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'Miss Marx, la figlia del capitale, biografia pop' di Barbara Minniti
CulturalSocialArt di martedì 13 ottobre 2020
Barbara Minniti scrive la prima biografia su Eleanor Marx, la più giovane delle figlie del filosofo tedesco e ne racconta forze e debolezze

di Corrado Sissi
Miss Marx racconta la vita della giovane figlia di Carl Marx, filosofo ed economista tedesco, rifugiatosi in Inghilterra. Eleanor, la più piccola, segue le orme del padre, dal quale apprende il pensiero, ma non evita di contaminarlo con la filosofia inglese alle prese con un periodo storico, quello della seconda rivoluzione industriale, che porta la sua attenzione verso l’emancipazione femminile, il lavoro minorile, temi caldi del periodo. Il libro, scritto da Barbara Minniti è la prima biografia della donna in Italia. Abbiamo incontrato l’autrice, a cui abbiamo rivolto alcune domande sul libro e sulla figura di Eleanor Marx.

Lei ha deciso di scrivere su un personaggio che ha vissuto accanto a chi ha lottato contro il capitalismo, in una società in forte crescita industriale, perché parlare di Eleanor Marx?

Mi sono imbattuta nel personaggio di Eleanor Marx, mentre stavo scrivendo il mio libro precedente, la storia di un’altra donna inglese che ha avuto a che fare con Garibaldi. Così ho scoperto casualmente che Marx aveva una figlia, la più giovane, nata e vissuta a Londra e quindi influenzata non solo dal padre e dalla sua cultura tedesca, ma soprattutto dall’ambiente che la circondava, in un periodo storico di grandi modificazioni sociali. Mi intrigava poter raccontare una famiglia Marx inedita per noi italiani, che siamo portati a collegare il grande filosofo-economista solo col mondo comunista del ‘900 (Unione Sovietica, Cina, Cuba ecc.), mentre i suoi testi fondamentali come Il Capitale, sono stati elaborati in una postazione della biblioteca del British Museum e grazie anche alla lettura delle riviste finanziarie inglesi. La figlia britannica di Marx mi è apparsa subito come una figura interessante e molto attuale, testimone e protagonista di una società in cui certe dinamiche politiche non sono molto lontane da quelle dei giorni nostri, come il sindacalismo e la scelta del socialismo riformista. Anche la sua vita privata e la sua tragica scelta, intorno alla quale ruota il mio libro, è quella di una donna moderna con una sua autonomia intellettuale, combattuta tra la volontà di far emergere pubblicamente i suoi ideali e quella di non lasciarsi trascinare in una storia sentimentale di ambiguità e sofferenza. Eleanor, purtroppo, non è stata capace di risolvere il conflitto tra il “privato” e il “politico” e non ha retto alle tensioni che ne derivavano.

Carl Marx è una figura importante dell’Ottocento, forse a tratti controversa, come si colloca la figura della figlia Eleanor?

Tussy, così come la chiamavano in famiglia, si considerava ed era considerata l’erede naturale del patrimonio ideale del padre. Era cresciuta ascoltando le discussioni tra Marx ed Engels, aveva letto i testi paterni, aveva conosciuto la fatica nell’elaborazione del primo libro de Il Capitale. Aveva col padre un rapporto di grande complicità ma era anche involontariamente condizionata dalla sua personalità elefantiaca da cui, forse, non voleva comunque liberarsi. Il suo percorso politico è stato però molto autonomo, con l’adesione ai gruppi del nascente socialismo inglese che non erano propriamente d’ispirazione marxista, ma più impegnati nel sindacalismo e nel dibattito sul riformismo. Questo non le ha comunque impedito di rappresentare la corrente più radicale, portatrice dell’ideologia del padre e di Engels, soprattutto fuori dall’ambiente politico britannico.

Qual è stata l’influenza del padre su Eleanor? Sarebbe stata capace di spingersi ben al di là di quello che ha fatto realmente?

Come detto, l’influenza del padre ha condizionato tutta la sua vita e del resto come potrebbe essere altrimenti? Marx era un uomo affettuoso con le figlie, sensibile rispetto alle loro esigenze e anche un passo avanti nell’educazione non convenzionale. Con Eleanor aveva un rapporto speciale tanto da arrivare a dire “Tussy è me”. Ma Eleanor era una donna inglese, educata in scuole private a Londra, aveva amici inglesi e respirava l’atmosfera di una città intellettualmente vivace, moderna e all’avanguardia in campo culturale. Non poteva che tentare di adattare le teorie politiche e filosofiche del padre alla realtà della seconda Rivoluzione industriale inglese, nel paese del dominante liberalismo borghese e in cui le contraddizioni del capitalismo non sembravano tali da poter sfociare in una rivoluzione marxista. E questa può essere un’ulteriore lettura delle sue difficoltà esistenziali. Con la morte del padre sentiva tutto il peso della sua testimonianza attiva, che però non portava a quei risultati cui lei sicuramente aspirava.

