CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Diego Zandel – Crociera pericolosa
Contorni di noir di venerdģ 7 agosto 2020


di Patrizia Debicke
Diego Zandel torna in libreria con Crociera pericolosa e forse nella sua veste più congeniale, quella di narratore di giallo, soprattutto, come in questo caso immerso nella spystory, romanzo pubblicato dalla casa editrice presso la quale proprio l’autore cura la collana Gialli Oltre. Ben più di un filo di nostalgia che richiama Zandel alle sue origini, lui istriano fino al midollo, nato a Fermo in un campo profughi da genitori emigrati fiumani, e che ha vissuto sulla sua pelle e quella della sua famiglia lo strappo umano, della vita da emigrati, costretti da una partizione iniqua dopo la guerra, a lasciare per sempre le loro case e le loro vite al di là di un confine. Una trilogia di cui “Crociera pericolosa” è il primo titolo, a cui faranno seguito “Operazione Venere” e “L’uomo di Kos”. E dunque con Crociera pericolosa Zandel torna a uno dei temi a lui più cari e che ha spesso affrontato nei suoi libri quello legato ai tanti profughi dell’ex Jugoslavia. Così ci racconta dell’Esperia, una bella nave da crociera, di quelle che imbarcano ricchi passeggeri per viaggi da favola, magari costellati da avventure erotico sentimentali. Con partenza da Venezia la nave ora in rotta verso Corfù nel giugno del 1993. Sono periodi bui per la Jugoslavia, Tito è morto nel 1980. Da quel momento il conglomerato di etnie, inglobato dal feroce dittatore rosso, è entrato in ebollizione. Caos politico, incertezza per un decina d’anni, poi incomincia la dissoluzione. La Slovenia si stacca nel 1991 e, forte dell’appoggio italiano, austriaco e tedesco proclama la sua indipendenza che, dopo un breve conflitto, vedrà riconosciuta internazionalmente. Il resto del paese è in subbuglio. La Croazia cerca di affermare la proprio autonomia ma si scontra con la Serbia, nel frattempo subentrano le pretese e le rivolte in Bosnia Erzegovina, percossa da guerre indotte da orrende rivincite etniche e religiose serbo croate. Le Nazioni Unite tentano più volte di far cessare le ostilità, con la stesura di piani di pace che purtroppo si dimostrano fallimentari. Inizialmente i Bosniaci e i Croati combattono contro i Serbi, dotati di armi più pesanti e che controllano gran parte del territorio, salvo le grandi città di Sarajevo e Mostar. Nel 1993, dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione del Paese in tre parti etnicamente pure, scoppia il conflitto armato tra Bosniaci musulmani e Croati sulla spartizione virtuale del territorio nazionale. Insomma con il disfacimento dell’ex stato di Tito si è arrivati alla guerra dei Balcani, la più feroce e a noi vicina guerra della fine dell’ultimo secolo.
La gente innocente muore come le mosche sotto i bombardamenti e chi può scappa con la speranza di trovare rifugio altrove. E l’Esperia sulla sua rotta, nella calda notte di giugno all’altezza di Dubrovnik, soccorre tre malandate scialuppe stracariche di profughi dalmati e della Bosnia-Erzegovina, soprattutto vecchi, donne e bambini. E la metà dei bambini risultano orfani o soli, caricati a bordo da genitori che volevano salvarli dalla fame e dalla morte. Il commissario di bordo, Rodolf Hagendorfer, detto Hag, ex profugo croato che fungerà anche da interprete, li ha accolti, fatti sfamare e ha preso le loro generalità, comprese quelle di Anica, una procace finta bionda che ha dichiarato di essere bosniaca. Ma in realtà è una spia serba decisa a bloccare con un crudele ricatto le parole e l’azione del democratico montenegrino, figura politica decisiva per il futuro dei Balcani, Slavko Zobundzije, contrario all’idea della grande Serbia cara ai nazionalisti. Anica infatti si è infiltrata tra quei poveri disperati con l’unico scopo di individuare e sequestrare il nipotino di Slavko, figlio delle figlia. È sicura che dopo la morte della zia, alla quale il bambino era stato affidato, si sia imbarcato con gli altri profughi. Ma sull’Esperia, tutto si rivelerà diverso e molto ma molto più complicato. Intanto a bordo ci sono due ricchissimi viaggiatori senza figli che commossi dalla situazione vorrebbero adottare un bambino a tutti i costi, poi dei pericolosi e indesiderati ospiti quali un mercante di armi, tallonato da un investigatore privato, ma e soprattutto, due terroristi palestinesi che finiranno con sequestrare la nave e tenere passeggeri ed equipaggio in ballo con la minaccia di farla saltare. Si rischia persino una specie di rivolta. Ci saranno feriti, morti… Insomma, quella che doveva essere una vacanza si trasforma in un amen in una crociera da incubo.
Una storia dai contorni drammaticamente attuali ma ispirata dalla guerra interetnica nell’ex Jugoslavia degli anni Novanta, che Zandel, come fiumano, con quasi tutta la famiglia in Istria e a Fiume e ancora collegata con la Croazia, ha vissuto in diretta e quasi in prima persona. C’è molto di Diego Zandel e della sua esperienza e della sua storia personale in questo romanzo. Un’ intrigante storia d’azione in cui potremmo considerare Rudi Hagendorfer, il commissario di bordo, il suo ideale alter ego (più possente e nerboruto, d’altronde la trama e l’azione chiedeva un lottatore), ma come lui nato in un campo profughi, come lui cresciuto da piccolo da una nonna istro-croata e quindi in grado di parlare il ciakavo, uno dei dialetti della zona…

