numero criptato la prima di una serie di telefonate anonime. Una voce maschile, decisamente sgradevole, gli ha annunciato la morte: “ti ucciderò, il 28 settembre, durante la festa nella tua villa”.
Non si può dire che le chiamate reiterate anche alla moglie e al figlio non lo abbiano turbato. Gli è calato addosso il gelo in una coda d’estate bollente, tanto più dopo l’incidente nell’ascensore, di cui la voce orribile si è detta responsabile. Un blackout ha bloccato Verzini insieme al guardiano nell’impianto elevatore della Farmaceutici Latina. Palazzina direzionale e stabilimento erano regolarmente illuminati e per parecchio tempo nessuno si sarebbe accorto della cabina chiusa senz’aria. Provvidenzialmente, è arrivato il segretario Raggi a forzare l’apertura e riportarli a respirare nel corridoio.

Incaricata dal Capo, Daniela raggiunge la villa di Verzini, lussuosa da far sembrare catapecchie le migliori. Lo trova lucido ma scosso. Un cerotto sulla nuca evidenzia il punto in cui è stato colpito alle spalle e lasciato cadere senza sensi nella piscina colma d’acqua. Qualcuno che stava amoreggiando nei pressi ha chiamato i soccorsi e la respirazione bocca a bocca praticata dal cognato medico lo ha riportato in vita. A quel punto è cominciata la sarabanda di telefonate che ha portato la commissaria in sua presenza.

L’imprenditore ricostruisce con calma gli avvenimenti, C’è stata anche una lettera anonima, a ricordargli d’essere odiato da tutti, ma è portato a pensare a una montatura. Nessun assassino può essere tanto teatrale.
Al suggerimento della Brondi di annullare la festa in programma il 28 settembre, risponde che gli inviti sono partiti, destinati a tante persone di prestigio, e non vuole perdere la faccia davanti tutti, platealmente.
Non resta che attivare una protezione discreta e cominciare a verificare la lista degli invitati, tra i quali un sottosegretario.
L’industriale Verzini, detto il Drago, il Dio del male, va protetto dai progetti di qualcuno che vuole il peggio per lui e lo sta pianificando metodicamente. Qualcuno che non gli è lontano, si direbbe, anzi, piuttosto vicino. Qualcuno della sua corte.
Ci sono tutte le premesse per un giallo avvincente, molto dinamico, come una intrigante fiction televisiva.



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Una donna commissario? Non una novitą dopotutto, ma in un giallo di quelli “giusti”. Il dio del male di Biagio Proietti č uscito a novembre 2019 per i tipi Oltre Edizioni (276 pagine).

di Felice Laudadio

Dov’è Anna?: ai giovani questo titolo non avrà granché da dire, ma gli stagionati ex telespettatori delle reti RAI monopoliste pre-apertura alle televisioni private riconosceranno uno dei più celebrati noir televisivi di sempre, trasmesso nel 1976; la fiction TV più seguita dal pubblico: 24 milioni ogni puntata, 28 per la settima e ultima. Allora non le chiamavano fiction, ma sceneggiati e per quello che ci interessa lo sceneggiatore è tutt’ora sulla breccia. È Biagio Proietti, oggi ottantenne, autore televisivo una cinquantina d’anni fa, che nell’ultimo decennio si è impegnato nella scrittura di polizieschi, con ottimi risultati, come conferma in questa nuova indagine di Daniela Brondi.
L’Italia si addice al giallo secondo Proietti, che si ispira ai grandi del poliziesco d’ogni tempo, da Dashiell Hammet a Raymond Chandler, e propone in prosa semplice personaggi scolpiti ma umani e situazioni convenzionali ma intriganti, prodotti di consumo, per quanto di alta qualità narrativa.

