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“Il tendone dei sogni” – Sanja Hiblovic Regazzoni
lefrasipiubelledeilibri.it di martedì 24 novembre 2020


di Sonia Paolorossi
Una vita divisa dallo stesso mare di Santa hiblovic Regazzoni è la storia di una donna che nasce nella ex-jugoslavia, dove ha un’infanzia travagliata, divisa tra due affetti: la mamma e il papà, la Croazia e la Serbia; conosce l’amore, mette al mondo una figlia quando è ancora giovane e si trova improvvisamente sola ad affrontare una vita per niente facile che, a un certo punto, da Belgrado, al momento dello scoppio della guerra, la costringe a spostarsi in Italia, dove non si perdere mai d’animo. Sanja racconta le sue avventure in giro per il nostro Stivale a bordo del carrozzone del circo che fa da cornice alla sua vita.
“Scritto in maniera semplice, riguardo vicende che non lo sono affatto, in luoghi disseminati in vari paesi” scrive lo scrittore serbo Goran stojicic “una vita divisa dallo stesso mare” racconta “una vita che in pochi possono dire di aver vissuto, insoliti e rari rapporti tra i personaggi (quando mai avete letto di persone meravigliose che lavorano nel circo, senza che fossero frutto della fantasia?). Il parto, la vita, la morte… L’amore… Santa per descrivere le emozioni utilizza colori che non hanno un nome, che prima di lei nemmeno esistevano. Sulla sua tavolozza scrittoria mescola ciò che di più delicato può essere spremuto dai tubetti delle parole e amalgamando crea sfumature che guariscono l’anima, modificano le espressioni del viso dei lettori, da quelle deformate dalle risate ad altre diverse, umide di lacrime.
È fantastico vedere con quanta semplicità vengono affrontati temi difficili e quanto materiale scivoli sinuoso tra le righe, raggiunga le dita che tengono il libro e si riversi nel vostro sistema sanguigno, attraverso spazi che non sapevate esistessero. A dir la verità si trovano lì proprio solo per accogliere le emozioni di Santa. Non è un caso che questo romanzo sia nelle vostre mani. Dopo di lui vi sentirete meglio, indipendentemente da quanti fazzoletti avrete consumato. E ne avrete consumati sicuramente più del tempo impiegato, perché si legge in un sospiro, abbandonati ai viaggi in cui vi avventurerete. Sanja vi condurre in luoghi dove forse siete già stati, ma che non avete mai vissuto in questo modo”.

