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Bruno Lauzi merita il capo cinto d’alloro
Iannozzi Giuseppe di sabato 20 giugno 2020


di Giuseppe Iannozzi
Bruno Lauzi (Asmara 1937 – Milano 2006) è una felice necessaria armonia nel panorama poetico contemporaneo. Oltre Edizioni pubblica “Ricomporre armonie. Poesie 1992 – 2006”, un volume che per la prima volta accoglie tutte le poesie di Bruno Lauzi.
Lauzi si è fatto conoscere dal grande pubblico come cantautore, e insieme a Gino Paoli, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Umberto Bindi, ha dato il La a un cantautorato diverso e moderno, quasi versato nella poesia. Bruno Lauzi, ne Il caso del pompelmo levigato (2005, Bompiani) e nella sua autobiografia Tanto domani mi sveglio (2006, Gammarò Edizioni) spiega che la madre, Laura Nahum, era di origine ebraica, una donna che si convertì al cattolicesimo sposando un cattolico, occultando in seguito le proprie origini per sfuggire alle leggi razziali fasciste, e di conseguenza, secondo la legge ebraica, lo era, non culturalmente ma etnicamente, anche lui. In Tanto domani mi sveglio, Lauzi ci tiene non poco a sottolineare che non è corretto parlare di una scuola genovese dei cantautori: “La cosiddetta ‘scuola genovese’ dei cantautori non esiste né è mai esistita. Una scuola prevede maestri e allievi, e nessuno di noi fece da maestro né fu allievo. Anzi, raramente si trovò un tale gruppo di vicini di casa più diversi tra loro: anche se tutti inconsciamente tesi, all’insaputa l’uno dell’altro, a dare una spallata alle belle certezze degli autori delle canzoni allora di moda, confondendo le idee che già erano poche e confuse, ai discografici.”
Bruno Lauzi cantautore fu elogiato da personaggi quali Ivano Fossati, Gabriel García Márquez e non solo.

Lauzi, grande appassionato di poesia e letteratura, oltre ai classici latini, ha letto, studiato e apprezzato una miriade di poeti, riuscendo anche ad amare due figure agli antipodi come Federico García Lorca ed Ezra Pound; affamato di bellezza, di musicalità, ha poi scoperto la bellezza poetica e musicale dei cantautori francesi, e come Fabrizio De André, anche lui si innamora di Georges Brassens e Jacques Brel.
Quand’era ancora in vita, Bruno Lauzi pubblicò quattro libri di poesia: “I mari interni” (Edizioni Crocetti, 1994), “Riapprodi” (Edizioni Rangoni, 1994), “Versi facili” (Edizioni marittime, 1999 – raccolta delle due precedenti opere), “Esercizi di sguardo” (Edizioni marittime, 2002); “Agli immobili cieli” (2010, Edizioni Associazione “Il dorso della balena”) fu pubblicato postumo nel 2010.
“Ricomporre armonie. Poesie 1992– 2006” (Oltre Edizioni, 2020) include “I mari interni” (1992 – 1994), Riapprodi (1994 – 1996), “Esercizi di sguardo” (2002), “Agli immobili cieli” (2002 – 2006), “I solitari”. In appendice abbiamo il piacere di riscoprire “Poesie contromano” (Milano, Edizioni marittime, 2003), ovvero i manoscritti della raccolta “Riapprodi”. Il volume è curato da Francesco De Nicola (1946), professore di Letteratura italiana dal 1994 al 2020 all’Università di Genova; dal 1974 svolge intensa attività di giornalista pubblicista e dal 2001 è Presidente del Comitato di Genova “Dante Alighieri”.
Nell’introduzione a “Ricomporre armonie”, Francesco De Nicola, giustamente, puntualizza: “Se dunque la poesia per Lauzi prescindeva dalla sua più nota attività musicale, era tuttavia inevitabile che ne risentisse la comune consuetudine alla ricerca della già ricordata armonia con il frequente ricorso alle rime, alle assonanze e alle consonanze e con un palese ordito musicale di fondo; e se, come involontaria eco della giovanile consuetudine a tradurre in endecasillabi i testi latini, rintracciamo soprattutto nei versi delle prime raccolte residui delle letture dai classici […]”. Bruno Lauzi ricompone armonie spezzate, ma la sua poesia è ben diversa dai suoi testi cantautorali. Che un cantautore potesse scrivere poesia non era un fatto che ieri potesse piacere ai critici letterari, e difatti l’attenzione che venne dedicata all’opera di Lauzi fu quasi del tutto assente. Forse per ignoranza, forse per poca memoria, non fu preso in considerazione che Lauzi ricevette, sin dalla più giovane età, una educazione improntata alla poesia; seppur dotato di notevole talento, Lauzi decise di pubblicare le sue liriche piuttosto tardi, quando la sua fama di cantautore era ormai ben consolidata e impossibile da scalfire.

