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Miss Marx – Barbara Minniti
Il pesciolino d'argento di venerdì 6 novembre 2020
Come la sua eroina, comunque, aveva deciso di togliersi la vita, benché nessuno nel suo caso avrebbe potuto decretare una diagnosi di bovarismo. Se c’era una donna in tutta Londra più lontana dalle illusioni nevrotiche e dai sogni estranianti di Emma, quella sembrava lei. Sembrava

Straordinaria complessità
Miss Marx è il saggio che la giornalista e scrittrice Barbara Minniti ha dedicato alla figura di Eleanor Marx, l’ultima figlia del celebre filosofo tedesco.

Donna acculturata, amante della letteratura e del teatro (sua è la prima traduzione in inglese di Madame Bovary), spiritosa e vivace, ovviamente socialista e attivista politica, Eleanor Marx fu un personaggio storico di straordinaria complessità.

Nacque il 16 gennaio 1855 a Londra, in un periodo in cui i coniugi Marx stavano sperimentando una miseria impietosa. Nonostante tutto, Eleanor crebbe amata, coccolata e incredibilmente istruita, potendo in effetti vantare come primo maestro uno dei filosofi più influenti non della storia. Inoltre, la possibilità di confrontarsi continuamente con personaggi del calibro di Engels e degli ospiti che transitavano per casa Marx le consentì di sviluppare un’eccezionale intelligenza critica:

A tavola, quando riuscivano a mettere insieme un pasto decente, si parlava dei fatti del mondo con cognizione di causa, l’ironia e l’umorismo intelligente erano utilizzati a piene mani, la curiosità e la libertà d’indagare, di leggere, d’informarsi e d’istruirsi erano garantite più del pane […].

La mediocrità del mondo

Tutto ciò non fu sufficiente a garantirle la felicità. Questo è un punto sul quale insiste Barbara Minniti: la fortuna di essere cresciuta nella ricchezza intellettuale, di essere stata educata alla riflessione, all’ambizione, al pensiero libero e sfrontato, doveva per ironia della sorte costringerla a scontrarsi con la mediocrità del mondo reale, rivelandosi in fin dei conti un’amara sfortuna. Eleanor, alla pari della sua amata Emma, si trovò ben presto catapultata in un mondo ben al di sotto delle proprie aspettative:

Per Eleanor, cresciuta sotto due querce come il Moro e il Generale, due cervelli di qualità superiore e due personalità solide […], doveva essere molto scoraggiante e deprimente il rendersi conto di essere immersa in un ambiente in cui la faziosità era all’ordine del giorno, circondata da personaggi che sicuramente riteneva degni al massimo di pulir loro le scarpe.


L’impatto violento fra gli ideali e la realtà condusse Eleanor a nevrosi, crisi isteriche, anoressia e perfino minacce di suicidio confessate all’amato compagno Edward Aveling, con il quale viveva ormai da anni in uno stato di more uxorio. E quando nel 1898 Eleanor scoprì che Edward aveva sposato a sua insaputa una giovane attrice, la delusione e il dolore divennero davvero insostenibili, tanto da indurla ad avvelenarsi; lasciò al proprio amato un’ultima lettera di addio, in cui ribadiva l’immenso affetto che aveva nutrito per lui.

Il personaggio di miss Marx è dunque così sfaccettato e tragico da assomigliare all’eroina di un romanzo ottocentesco: ma si tratta di una persona reale e le sue vicende non sono una storia, sono nella Storia. Tuttavia, non è solo su Eleanor che l’autrice del saggio si sofferma: a essere raccontata è in realtà l’intera famiglia Marx, amici e generi compresi. E il modo di raccontare è assai originale.