Come nello sceneggiato record (Dov’è Anna? fu il primo a presentare location italiane quando i nostri gialli venivano ambientati esclusivamente all’estero), le storie della commissaria romana non abbandonano i confini nazionali.
Daniela è una donna poliziotto, come si diceva una volta. Dopo il trasferimento da Mantova alla capitale, dirige la Sezione Omicidi della Squadra Mobile. Abita in un piccolo appartamento anonimo. Si trascura, trascinandosi da un giorno di servizio all’altro. Da quando è morto il mentore Salinari, le resta solo Ferli, la sua ombra, fedele, silenzioso, sempre disponibile sul lavoro e fuori. Stima il nuovo Capo, Cantini, bravo dirigente e uomo a modo che non potrà mai diventare però un vero amico.
Cantini si disimpegna abilmente nelle sabbie mobili della politica capitolina, come chi l’ha preceduto, l’ottimo Salinari. È bravo anche a riconoscere il valore delle persone e considera la Brondi un vero talento. È una funzionaria dai modi gentili, usa il tatto giusto e in più è una bella donna, ma soprattutto è fatta d’acciaio puro, non si ferma davanti a nessun ostacolo. Per questo il dottore non esita ad affidarle il caso che gli è stato caldeggiato nientemeno dal ministro in persona.

A sua volta, il responsabile del dicastero dell’Interno è intervenuto su pressione di un imprenditore farmaceutico, Franco Verzini, un sessantenne più tonico fisicamente che finanziariamente, ma che tanto ha fatto intenzionalmente per indebolire le casse dell’azienda, arricchendo invece i suoi conti riservati all’estero.
A sei giorni dal compleanno, ha ricevuto da un numero criptato la prima di una serie di telefonate anonime. Una voce maschile, decisamente sgradevole, gli ha annunciato la morte: “ti ucciderò, il 28 settembre, durante la festa nella tua villa”.
Non si può dire che le chiamate reiterate anche alla moglie e al figlio non lo abbiano turbato. Gli è calato addosso il gelo in una coda d’estate bollente, tanto più dopo l’incidente nell’ascensore, di cui la voce orribile si è detta responsabile. Un blackout ha bloccato Verzini insieme al guardiano nell’impianto elevatore della Farmaceutici Latina. Palazzina direzionale e stabilimento erano regolarmente illuminati e per parecchio tempo nessuno si sarebbe accorto della cabina chiusa senz’aria. Provvidenzialmente, è arrivato il segretario Raggi a forzare l’apertura e riportarli a respirare nel corridoio.

Incaricata dal Capo, Daniela raggiunge la villa di Verzini, lussuosa da far sembrare catapecchie le migliori. Lo trova lucido ma scosso. Un cerotto sulla nuca evidenzia il punto in cui è stato colpito alle spalle e lasciato cadere senza sensi nella piscina colma d’acqua. Qualcuno che stava amoreggiando nei pressi ha chiamato i soccorsi e la respirazione bocca a bocca praticata dal cognato medico lo ha riportato in vita. A quel punto è cominciata la sarabanda di telefonate che ha portato la commissaria in sua presenza.

L’imprenditore ricostruisce con calma gli avvenimenti, C’è stata anche una lettera anonima, a ricordargli d’essere odiato da tutti, ma è portato a pensare a una montatura. Nessun assassino può essere tanto teatrale.
Al suggerimento della Brondi di annullare la festa in programma il 28 settembre, risponde che gli inviti sono partiti, destinati a tante persone di prestigio, e non vuole perdere la faccia davanti tutti, platealmente.
Non resta che attivare una protezione discreta e cominciare a verificare la lista degli invitati, tra i quali un sottosegretario.
L’industriale Verzini, detto il Drago, il Dio del male, va protetto dai progetti di qualcuno che vuole il peggio per lui e lo sta pianificando metodicamente. Qualcuno che non gli è lontano, si direbbe, anzi, piuttosto vicino. Qualcuno della sua corte.
Ci sono tutte le premesse per un giallo avvincente, molto dinamico, come una intrigante fiction televisiva.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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