Bruno Lauzi è un poeta raffinato, quasi sempre ironico, a tratti malinconico: descrivere i paesaggi e i passaggi che lo hanno visto giovane e poi uomo è ricostruire la geografia, è farla diventare metafora, specchio del suo sentire più profondo. Il poeta Lauzi è ben consapevole che la memoria si lega ai luoghi vissuti e amati, i quali diventano una vera e propria mappa interiore, una geografia dell’anima:

“Asperrima l’erta/ tra il finocchio di mare/ e il ligustro./ Presto lascia lo spazio/ a cielo aperto/ dopo un’ultima sosta/ in pieno sole/ e a una svolta s’inoltra/ nella continuità dell’ombra/ tra i muri d’una villa./ Di grado in grado/ balza/ tra schegge di lavagna,/ glicini e parietaria./ La mia Liguria è in aria/ serena e profumata,/ sposa segreta,/ umana.” (da “I mari interni”, pag. 49 – Ricomporre armonie, Bruno Lauzi, Oltre Edizioni, 2020)

Nonostante sia stato per lungo tempo lontano dalla sua terra, Lauzi non può fare a meno di raccontarla, nel tentativo, sicuramente molto riuscito di riappropriarsi delle sue proprie radici:

“Nave corsara in pietra di Liguria/ il promontorio/ sta prendendo il mare/ con questa villa,/ il suo giardino intiero/ e gli invitati nell’abito elegante/ bagnato dalla luna. […]” (da “Riapprodi”, pag. 79 – Ricomporre armonie, Bruno Lauzi, Oltre Edizioni, 2020)

Nella prefazione al prezioso volume delle poesie di Lauzi, Francesco De Nicola, giustamente, sottolinea: “Genova poi appare sempre più metafora di un luogo dell’anima segnato dal piacere di esserci vissuto negli anni decisivi dell’adolescenza […] e di formazione, simbolo indelebile della giovinezza e del mondo dei giovani nonostante la sua naturale indole al “mugugno” […]”.

“Agli immobili cieli”, silloge pubblicata dopo la dipartita di Lauzi, la poesia si fa più marcatamente amara:

“[…] Con i nervi spossati/ e i sentimenti nel posto più negletto affastellati/ bofonchia e siede/ sul bordo del suo letto,/ sconsolato:/ anche quest’oggi il cielo ha rifiutato/ di entrare nella stanza/ per posarsi/ sopra il suo dipinto […]”. (da “Agli immobili cieli”, pag. 147 – Ricomporre armonie, Bruno Lauzi, Oltre Edizioni, 2020)

I versi sono ancora pervasi di ironia, ma nel poeta è più che mai viva la consapevolezza che è difficile, forse impossibile, per gli uomini abitare in un cielo di Dei. Nel corso di una intervista rilasciata durante l’estate del 2001 al Quotidiano Meeting, Lauzi disse di essere “un ateo ebbro di Dio” e aggiunse: “Mia madre è ebrea, mio padre cattolico. Non frequento chiese da 50 anni, ma sono affascinato dal mistero della vita. Il problema è che se si usa uno sguardo semplice, è chiaro che tutto è un miracolo, anche la morte; fin quando non ci si abbandona nelle mani di questo Mistero, non si conoscerà mai la pace”.

Più di altri cantautori che in passato o in tempi più o meno recenti si sono messi alla prova con la poesia, Bruno Lauzi merita che il suo capo sia cinto d’alloro, e il perché è semplice, è nella sua indiscutibile vocazione poetica, è nei suoi versi sì pieni di armonie.