Patrizia Debicke


leggi l'articolo integrale su Contorni di noir
SCHEDA LIBRO   |   Segnala  |  Ufficio Stampa


CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Contorni di noir - venerdģ 7 agosto 2020


di Patrizia Debicke
Diego Zandel torna in libreria con Crociera pericolosa e forse nella sua veste più congeniale, quella di narratore di giallo, soprattutto, come in questo caso immerso nella spystory, romanzo pubblicato dalla casa editrice presso la quale proprio l’autore cura la collana Gialli Oltre. Ben più di un filo di nostalgia che richiama Zandel alle sue origini, lui istriano fino al midollo, nato a Fermo in un campo profughi da genitori emigrati fiumani, e che ha vissuto sulla sua pelle e quella della sua famiglia lo strappo umano, della vita da emigrati, costretti da una partizione iniqua dopo la guerra, a lasciare per sempre le loro case e le loro vite al di là di un confine. Una trilogia di cui “Crociera pericolosa” è il primo titolo, a cui faranno seguito “Operazione Venere” e “L’uomo di Kos”. E dunque con Crociera pericolosa Zandel torna a uno dei temi a lui più cari e che ha spesso affrontato nei suoi libri quello legato ai tanti profughi dell’ex Jugoslavia. Così ci racconta dell’Esperia, una bella nave da crociera, di quelle che imbarcano ricchi passeggeri per viaggi da favola, magari costellati da avventure erotico sentimentali. Con partenza da Venezia la nave ora in rotta verso Corfù nel giugno del 1993. Sono periodi bui per la Jugoslavia, Tito è morto nel 1980. Da quel momento il conglomerato di etnie, inglobato dal feroce dittatore rosso, è entrato in ebollizione. Caos politico, incertezza per un decina d’anni, poi incomincia la dissoluzione. La Slovenia si stacca nel 1991 e, forte dell’appoggio italiano, austriaco e tedesco proclama la sua indipendenza che, dopo un breve conflitto, vedrà riconosciuta internazionalmente. Il resto del paese è in subbuglio. La Croazia cerca di affermare la proprio autonomia ma si scontra con la Serbia, nel frattempo subentrano le pretese e le rivolte in Bosnia Erzegovina, percossa da guerre indotte da orrende rivincite etniche e religiose serbo croate. Le Nazioni Unite tentano più volte di far cessare le ostilità, con la stesura di piani di pace che purtroppo si dimostrano fallimentari. Inizialmente i Bosniaci e i Croati combattono contro i Serbi, dotati di armi più pesanti e che controllano gran parte del territorio, salvo le grandi città di Sarajevo e Mostar. Nel 1993, dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione del Paese in tre parti etnicamente pure, scoppia il conflitto armato tra Bosniaci musulmani e Croati sulla spartizione virtuale del territorio nazionale. Insomma con il disfacimento dell’ex stato di Tito si è arrivati alla guerra dei Balcani, la più feroce e a noi vicina guerra della fine dell’ultimo secolo.
