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Il vizio del diavolo
MANGIALIBRI di venerd 13 novembre 2020


di Paola Clerico
Corinna ha 14 anni. orfana e dalla morte della madre vive nello stesso collegio in cui lei insegnava, accolta con generosa piet dal direttore. Non fa nulla per nascondere la rabbia e il risentimento che prova sepolta viva e da adolescente in quel collegio simile a un penitenziario. Insofferente alle regole fuma di nascosto, dice parolacce, beve birra e sul cellulare guarda film horror e di fantascienza oppure si perde in giochi virtuali violenti, nonostante i rimproveri dei religiosi che considerano i vizi come anticamera del peccato. Pensa di non potersi permettere la debolezza di piangere, ma come tutti gli adolescenti vittima di quella fragilit tipica della zona di confine tra linfanzia e let adulta. La sera dellAntivigilia di Natale, quando il collegio ormai vuoto di studenti e insegnanti tornati alle famiglie, e oltre Corinna restano solo due suore e un prete, si scatena un nubifragio che affoga la campagna e sferza la pietra dello sperduto mausoleo. Ed dopo il crepuscolo che inizia lincubo. Fumando in giardino di nascosto, avverte una presenza che la spia: solo una sensazione, un brivido, ma cos reale che senza pensare ripercorre di corsa la strada ormai scivolosa per la pioggia e il muschio, e si rifugia al sicuro dietro al pesante portone del collegio. Il diavolo ha cominciato il suo inganno nascosto negli angoli bui, e mentre confonde tutti e tutti sono possibili sospettati, lui sghignazza: del resto ingannare uno dei suoi vizi...

Ambientato nella campagna italiana, Il vizio del diavolo trasmette una sottile ansia gi dalle prime pagine, come se davvero il diavolo si aggirasse dapprima nel giardino zuppo e poi nei corridoi silenziosi e bui del collegio. Il ritmo lento, lo scenario, le descrizioni dettagliate di luoghi e situazioni e lesiguo numero dei personaggi: tutto contribuisce ad aumentare la sensazione di inquietudine che cresce gradualmente nel lettore. I personaggi sono sfaccettati, ognuno di loro ha un segreto da nascondere e zone dombra che si notano solo quando cambia la luce, tutti sembrano essere colpevoli, basta guardare da unaltra angolazione per mutare la prospettiva e rendere verosimile una teoria diversa: come se davvero il diavolo si divertisse a seminare diffidenza e scetticismo, confondendo anche il lettore. Lambientazione sembra uscire direttamente da un romanzo inglese del secolo scorso, con il collegio in pietra, i corridoi bui, il nubifragio, la nebbia... Cos come lo stesso Enrico Luceri ammette nella postfazione, citando diverse opere letterarie e cinematografiche che avrebbe omaggiato nella stesura del romanzo, attingendo, tra gli altri, da Pupi Avati, Agatha Christie, Dario Argento. Il dualismo tra religione e peccato e lattenzione ai particolari offrono una chiave di lettura interessante: La presenza del diavolo non sempre una materializzazione del male, ma semplicemente il modo subdolo ed efficace, purtroppo, con cui possiede lanima dei peccatori.


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Corinna ha 14 anni. orfana e dalla morte della madre vive nello stesso collegio in cui lei insegnava, accolta con generosa piet dal direttore. Non fa nulla per nascondere la rabbia e il risentimento che prova sepolta viva e da adolescente in quel collegio simile a un penitenziario. Insofferente alle regole fuma di nascosto, dice parolacce, beve birra e sul cellulare guarda film horror e di fantascienza oppure si perde in giochi virtuali violenti, nonostante i rimproveri dei religiosi che considerano i vizi come anticamera del peccato. Pensa di non potersi permettere la debolezza di piangere, ma come tutti gli adolescenti vittima di quella fragilit tipica della zona di confine tra linfanzia e let adulta. La sera dellAntivigilia di Natale, quando il collegio ormai vuoto di studenti e insegnanti tornati alle famiglie, e oltre Corinna restano solo due suore e un prete, si scatena un nubifragio che affoga la campagna e sferza la pietra dello sperduto mausoleo. Ed dopo il crepuscolo che inizia lincubo. Fumando in giardino di nascosto, avverte una presenza che la spia: solo una sensazione, un brivido, ma cos reale che senza pensare ripercorre di corsa la strada ormai scivolosa per la pioggia e il muschio, e si rifugia al sicuro dietro al pesante portone del collegio. Il diavolo ha cominciato il suo inganno nascosto negli angoli bui, e mentre confonde tutti e tutti sono possibili sospettati, lui sghignazza: del resto ingannare uno dei suoi vizi...

Ambientato nella campagna italiana, Il vizio del diavolo trasmette una sottile ansia gi dalle prime pagine, come se davvero il diavolo si aggirasse dapprima nel giardino zuppo e poi nei corridoi silenziosi e bui del collegio. Il ritmo lento, lo scenario, le descrizioni dettagliate di luoghi e situazioni e lesiguo numero dei personaggi: tutto contribuisce ad aumentare la sensazione di inquietudine che cresce gradualmente nel lettore. I personaggi sono sfaccettati, ognuno di loro ha un segreto da nascondere e zone dombra che si notano solo quando cambia la luce, tutti sembrano essere colpevoli, basta guardare da unaltra angolazione per mutare la prospettiva e rendere verosimile una teoria diversa: come se davvero il diavolo si divertisse a seminare diffidenza e scetticismo, confondendo anche il lettore. Lambientazione sembra uscire direttamente da un romanzo inglese del secolo scorso, con il collegio in pietra, i corridoi bui, il nubifragio, la nebbia... Cos come lo stesso Enrico Luceri ammette nella postfazione, citando diverse opere letterarie e cinematografiche che avrebbe omaggiato nella stesura del romanzo, attingendo, tra gli altri, da Pupi Avati, Agatha Christie, Dario Argento. Il dualismo tra religione e peccato e lattenzione ai particolari offrono una chiave di lettura interessante: La presenza del diavolo non sempre una materializzazione del male, ma semplicemente il modo subdolo ed efficace, purtroppo, con cui possiede lanima dei peccatori.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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