Irresistibile ironia

Barbara Minniti sfrutta le sue doti di scrittrice per fondere il genere saggistico e quello narrativo, sicché non solo Eleanor, ma anche gli altri personaggi hanno tutta l’aria di appartenere a un romanzo. E proprio come in un romanzo, non mancano i colpi di scena, i momenti tragici, e una robusta dose di romanticismo: il colpo di fulmine fra Karl e la nobildonna Jenny, la triste perdita di quattro figli che la coppia patì, la grande amicizia fra Marx e il ricco imprenditore Engels, il contrastato amore di quest’ultimo per un’umile operaia irlandese e, perfino, lo scandalo di un presunto figlio illegittimo di Marx.

La storia, dunque, già molto affascinante di per sé, viene valorizzata dalle mani di Barbara Minniti con uno stile voluttuoso che cattura prepotentemente l’attenzione:
Non sappiamo se Gertrude Gentry, tornata a casa dopo aver riconsegnato il libro dei veleni al farmacista, cacciò il classico grido di orrore hitchcockiano.
La sua padrona era stesa sul letto semivestita, la bava alla bocca, il volto bluastro, il rantolo del moribondo.
Se l’idea di leggere un libro sulla vita della famiglia Marx vi sembra a questo punto ancora tediosa, è perché non conoscete l’umorismo sfacciato e irriverente di cui l’autrice è dotata.
L’irresistibile ironia e le numerose battute alleggeriscono e sdrammatizzano la biografia, senza tuttavia intaccarne minimamente la professionalità e l’attendibilità:
Questo materiale, che oggi servirebbe a riempire le pagine delle nostre riviste di gossip (anche se i protagonisti non hanno esattamente le fisic du rôle per apparire su pagine patinate, a parte Engels che era un vero figaccio, una via di mezzo tra John Huston e Jason Robards), arrivò poi nelle mani del secondo direttore dell’Istituto moscovita […].
Conclusioni
In conclusione, Miss Marx è un accurato saggio che riesce a parlare della tragica vita di Eleanor Marx senza però rinunciare alla briosità. È di certo divertente e illuminante per gli adulti, ma ammicca anche a un pubblico giovane, ormai sempre più insofferente a una certa saggistica inutilmente ampollosa.
E dunque, come di consueto, non mi resta che augurarvi buona lettura!


leggi l'articolo integrale su Il pesciolino d'argento
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Il pesciolino d'argento - venerdì 6 novembre 2020
Come la sua eroina, comunque, aveva deciso di togliersi la vita, benché nessuno nel suo caso avrebbe potuto decretare una diagnosi di bovarismo. Se c’era una donna in tutta Londra più lontana dalle illusioni nevrotiche e dai sogni estranianti di Emma, quella sembrava lei. Sembrava

Straordinaria complessità
Miss Marx è il saggio che la giornalista e scrittrice Barbara Minniti ha dedicato alla figura di Eleanor Marx, l’ultima figlia del celebre filosofo tedesco.

Donna acculturata, amante della letteratura e del teatro (sua è la prima traduzione in inglese di Madame Bovary), spiritosa e vivace, ovviamente socialista e attivista politica, Eleanor Marx fu un personaggio storico di straordinaria complessità.

Nacque il 16 gennaio 1855 a Londra, in un periodo in cui i coniugi Marx stavano sperimentando una miseria impietosa. Nonostante tutto, Eleanor crebbe amata, coccolata e incredibilmente istruita, potendo in effetti vantare come primo maestro uno dei filosofi più influenti non della storia. Inoltre, la possibilità di confrontarsi continuamente con personaggi del calibro di Engels e degli ospiti che transitavano per casa Marx le consentì di sviluppare un’eccezionale intelligenza critica:

A tavola, quando riuscivano a mettere insieme un pasto decente, si parlava dei fatti del mondo con cognizione di causa, l’ironia e l’umorismo intelligente erano utilizzati a piene mani, la curiosità e la libertà d’indagare, di leggere, d’informarsi e d’istruirsi erano garantite più del pane […].