Quali sono stati i limiti della società, dell’essere donna e della famiglia, che hanno avuto tragiche ripercussioni su Eleanor?

Per quell’epoca, cioè la seconda metà dell’’800, le sue esperienze sono state quelle di una ragazza coraggiosa che cerca la sua indipendenza anche oltre i limiti imposti dalla società. Già a 18 anni, per un periodo, la famiglia accettò senza discutere che Tussy se ne andasse di casa per vivere in una stanza ammobiliata e insegnare in una scuola privata. Ma i suoi problemi erano soprattutto di carattere sentimentale, e un amore giovanile contrastato dall’intera famiglia, fu per lei una prova dolorosa. In quel caso Tussy ha provato a tirare la corda, ma ne è uscita sconfitta. Non ha avuto il coraggio di tagliare il cordone ombelicale che la legava alla famiglia e in particolare al padre, ed è tornata nei ranghi. Probabilmente questa è stata  l’esperienza che più di altre ha condizionato poi la sua vita di donna adulta, le sue scelte, le sue infelicità e le nevrosi che la portarono al suicidio. Non si può quindi dire che fosse il classico tipo della ribelle che non si preoccupa delle conseguenze dei propri atti. Era sicuramente una combattente, una donna che voleva cambiare il mondo, lottare per i diritti e per i deboli, per quelli delle donne, ma restava una giovane borghese, con curiosità letterarie e la passione per il teatro. La sua forma mentis era stata forgiata dall’ideologia paterna, ma anche dal pragmatismo inglese, con tutte le conseguenze di questa complessa formazione umana, politica e culturale, apparentemente contraddittoria.

È stato difficile reperire informazioni sulla donna?

Esistono diverse biografie di Eleanor, ma sono tutte di autrici inglesi. In particolare da segnalare quella amplissima e scrupolosa di Yvonne Kapp, che si è dedicata per anni alla raccolta di informazioni e notizie su Eleanor inquadrandola nel periodo della storia del movimento operaio. Non esistevano biografie italiane prima della mia. Posso dire a buon diritto di essere la prima biografa di Eleanor Marx nel nostro paese. Anche per questo ho voluto sottolineare la sua cittadinanza inglese (da cui il titolo) e costruendo un racconto un po’ sopra le righe, non esattamente una biografia paludata, ma scritta con uno stile discorsivo e continui riferimenti alla nostra attualità. Anche per questo ho voluto aggiungere il sottotitolo Una biografia pop.


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CulturalSocialArt - martedì 13 ottobre 2020
Barbara Minniti scrive la prima biografia su Eleanor Marx, la più giovane delle figlie del filosofo tedesco e ne racconta forze e debolezze

di Corrado Sissi
Miss Marx racconta la vita della giovane figlia di Carl Marx, filosofo ed economista tedesco, rifugiatosi in Inghilterra. Eleanor, la più piccola, segue le orme del padre, dal quale apprende il pensiero, ma non evita di contaminarlo con la filosofia inglese alle prese con un periodo storico, quello della seconda rivoluzione industriale, che porta la sua attenzione verso l’emancipazione femminile, il lavoro minorile, temi caldi del periodo. Il libro, scritto da Barbara Minniti è la prima biografia della donna in Italia. Abbiamo incontrato l’autrice, a cui abbiamo rivolto alcune domande sul libro e sulla figura di Eleanor Marx.

Lei ha deciso di scrivere su un personaggio che ha vissuto accanto a chi ha lottato contro il capitalismo, in una società in forte crescita industriale, perché parlare di Eleanor Marx?

Mi sono imbattuta nel personaggio di Eleanor Marx, mentre stavo scrivendo il mio libro precedente, la storia di un’altra donna inglese che ha avuto a che fare con Garibaldi. Così ho scoperto casualmente che Marx aveva una figlia, la più giovane, nata e vissuta a Londra e quindi influenzata non solo dal padre e dalla sua cultura tedesca, ma soprattutto dall’ambiente che la circondava, in un periodo storico di grandi modificazioni sociali. Mi intrigava poter raccontare una famiglia Marx inedita per noi italiani, che siamo portati a collegare il grande filosofo-economista solo col mondo comunista del ‘900 (Unione Sovietica, Cina, Cuba ecc.), mentre i suoi testi fondamentali come Il Capitale, sono stati elaborati in una postazione della biblioteca del British Museum e grazie anche alla lettura delle riviste finanziarie inglesi. La figlia britannica di Marx mi è apparsa subito come una figura interessante e molto attuale, testimone e protagonista di una società in cui certe dinamiche politiche non sono molto lontane da quelle dei giorni nostri, come il sindacalismo e la scelta del socialismo riformista. Anche la sua vita privata e la sua tragica scelta, intorno alla quale ruota il mio libro, è quella di una donna moderna con una sua autonomia intellettuale, combattuta tra la volontà di far emergere pubblicamente i suoi ideali e quella di non lasciarsi trascinare in una storia sentimentale di ambiguità e sofferenza. Eleanor, purtroppo, non è stata capace di risolvere il conflitto tra il “privato” e il “politico” e non ha retto alle tensioni che ne derivavano.

