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Com'era Riomaggiore nell'Ottocento? Ecco in un libro i disegni di Telemaco Signorini
Finestre sull'Arte di mercoledģ 23 settembre 2020
a casa editrice Töpffer pubblica il libro “Telemaco Signorini. Riomaggiore: i diari, i disegni”, che contiene tutto il corpus dei disegni eseguiti dal grande pittore in questo borgo delle Cinque Terre, e i brani dei suoi diari che parlano di Riomaggiore

La casa editrice Töpffer Edizioni ha pubblicato un importante volume sui soggiorni a Riomaggiore di Telemaco Signorini (Firenze, 1835 - 1901): il libro, dal titolo Telemaco Signorini. Riomaggiore: i Diari, i Disegni, con prefazione di Marzia Ratti (direttrice, dal 1990 al 2019, dei musei civici della Spezia), contiene i brani dei diari di Signorini relativi all suo rapporto con Riomaggiore oltre ai disegni che l’artista realizzò nel primo borgo delle Cinque Terre, allora terra quasi selvaggia, come ebbe modo di scriverne l’autore stesso in occasione del suo primo viaggio, nel 1860, a venticinque anni (all’epoca Riomaggiore si raggiungeva soltanto a piedi e gli abitanti avevano pochissimi contatti con l’esterno: Signorini poté saggiarne la diffidenza appena arrivato).
(PDF: www.oltre.it/public/finestresullarte_Telemaco-Signorini_22-09-20.pdf)
Ma non è solo nella memoria scritta che si stabilisce il legame del grande pittore macchiaiolo con il borgo ligure: Signorini, infatti, a Riomaggiore produsse una grande quantità di disegni, che costituiscono quasi una cronaca del villaggio, dalla mole impressionante. Tra i disegni, infatti, non figurano soltanto paesaggi, ma anche ritratti della gente del paese: per molti di loro il pittore trascrisse anche nomi e soprannomi, testimonianza che i suoi fogli non erano solo collegati alla sua attività artistica, ma erano anche un modo per fissare nella memoria un volto o una persona. Ed ecco quindi susseguirsi, tra i fogli dell’artista, nomi come “Clelia di Nanni”, “Martorò”, “Pellegro dei Menin”, “Davidin di Giacon”, “Concettina di Patatin”, “la fantela” (cioè la bambina) di “Bacciarin”, e così via. Il libro contiene anche le riproduzioni di due disegni ritrovati dell’artista fiorentino: si tratta dei ritratti di Adamo e Girumina dei Purin, due bambini, figli del calzolaio del paese, pubblicati nel 1969, e donati nel 1974 dagli eredi dei due bambini raffigurati da Signorini al Comune di Riomaggiore. I due fogli erano andati persi negli archivi del Comune e sono stati fortuitamente ritrovati lo scorso anno.
“Forse nessun paese come Riomaggiore”, scrive Marzia Ratti nella prefazione del libro, “ha avuto una cronaca visiva così documentata tanto nelle caratteristiche delle persone, quanto dei luoghi. E solo per la scarsa conoscenza dei dettagli raffigurati fino a non molti anni fa, tanti dipinti sono stati erroneamente identificati con altri posti. Oggi, grazie alla divulgazione delle immagini tramite la rete e i social network, ci si potrà divertire a correggere le false identificazioni e a riportare alla centralità del luogo rappresentato, Riomaggiore e le Cinque Terre, molte opere di Signorini sparse per il mondo, intitolate fantasiosamente. Così come si potrà risalire all’identificazione degli uomini e delle donne da parte degli attuali abitanti di Riomaggiore che ne sono i discendenti diretti”.
Telemaco Signorini, nato a Firenze il 18 agosto del 1935, figlio di un altro importante pittore, Giovanni Signorini (il rapporto tra i due è stato indagato in un’importante mostra che si è tenuta lo scorso anno a Firenze, a Palazzo Antinori), e di Giustina Santoni, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1852 e poco dopo, assieme ai colleghi Vincenzo Cabianca e Odoardo Borrani, e sulla scorta di quanto stava all’epoca realizzando il pugliese Francesco Saverio Altamura che nel 1855 tornò a Firenze da Parigi dopo aver appreso ciò che s’andava dipingendo oltralpe, cominciò a sperimentare quella che poi sarebbe diventata la pittura di macchia. Il primo viaggio a Riomaggiore, come ricordato, risale al 1860, dopo l’esperienza come volontario garibaldino: Riomaggiore, in compagnia di Cabianca, visitò La Spezia e i suoi dintorni, in particolare i borghi di Arcola, Pitelli, Lerici, San Terenzo, Vezzano Ligure e Sarzana, per poi trovare a Riomaggiore la il luogo ideale, in una zona della Liguria che, al contrario dei borghi del Golfo dei Poeti, era allora pressoché sconosciuta e aspettava di trovare una propria dimensione artistica.
Il libro Telemaco Signorini. Riomaggiore: i Diari, i Disegni, uno strumento doppiamente utile (per conoscere più a fondo l’arte di Signorini e la sua persona, e per vedere com’era a fine Ottocento uno dei borghi oggi tra i più visitati del mondo), è in vendita al prezzo di 24,50 euro. Il libro si può acquistare direttamente dal sito dell’editore, in tutte le librerie online e nelle migliori librerie fisiche.