La mediocrità del mondo

Tutto ciò non fu sufficiente a garantirle la felicità. Questo è un punto sul quale insiste Barbara Minniti: la fortuna di essere cresciuta nella ricchezza intellettuale, di essere stata educata alla riflessione, all’ambizione, al pensiero libero e sfrontato, doveva per ironia della sorte costringerla a scontrarsi con la mediocrità del mondo reale, rivelandosi in fin dei conti un’amara sfortuna. Eleanor, alla pari della sua amata Emma, si trovò ben presto catapultata in un mondo ben al di sotto delle proprie aspettative:

Per Eleanor, cresciuta sotto due querce come il Moro e il Generale, due cervelli di qualità superiore e due personalità solide […], doveva essere molto scoraggiante e deprimente il rendersi conto di essere immersa in un ambiente in cui la faziosità era all’ordine del giorno, circondata da personaggi che sicuramente riteneva degni al massimo di pulir loro le scarpe.


L’impatto violento fra gli ideali e la realtà condusse Eleanor a nevrosi, crisi isteriche, anoressia e perfino minacce di suicidio confessate all’amato compagno Edward Aveling, con il quale viveva ormai da anni in uno stato di more uxorio. E quando nel 1898 Eleanor scoprì che Edward aveva sposato a sua insaputa una giovane attrice, la delusione e il dolore divennero davvero insostenibili, tanto da indurla ad avvelenarsi; lasciò al proprio amato un’ultima lettera di addio, in cui ribadiva l’immenso affetto che aveva nutrito per lui.

Il personaggio di miss Marx è dunque così sfaccettato e tragico da assomigliare all’eroina di un romanzo ottocentesco: ma si tratta di una persona reale e le sue vicende non sono una storia, sono nella Storia. Tuttavia, non è solo su Eleanor che l’autrice del saggio si sofferma: a essere raccontata è in realtà l’intera famiglia Marx, amici e generi compresi. E il modo di raccontare è assai originale.

Irresistibile ironia

Barbara Minniti sfrutta le sue doti di scrittrice per fondere il genere saggistico e quello narrativo, sicché non solo Eleanor, ma anche gli altri personaggi hanno tutta l’aria di appartenere a un romanzo. E proprio come in un romanzo, non mancano i colpi di scena, i momenti tragici, e una robusta dose di romanticismo: il colpo di fulmine fra Karl e la nobildonna Jenny, la triste perdita di quattro figli che la coppia patì, la grande amicizia fra Marx e il ricco imprenditore Engels, il contrastato amore di quest’ultimo per un’umile operaia irlandese e, perfino, lo scandalo di un presunto figlio illegittimo di Marx.

La storia, dunque, già molto affascinante di per sé, viene valorizzata dalle mani di Barbara Minniti con uno stile voluttuoso che cattura prepotentemente l’attenzione:
Non sappiamo se Gertrude Gentry, tornata a casa dopo aver riconsegnato il libro dei veleni al farmacista, cacciò il classico grido di orrore hitchcockiano.
La sua padrona era stesa sul letto semivestita, la bava alla bocca, il volto bluastro, il rantolo del moribondo.
Se l’idea di leggere un libro sulla vita della famiglia Marx vi sembra a questo punto ancora tediosa, è perché non conoscete l’umorismo sfacciato e irriverente di cui l’autrice è dotata.
L’irresistibile ironia e le numerose battute alleggeriscono e sdrammatizzano la biografia, senza tuttavia intaccarne minimamente la professionalità e l’attendibilità:
Questo materiale, che oggi servirebbe a riempire le pagine delle nostre riviste di gossip (anche se i protagonisti non hanno esattamente le fisic du rôle per apparire su pagine patinate, a parte Engels che era un vero figaccio, una via di mezzo tra John Huston e Jason Robards), arrivò poi nelle mani del secondo direttore dell’Istituto moscovita […].
Conclusioni
In conclusione, Miss Marx è un accurato saggio che riesce a parlare della tragica vita di Eleanor Marx senza però rinunciare alla briosità. È di certo divertente e illuminante per gli adulti, ma ammicca anche a un pubblico giovane, ormai sempre più insofferente a una certa saggistica inutilmente ampollosa.
E dunque, come di consueto, non mi resta che augurarvi buona lettura!


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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