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Iannozzi Giuseppe - sabato 20 giugno 2020


di Giuseppe Iannozzi
Bruno Lauzi (Asmara 1937 – Milano 2006) è una felice necessaria armonia nel panorama poetico contemporaneo. Oltre Edizioni pubblica “Ricomporre armonie. Poesie 1992 – 2006”, un volume che per la prima volta accoglie tutte le poesie di Bruno Lauzi.
Lauzi si è fatto conoscere dal grande pubblico come cantautore, e insieme a Gino Paoli, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Umberto Bindi, ha dato il La a un cantautorato diverso e moderno, quasi versato nella poesia. Bruno Lauzi, ne Il caso del pompelmo levigato (2005, Bompiani) e nella sua autobiografia Tanto domani mi sveglio (2006, Gammarò Edizioni) spiega che la madre, Laura Nahum, era di origine ebraica, una donna che si convertì al cattolicesimo sposando un cattolico, occultando in seguito le proprie origini per sfuggire alle leggi razziali fasciste, e di conseguenza, secondo la legge ebraica, lo era, non culturalmente ma etnicamente, anche lui. In Tanto domani mi sveglio, Lauzi ci tiene non poco a sottolineare che non è corretto parlare di una scuola genovese dei cantautori: “La cosiddetta ‘scuola genovese’ dei cantautori non esiste né è mai esistita. Una scuola prevede maestri e allievi, e nessuno di noi fece da maestro né fu allievo. Anzi, raramente si trovò un tale gruppo di vicini di casa più diversi tra loro: anche se tutti inconsciamente tesi, all’insaputa l’uno dell’altro, a dare una spallata alle belle certezze degli autori delle canzoni allora di moda, confondendo le idee che già erano poche e confuse, ai discografici.”
Bruno Lauzi cantautore fu elogiato da personaggi quali Ivano Fossati, Gabriel García Márquez e non solo.

Lauzi, grande appassionato di poesia e letteratura, oltre ai classici latini, ha letto, studiato e apprezzato una miriade di poeti, riuscendo anche ad amare due figure agli antipodi come Federico García Lorca ed Ezra Pound; affamato di bellezza, di musicalità, ha poi scoperto la bellezza poetica e musicale dei cantautori francesi, e come Fabrizio De André, anche lui si innamora di Georges Brassens e Jacques Brel.
Quand’era ancora in vita, Bruno Lauzi pubblicò quattro libri di poesia: “I mari interni” (Edizioni Crocetti, 1994), “Riapprodi” (Edizioni Rangoni, 1994), “Versi facili” (Edizioni marittime, 1999 – raccolta delle due precedenti opere), “Esercizi di sguardo” (Edizioni marittime, 2002); “Agli immobili cieli” (2010, Edizioni Associazione “Il dorso della balena”) fu pubblicato postumo nel 2010.
“Ricomporre armonie. Poesie 1992– 2006” (Oltre Edizioni, 2020) include “I mari interni” (1992 – 1994), Riapprodi (1994 – 1996), “Esercizi di sguardo” (2002), “Agli immobili cieli” (2002 – 2006), “I solitari”. In appendice abbiamo il piacere di riscoprire “Poesie contromano” (Milano, Edizioni marittime, 2003), ovvero i manoscritti della raccolta “Riapprodi”. Il volume è curato da Francesco De Nicola (1946), professore di Letteratura italiana dal 1994 al 2020 all’Università di Genova; dal 1974 svolge intensa attività di giornalista pubblicista e dal 2001 è Presidente del Comitato di Genova “Dante Alighieri”.
Nell’introduzione a “Ricomporre armonie”, Francesco De Nicola, giustamente, puntualizza: “Se dunque la poesia per Lauzi prescindeva dalla sua più nota attività musicale, era tuttavia inevitabile che ne risentisse la comune consuetudine alla ricerca della già ricordata armonia con il frequente ricorso alle rime, alle assonanze e alle consonanze e con un palese ordito musicale di fondo; e se, come involontaria eco della giovanile consuetudine a tradurre in endecasillabi i testi latini, rintracciamo soprattutto nei versi delle prime raccolte residui delle letture dai classici […]”. Bruno Lauzi ricompone armonie spezzate, ma la sua poesia è ben diversa dai suoi testi cantautorali. Che un cantautore potesse scrivere poesia non era un fatto che ieri potesse piacere ai critici letterari, e difatti l’attenzione che venne dedicata all’opera di Lauzi fu quasi del tutto assente. Forse per ignoranza, forse per poca memoria, non fu preso in considerazione che Lauzi ricevette, sin dalla più giovane età, una educazione improntata alla poesia; seppur dotato di notevole talento, Lauzi decise di pubblicare le sue liriche piuttosto tardi, quando la sua fama di cantautore era ormai ben consolidata e impossibile da scalfire.