La gente innocente muore come le mosche sotto i bombardamenti e chi può scappa con la speranza di trovare rifugio altrove. E l’Esperia sulla sua rotta, nella calda notte di giugno all’altezza di Dubrovnik, soccorre tre malandate scialuppe stracariche di profughi dalmati e della Bosnia-Erzegovina, soprattutto vecchi, donne e bambini. E la metà dei bambini risultano orfani o soli, caricati a bordo da genitori che volevano salvarli dalla fame e dalla morte. Il commissario di bordo, Rodolf Hagendorfer, detto Hag, ex profugo croato che fungerà anche da interprete, li ha accolti, fatti sfamare e ha preso le loro generalità, comprese quelle di Anica, una procace finta bionda che ha dichiarato di essere bosniaca. Ma in realtà è una spia serba decisa a bloccare con un crudele ricatto le parole e l’azione del democratico montenegrino, figura politica decisiva per il futuro dei Balcani, Slavko Zobundzije, contrario all’idea della grande Serbia cara ai nazionalisti. Anica infatti si è infiltrata tra quei poveri disperati con l’unico scopo di individuare e sequestrare il nipotino di Slavko, figlio delle figlia. È sicura che dopo la morte della zia, alla quale il bambino era stato affidato, si sia imbarcato con gli altri profughi. Ma sull’Esperia, tutto si rivelerà diverso e molto ma molto più complicato. Intanto a bordo ci sono due ricchissimi viaggiatori senza figli che commossi dalla situazione vorrebbero adottare un bambino a tutti i costi, poi dei pericolosi e indesiderati ospiti quali un mercante di armi, tallonato da un investigatore privato, ma e soprattutto, due terroristi palestinesi che finiranno con sequestrare la nave e tenere passeggeri ed equipaggio in ballo con la minaccia di farla saltare. Si rischia persino una specie di rivolta. Ci saranno feriti, morti… Insomma, quella che doveva essere una vacanza si trasforma in un amen in una crociera da incubo.
Una storia dai contorni drammaticamente attuali ma ispirata dalla guerra interetnica nell’ex Jugoslavia degli anni Novanta, che Zandel, come fiumano, con quasi tutta la famiglia in Istria e a Fiume e ancora collegata con la Croazia, ha vissuto in diretta e quasi in prima persona. C’è molto di Diego Zandel e della sua esperienza e della sua storia personale in questo romanzo. Un’ intrigante storia d’azione in cui potremmo considerare Rudi Hagendorfer, il commissario di bordo, il suo ideale alter ego (più possente e nerboruto, d’altronde la trama e l’azione chiedeva un lottatore), ma come lui nato in un campo profughi, come lui cresciuto da piccolo da una nonna istro-croata e quindi in grado di parlare il ciakavo, uno dei dialetti della zona…

Patrizia Debicke


leggi l'articolo integrale su Contorni di noir
SCHEDA LIBRO   |   Stampa   |   Segnala  |  Ufficio Stampa

TUTTI GLI EVENTI

OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

LEGGI TUTTO