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UN LIBRO IN “SUGO” GENOVESE, OVVERO UNICO E BIZZARRO
Fenice Bookstore di giovedģ 27 febbraio 2020
Parliamo di “Paolo Fregoso, genovese”, edito da Gammarņ e in vendita su Fenicebookstore

di Benedetta de Vito
La famiglia mi lega a doppio nodo al Nordest e quindi doge, per me, fin da bambina, era quello che, a bordo del dorato Bucintoro, sposava con l’anello il mare, ed era sempre al centro di intrighi e potere e portava i cognomi solenni delle famiglie veneziane: Foscari, Loredan, Contarini, Manin! E quindi, che gran divertimento e gusto ritrovar le stesse storie dogali, tutte sangue e rose, sul ricamo occidentale dell’Italia, nella “superba” Genova, che, a dire il vero, non ho veduta mai! Leggere dunque il libro “Paolo Fregoso, genovese”, scritto con gran stile da Vito Molinari, uscito or ora per i tipi delle edizioni Gammarò, è stato come entrare in punta di piedi non solo in un Secolo lontano (il Quattocento) che palpita, accesi di vita e di profumo di pietanze quotidiane, tra le pagine del volume, ma anche in una città di mare che, come Venezia, era ed è regina delle onde. E il bello è che, anche a Genova, ho trovato un poco di famiglia. Per essere io amica, da anni e da decenni, di tanti Spinola, ramo romano, che sono spesso raccontati in forma di nemici del nostro protagonista.

Ma qui, è bene dirlo, i protagonisti sono due, e tutti e due in sugo genovese. Ovverosia fantasiosi, poliedrici, spassosi, indipendenti, ambiziosi. Ed è questo, credo, il senso del titolo: genovese non vuol dire – almeno mi pare – nato a Genova, ma spirito bizzarro, unico, insomma genovese. Un poco Govi, un poco Grillo. Precursori di nuove modernità. Ieri come oggi. Ed eccoli i due protagonisti che si rincorrono a modo loro, tra le pagine del libro, l’uno raccontando l’altro e insieme raccontandosi. C’è, prima di tutto, lui, il Fregoso che, nella sua esistenza è stato pirata e doge, cardinale e ammiraglio della Santa Sede, quasi Papa due volte eppure gran donnaiolo. Infatti. Gustose sono le parentesi dedicate agli incontri galanti di Monsignor Fregoso. Quello mancato con la stupenda Simonetta Vespucci (la “Venere” del Botticelli…). Quello con la dolcissima Cecilia Gallerani (“La dama con l’ermellino” dipinta da Leonardo da Vinci…). E quello con Santa Caterina Fieschi che, mistica e serva di Dio, si prodigava per gli appestati che al nostro Paolo destavano ben altri sentimenti…

E poi c’è Vito Molinari, nato a Sestri Levante, che è stato un pezzo della televisione e del teatro italiano. Ha diretto da regista qualcosa come due mila trasmissioni tv: operette, sceneggiati, commedie musicali. Ha collaborato praticamente con tutti, da Totò a Fabrizio De André. Ora, racconta nei libri le sue tante storie e gli intrecci dei suoi incontri. Non solo. Racconta anche l’Italia e come è cambiata negli ultimi cinquant’anni in un delizioso: “Carosello…e poi tutti a nanna”, uscito sempre per i tipi delle edizioni Gammarò. E ora che si fa sera e s’avvicina l’ora del Carosello mi piace ricordare quei tempi felici che non erano al sapore di Coronavirus…


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di Benedetta de Vito
La famiglia mi lega a doppio nodo al Nordest e quindi doge, per me, fin da bambina, era quello che, a bordo del dorato Bucintoro, sposava con l’anello il mare, ed era sempre al centro di intrighi e potere e portava i cognomi solenni delle famiglie veneziane: Foscari, Loredan, Contarini, Manin! E quindi, che gran divertimento e gusto ritrovar le stesse storie dogali, tutte sangue e rose, sul ricamo occidentale dell’Italia, nella “superba” Genova, che, a dire il vero, non ho veduta mai! Leggere dunque il libro “Paolo Fregoso, genovese”, scritto con gran stile da Vito Molinari, uscito or ora per i tipi delle edizioni Gammarò, è stato come entrare in punta di piedi non solo in un Secolo lontano (il Quattocento) che palpita, accesi di vita e di profumo di pietanze quotidiane, tra le pagine del volume, ma anche in una città di mare che, come Venezia, era ed è regina delle onde. E il bello è che, anche a Genova, ho trovato un poco di famiglia. Per essere io amica, da anni e da decenni, di tanti Spinola, ramo romano, che sono spesso raccontati in forma di nemici del nostro protagonista.

Ma qui, è bene dirlo, i protagonisti sono due, e tutti e due in sugo genovese. Ovverosia fantasiosi, poliedrici, spassosi, indipendenti, ambiziosi. Ed è questo, credo, il senso del titolo: genovese non vuol dire – almeno mi pare – nato a Genova, ma spirito bizzarro, unico, insomma genovese. Un poco Govi, un poco Grillo. Precursori di nuove modernità. Ieri come oggi. Ed eccoli i due protagonisti che si rincorrono a modo loro, tra le pagine del libro, l’uno raccontando l’altro e insieme raccontandosi. C’è, prima di tutto, lui, il Fregoso che, nella sua esistenza è stato pirata e doge, cardinale e ammiraglio della Santa Sede, quasi Papa due volte eppure gran donnaiolo. Infatti. Gustose sono le parentesi dedicate agli incontri galanti di Monsignor Fregoso. Quello mancato con la stupenda Simonetta Vespucci (la “Venere” del Botticelli…). Quello con la dolcissima Cecilia Gallerani (“La dama con l’ermellino” dipinta da Leonardo da Vinci…). E quello con Santa Caterina Fieschi che, mistica e serva di Dio, si prodigava per gli appestati che al nostro Paolo destavano ben altri sentimenti…

E poi c’è Vito Molinari, nato a Sestri Levante, che è stato un pezzo della televisione e del teatro italiano. Ha diretto da regista qualcosa come due mila trasmissioni tv: operette, sceneggiati, commedie musicali. Ha collaborato praticamente con tutti, da Totò a Fabrizio De André. Ora, racconta nei libri le sue tante storie e gli intrecci dei suoi incontri. Non solo. Racconta anche l’Italia e come è cambiata negli ultimi cinquant’anni in un delizioso: “Carosello…e poi tutti a nanna”, uscito sempre per i tipi delle edizioni Gammarò. E ora che si fa sera e s’avvicina l’ora del Carosello mi piace ricordare quei tempi felici che non erano al sapore di Coronavirus…


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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