Bruno Lauzi è un poeta raffinato, quasi sempre ironico, a tratti malinconico: descrivere i paesaggi e i passaggi che lo hanno visto giovane e poi uomo è ricostruire la geografia, è farla diventare metafora, specchio del suo sentire più profondo. Il poeta Lauzi è ben consapevole che la memoria si lega ai luoghi vissuti e amati, i quali diventano una vera e propria mappa interiore, una geografia dell’anima:

“Asperrima l’erta/ tra il finocchio di mare/ e il ligustro./ Presto lascia lo spazio/ a cielo aperto/ dopo un’ultima sosta/ in pieno sole/ e a una svolta s’inoltra/ nella continuità dell’ombra/ tra i muri d’una villa./ Di grado in grado/ balza/ tra schegge di lavagna,/ glicini e parietaria./ La mia Liguria è in aria/ serena e profumata,/ sposa segreta,/ umana.” (da “I mari interni”, pag. 49 – Ricomporre armonie, Bruno Lauzi, Oltre Edizioni, 2020)

Nonostante sia stato per lungo tempo lontano dalla sua terra, Lauzi non può fare a meno di raccontarla, nel tentativo, sicuramente molto riuscito di riappropriarsi delle sue proprie radici:

“Nave corsara in pietra di Liguria/ il promontorio/ sta prendendo il mare/ con questa villa,/ il suo giardino intiero/ e gli invitati nell’abito elegante/ bagnato dalla luna. […]” (da “Riapprodi”, pag. 79 – Ricomporre armonie, Bruno Lauzi, Oltre Edizioni, 2020)

Nella prefazione al prezioso volume delle poesie di Lauzi, Francesco De Nicola, giustamente, sottolinea: “Genova poi appare sempre più metafora di un luogo dell’anima segnato dal piacere di esserci vissuto negli anni decisivi dell’adolescenza […] e di formazione, simbolo indelebile della giovinezza e del mondo dei giovani nonostante la sua naturale indole al “mugugno” […]”.

“Agli immobili cieli”, silloge pubblicata dopo la dipartita di Lauzi, la poesia si fa più marcatamente amara:

“[…] Con i nervi spossati/ e i sentimenti nel posto più negletto affastellati/ bofonchia e siede/ sul bordo del suo letto,/ sconsolato:/ anche quest’oggi il cielo ha rifiutato/ di entrare nella stanza/ per posarsi/ sopra il suo dipinto […]”. (da “Agli immobili cieli”, pag. 147 – Ricomporre armonie, Bruno Lauzi, Oltre Edizioni, 2020)

I versi sono ancora pervasi di ironia, ma nel poeta è più che mai viva la consapevolezza che è difficile, forse impossibile, per gli uomini abitare in un cielo di Dei. Nel corso di una intervista rilasciata durante l’estate del 2001 al Quotidiano Meeting, Lauzi disse di essere “un ateo ebbro di Dio” e aggiunse: “Mia madre è ebrea, mio padre cattolico. Non frequento chiese da 50 anni, ma sono affascinato dal mistero della vita. Il problema è che se si usa uno sguardo semplice, è chiaro che tutto è un miracolo, anche la morte; fin quando non ci si abbandona nelle mani di questo Mistero, non si conoscerà mai la pace”.

Più di altri cantautori che in passato o in tempi più o meno recenti si sono messi alla prova con la poesia, Bruno Lauzi merita che il suo capo sia cinto d’alloro, e il perché è semplice, è nella sua indiscutibile vocazione poetica, è nei suoi versi sì pieni di armonie.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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