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'Il manoscritto di Laneghé', tra ricordi e fantasia
Città della Spezia di giovedì 9 luglio 2020
Il nuovo libro di Beppe Mecconi dopo il successo di 'Trabastia'. Venerdì la presentazione a San Terenzo

Golfo dei Poeti - Laneghè è un’isola in mezzo all’Atlantico. Un paradiso terrestre senza classi sociali , governato dalle donne, scoperto dopo un naufragio e, forse, sommerso dalle acque tanti secoli fa. È questo racconto a dare il titolo all’ultimo libro di Beppe Mecconi, “Il manoscritto di Laneghè” edito da Gammarò che sarà presentato venerdì 10 luglio alle 18 nei locali della parrocchia di San Terenzo.
Scrittore, pittore, illustratore di libri per ragazzi, regista teatrale e televisivo, Mecconi è uno straordinario eclettico, culturalmente onnivoro. Affronta le sfide comunicative a testa bassa e in questo libro dà sfoggio delle sue qualità di autore e della versatilità della sua scrittura.
Nei ventotto racconti de “Il manoscritto di Laneghè” tratteggia con grazia protagonisti della grande storia e personaggi della sua giovinezza, scrive di amori ma anche di ricordi. Rievoca le marce a Parma, in tempo di guerra, per scambiare olio e sale con farina, salsa e castagne. Ma c’è spazio anche per racconti grotteschi, con storie uscite da conviviali dopocena, vestigia di un tempo che fu, nel corso dei quali i proverbi vengono storpiati e così si legge di quando “Tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zio Pino” o del “Rosso di Sara, Beltempo si spara”.
In questa carrellata di racconti la scrittura si adatta in maniera straordinaria al testo. C’è anche spazio per i ricordi personali e in un paio di racconti ritornano personaggi del suo precedente, pluripremiato libro, “Trabastìa”. Poi le avventure da adolescente: dalla vendemmia in Francia, alla gita in barca che rischiò di terminare con un naufragio, all’amore platonico per Atahualpa, questo il nome affibbiato dal gruppo alla inarrivabile bellezza che vendeva granite sul lungomare. Ammirazione neppure scalfita dalla scoperta che Atahualpa è un nome maschile.
Beppe Mecconi attraversa anche il mondo dell’occulto con tre episodi dalle “cronache di don Pannartz” che vedono protagonisti una strega, il Sacro Mandillo e il miracolo dei cinghiali e delle formiche. Al paese al quale é profondamente legato Mecconi regala anche piccole perle nascoste nel testo quando trasfigura i nomi di personaggi reali che restano facilmente riconoscibili per chi li ha frequentati se Pasquale diventa Natale ed Ettore prende il nome di Achille. Mantengono il loro nome due grandi amici di Beppe: Paolo, il poeta ed Emilio, candido poeta di bugie.
Un caleidoscopio di racconti, un viaggio nella fantasia dello scrittore accompagnati da una scrittura fluida, avvolgente che sa suscitare ricordi ed emozioni. In quello che da sempre a San Terenzo viene chiamato “l’orteto” adiacente ai locali della parrocchia, a presentare Beppe Mecconi alle 18 di venerdì, sarà Riccardo Bonvicini.


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Città della Spezia - giovedì 9 luglio 2020
Il nuovo libro di Beppe Mecconi dopo il successo di 'Trabastia'. Venerdì la presentazione a San Terenzo

Golfo dei Poeti - Laneghè è un’isola in mezzo all’Atlantico. Un paradiso terrestre senza classi sociali , governato dalle donne, scoperto dopo un naufragio e, forse, sommerso dalle acque tanti secoli fa. È questo racconto a dare il titolo all’ultimo libro di Beppe Mecconi, “Il manoscritto di Laneghè” edito da Gammarò che sarà presentato venerdì 10 luglio alle 18 nei locali della parrocchia di San Terenzo.
Scrittore, pittore, illustratore di libri per ragazzi, regista teatrale e televisivo, Mecconi è uno straordinario eclettico, culturalmente onnivoro. Affronta le sfide comunicative a testa bassa e in questo libro dà sfoggio delle sue qualità di autore e della versatilità della sua scrittura.
Nei ventotto racconti de “Il manoscritto di Laneghè” tratteggia con grazia protagonisti della grande storia e personaggi della sua giovinezza, scrive di amori ma anche di ricordi. Rievoca le marce a Parma, in tempo di guerra, per scambiare olio e sale con farina, salsa e castagne. Ma c’è spazio anche per racconti grotteschi, con storie uscite da conviviali dopocena, vestigia di un tempo che fu, nel corso dei quali i proverbi vengono storpiati e così si legge di quando “Tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zio Pino” o del “Rosso di Sara, Beltempo si spara”.
In questa carrellata di racconti la scrittura si adatta in maniera straordinaria al testo. C’è anche spazio per i ricordi personali e in un paio di racconti ritornano personaggi del suo precedente, pluripremiato libro, “Trabastìa”. Poi le avventure da adolescente: dalla vendemmia in Francia, alla gita in barca che rischiò di terminare con un naufragio, all’amore platonico per Atahualpa, questo il nome affibbiato dal gruppo alla inarrivabile bellezza che vendeva granite sul lungomare. Ammirazione neppure scalfita dalla scoperta che Atahualpa è un nome maschile.
Beppe Mecconi attraversa anche il mondo dell’occulto con tre episodi dalle “cronache di don Pannartz” che vedono protagonisti una strega, il Sacro Mandillo e il miracolo dei cinghiali e delle formiche. Al paese al quale é profondamente legato Mecconi regala anche piccole perle nascoste nel testo quando trasfigura i nomi di personaggi reali che restano facilmente riconoscibili per chi li ha frequentati se Pasquale diventa Natale ed Ettore prende il nome di Achille. Mantengono il loro nome due grandi amici di Beppe: Paolo, il poeta ed Emilio, candido poeta di bugie.
Un caleidoscopio di racconti, un viaggio nella fantasia dello scrittore accompagnati da una scrittura fluida, avvolgente che sa suscitare ricordi ed emozioni. In quello che da sempre a San Terenzo viene chiamato “l’orteto” adiacente ai locali della parrocchia, a presentare Beppe Mecconi alle 18 di venerdì, sarà Riccardo Bonvicini.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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