Carl Marx è una figura importante dell’Ottocento, forse a tratti controversa, come si colloca la figura della figlia Eleanor?

Tussy, così come la chiamavano in famiglia, si considerava ed era considerata l’erede naturale del patrimonio ideale del padre. Era cresciuta ascoltando le discussioni tra Marx ed Engels, aveva letto i testi paterni, aveva conosciuto la fatica nell’elaborazione del primo libro de Il Capitale. Aveva col padre un rapporto di grande complicità ma era anche involontariamente condizionata dalla sua personalità elefantiaca da cui, forse, non voleva comunque liberarsi. Il suo percorso politico è stato però molto autonomo, con l’adesione ai gruppi del nascente socialismo inglese che non erano propriamente d’ispirazione marxista, ma più impegnati nel sindacalismo e nel dibattito sul riformismo. Questo non le ha comunque impedito di rappresentare la corrente più radicale, portatrice dell’ideologia del padre e di Engels, soprattutto fuori dall’ambiente politico britannico.

Qual è stata l’influenza del padre su Eleanor? Sarebbe stata capace di spingersi ben al di là di quello che ha fatto realmente?

Come detto, l’influenza del padre ha condizionato tutta la sua vita e del resto come potrebbe essere altrimenti? Marx era un uomo affettuoso con le figlie, sensibile rispetto alle loro esigenze e anche un passo avanti nell’educazione non convenzionale. Con Eleanor aveva un rapporto speciale tanto da arrivare a dire “Tussy è me”. Ma Eleanor era una donna inglese, educata in scuole private a Londra, aveva amici inglesi e respirava l’atmosfera di una città intellettualmente vivace, moderna e all’avanguardia in campo culturale. Non poteva che tentare di adattare le teorie politiche e filosofiche del padre alla realtà della seconda Rivoluzione industriale inglese, nel paese del dominante liberalismo borghese e in cui le contraddizioni del capitalismo non sembravano tali da poter sfociare in una rivoluzione marxista. E questa può essere un’ulteriore lettura delle sue difficoltà esistenziali. Con la morte del padre sentiva tutto il peso della sua testimonianza attiva, che però non portava a quei risultati cui lei sicuramente aspirava.

Quali sono stati i limiti della società, dell’essere donna e della famiglia, che hanno avuto tragiche ripercussioni su Eleanor?

Per quell’epoca, cioè la seconda metà dell’’800, le sue esperienze sono state quelle di una ragazza coraggiosa che cerca la sua indipendenza anche oltre i limiti imposti dalla società. Già a 18 anni, per un periodo, la famiglia accettò senza discutere che Tussy se ne andasse di casa per vivere in una stanza ammobiliata e insegnare in una scuola privata. Ma i suoi problemi erano soprattutto di carattere sentimentale, e un amore giovanile contrastato dall’intera famiglia, fu per lei una prova dolorosa. In quel caso Tussy ha provato a tirare la corda, ma ne è uscita sconfitta. Non ha avuto il coraggio di tagliare il cordone ombelicale che la legava alla famiglia e in particolare al padre, ed è tornata nei ranghi. Probabilmente questa è stata  l’esperienza che più di altre ha condizionato poi la sua vita di donna adulta, le sue scelte, le sue infelicità e le nevrosi che la portarono al suicidio. Non si può quindi dire che fosse il classico tipo della ribelle che non si preoccupa delle conseguenze dei propri atti. Era sicuramente una combattente, una donna che voleva cambiare il mondo, lottare per i diritti e per i deboli, per quelli delle donne, ma restava una giovane borghese, con curiosità letterarie e la passione per il teatro. La sua forma mentis era stata forgiata dall’ideologia paterna, ma anche dal pragmatismo inglese, con tutte le conseguenze di questa complessa formazione umana, politica e culturale, apparentemente contraddittoria.

È stato difficile reperire informazioni sulla donna?

Esistono diverse biografie di Eleanor, ma sono tutte di autrici inglesi. In particolare da segnalare quella amplissima e scrupolosa di Yvonne Kapp, che si è dedicata per anni alla raccolta di informazioni e notizie su Eleanor inquadrandola nel periodo della storia del movimento operaio. Non esistevano biografie italiane prima della mia. Posso dire a buon diritto di essere la prima biografa di Eleanor Marx nel nostro paese. Anche per questo ho voluto sottolineare la sua cittadinanza inglese (da cui il titolo) e costruendo un racconto un po’ sopra le righe, non esattamente una biografia paludata, ma scritta con uno stile discorsivo e continui riferimenti alla nostra attualità. Anche per questo ho voluto aggiungere il sottotitolo Una biografia pop.


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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