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a casa editrice Töpffer pubblica il libro “Telemaco Signorini. Riomaggiore: i diari, i disegni”, che contiene tutto il corpus dei disegni eseguiti dal grande pittore in questo borgo delle Cinque Terre, e i brani dei suoi diari che parlano di Riomaggiore

La casa editrice Töpffer Edizioni ha pubblicato un importante volume sui soggiorni a Riomaggiore di Telemaco Signorini (Firenze, 1835 - 1901): il libro, dal titolo Telemaco Signorini. Riomaggiore: i Diari, i Disegni, con prefazione di Marzia Ratti (direttrice, dal 1990 al 2019, dei musei civici della Spezia), contiene i brani dei diari di Signorini relativi all suo rapporto con Riomaggiore oltre ai disegni che l’artista realizzò nel primo borgo delle Cinque Terre, allora terra quasi selvaggia, come ebbe modo di scriverne l’autore stesso in occasione del suo primo viaggio, nel 1860, a venticinque anni (all’epoca Riomaggiore si raggiungeva soltanto a piedi e gli abitanti avevano pochissimi contatti con l’esterno: Signorini poté saggiarne la diffidenza appena arrivato).
(PDF: www.oltre.it/public/finestresullarte_Telemaco-Signorini_22-09-20.pdf)
Ma non è solo nella memoria scritta che si stabilisce il legame del grande pittore macchiaiolo con il borgo ligure: Signorini, infatti, a Riomaggiore produsse una grande quantità di disegni, che costituiscono quasi una cronaca del villaggio, dalla mole impressionante. Tra i disegni, infatti, non figurano soltanto paesaggi, ma anche ritratti della gente del paese: per molti di loro il pittore trascrisse anche nomi e soprannomi, testimonianza che i suoi fogli non erano solo collegati alla sua attività artistica, ma erano anche un modo per fissare nella memoria un volto o una persona. Ed ecco quindi susseguirsi, tra i fogli dell’artista, nomi come “Clelia di Nanni”, “Martorò”, “Pellegro dei Menin”, “Davidin di Giacon”, “Concettina di Patatin”, “la fantela” (cioè la bambina) di “Bacciarin”, e così via. Il libro contiene anche le riproduzioni di due disegni ritrovati dell’artista fiorentino: si tratta dei ritratti di Adamo e Girumina dei Purin, due bambini, figli del calzolaio del paese, pubblicati nel 1969, e donati nel 1974 dagli eredi dei due bambini raffigurati da Signorini al Comune di Riomaggiore. I due fogli erano andati persi negli archivi del Comune e sono stati fortuitamente ritrovati lo scorso anno.
“Forse nessun paese come Riomaggiore”, scrive Marzia Ratti nella prefazione del libro, “ha avuto una cronaca visiva così documentata tanto nelle caratteristiche delle persone, quanto dei luoghi. E solo per la scarsa conoscenza dei dettagli raffigurati fino a non molti anni fa, tanti dipinti sono stati erroneamente identificati con altri posti. Oggi, grazie alla divulgazione delle immagini tramite la rete e i social network, ci si potrà divertire a correggere le false identificazioni e a riportare alla centralità del luogo rappresentato, Riomaggiore e le Cinque Terre, molte opere di Signorini sparse per il mondo, intitolate fantasiosamente. Così come si potrà risalire all’identificazione degli uomini e delle donne da parte degli attuali abitanti di Riomaggiore che ne sono i discendenti diretti”.
Telemaco Signorini, nato a Firenze il 18 agosto del 1935, figlio di un altro importante pittore, Giovanni Signorini (il rapporto tra i due è stato indagato in un’importante mostra che si è tenuta lo scorso anno a Firenze, a Palazzo Antinori), e di Giustina Santoni, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1852 e poco dopo, assieme ai colleghi Vincenzo Cabianca e Odoardo Borrani, e sulla scorta di quanto stava all’epoca realizzando il pugliese Francesco Saverio Altamura che nel 1855 tornò a Firenze da Parigi dopo aver appreso ciò che s’andava dipingendo oltralpe, cominciò a sperimentare quella che poi sarebbe diventata la pittura di macchia. Il primo viaggio a Riomaggiore, come ricordato, risale al 1860, dopo l’esperienza come volontario garibaldino: Riomaggiore, in compagnia di Cabianca, visitò La Spezia e i suoi dintorni, in particolare i borghi di Arcola, Pitelli, Lerici, San Terenzo, Vezzano Ligure e Sarzana, per poi trovare a Riomaggiore la il luogo ideale, in una zona della Liguria che, al contrario dei borghi del Golfo dei Poeti, era allora pressoché sconosciuta e aspettava di trovare una propria dimensione artistica.
Il libro Telemaco Signorini. Riomaggiore: i Diari, i Disegni, uno strumento doppiamente utile (per conoscere più a fondo l’arte di Signorini e la sua persona, e per vedere com’era a fine Ottocento uno dei borghi oggi tra i più visitati del mondo), è in vendita al prezzo di 24,50 euro. Il libro si può acquistare direttamente dal sito dell’editore, in tutte le librerie online e nelle migliori librerie fisiche.


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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