RECENSIONI
La storia di Sanja inizia nella ex Jugolsavia. E’ una bambina come molte, felice come solo nell’età dell’incoscienza è possibile esserlo. Le sue giornate trascorrono serene tra tuffi in un mare blu intenso, cibi che sanno di tradizione, affetti familiari indistruttibili. Un giorno, però, Sanja viene posta di fronte ad un dilemma troppo grande per la sua età e la sua vita cambia radicalmente. Sull’aereo che da Cavtat la porta a Belgrado, piange in silenzio le sue ultime lacrime da bambina. Negli anni dell’adolescenza, la sua vita scorre tra la scuola, l’affetto della famiglia paterna e i ricongiungimenti periodici con ciò che ha di più caro: sua madre, il suo mare, Cavtat, le sue radici.
Un tempo scandito da rituali, abitudini, piccole gioie improvvise, grandi felicità programmate e dolori mai sopiti. Questo tempo assume, pian piano, anche i colori dell’amore. Sanja si sposa e diventa una madre giovanissima. Quell’amore, però, non è destinato a durare: Sanja e la sua bambina crescono insieme, da sole seppure mai prive dell’affetto di familiari e amici. Nel frattempo i conflitti imperversano nella sua terra e Sanja decide di partire in cerca di un futuro migliore: la sua destinazione è appena al di là del mare. L’Italia l’accoglie donandole nuovi paesaggi, nuove opportunità e nuovi amori.
Proprio grazie ad uno di essi Sanja scopre il meraviglioso mondo del Circo Orfei, una carovana itinerante che diventerà per lei una seconda famiglia.
Proprio al seguito del Circo, Sanja esplora in lungo e in largo la nostra Penisola, innamorandosi di quella bellezza che solo l’Italia è in grado di regalare. Sono anni felici, seppure con gli alti e bassi di ogni esistenza. Come sempre, però, arriva un momento in cui tutta quella felicità sembra dissolversi come neve al sole. Il dolore e la perdita si insinuano nel suo cuore. Le sue radici sembrano irrimediabilmente perdute.
Eppure, proprio scavando a fondo nel suo passato, facendo pace con esso e guardandolo con occhi nuovi, Sanja riesce a vivere nuovamente il presente e a guardare con fiducia al futuro. In quest’autobiografia, intensa e commovente come poche, Sanja Hiblovic Regazzoni racconta una storia di amore, accoglienza, tenerezza e nostalgia. Da bravo “padrone di casa”, ogni italiano sarà orgoglioso di vedere come il nostro Paese abbia saputo offrire e Sanja non solo un lavoro e delle opportunità, ma anche una vera integrazione libera dai pregiudizi e dagli stereotipi, donandole calore e amicizia.
Interessante è anche il magico mondo del circo, raccontato con gli occhi di chi lo ha vissuto apprezzandone pregi e difetti. Ma quella di Sanja non è solo la voce narrante di una realtà fuori dal comune. Sotto, c’è molto di più. Quello che traspare più di ogni altra cosa è l’urgenza di raccontare le emozioni di una vita intera, i fallimenti, le speranze, i piccoli e grandi dolori, le immense gioie e la felicità derivante dalle piccole cose. L’impressione, allora, è che il tendone dei sogni cui fa riferimento il titolo non sia quello colorato di un circo, bensì quello – infinitamente più esteso e meraviglioso – sotto il quale va in scena il più magico degli spettacoli: la nostra stessa esistenza.
In questa autobiografia l’amore, la nostalgia, l’ambizione e la fiducia nel futuro si mescolano insieme, creando un quadro spettacolare in cui ognuno di noi, osservandolo a fondo, può ritrovare se stesso.
[©Antonella Venturi]


leggi l'articolo integrale su lefrasipiubelledeilibri.it
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di Sonia Paolorossi
Una vita divisa dallo stesso mare di Santa hiblovic Regazzoni è la storia di una donna che nasce nella ex-jugoslavia, dove ha un’infanzia travagliata, divisa tra due affetti: la mamma e il papà, la Croazia e la Serbia; conosce l’amore, mette al mondo una figlia quando è ancora giovane e si trova improvvisamente sola ad affrontare una vita per niente facile che, a un certo punto, da Belgrado, al momento dello scoppio della guerra, la costringe a spostarsi in Italia, dove non si perdere mai d’animo. Sanja racconta le sue avventure in giro per il nostro Stivale a bordo del carrozzone del circo che fa da cornice alla sua vita.
“Scritto in maniera semplice, riguardo vicende che non lo sono affatto, in luoghi disseminati in vari paesi” scrive lo scrittore serbo Goran stojicic “una vita divisa dallo stesso mare” racconta “una vita che in pochi possono dire di aver vissuto, insoliti e rari rapporti tra i personaggi (quando mai avete letto di persone meravigliose che lavorano nel circo, senza che fossero frutto della fantasia?). Il parto, la vita, la morte… L’amore… Santa per descrivere le emozioni utilizza colori che non hanno un nome, che prima di lei nemmeno esistevano. Sulla sua tavolozza scrittoria mescola ciò che di più delicato può essere spremuto dai tubetti delle parole e amalgamando crea sfumature che guariscono l’anima, modificano le espressioni del viso dei lettori, da quelle deformate dalle risate ad altre diverse, umide di lacrime.
È fantastico vedere con quanta semplicità vengono affrontati temi difficili e quanto materiale scivoli sinuoso tra le righe, raggiunga le dita che tengono il libro e si riversi nel vostro sistema sanguigno, attraverso spazi che non sapevate esistessero. A dir la verità si trovano lì proprio solo per accogliere le emozioni di Santa. Non è un caso che questo romanzo sia nelle vostre mani. Dopo di lui vi sentirete meglio, indipendentemente da quanti fazzoletti avrete consumato. E ne avrete consumati sicuramente più del tempo impiegato, perché si legge in un sospiro, abbandonati ai viaggi in cui vi avventurerete. Sanja vi condurre in luoghi dove forse siete già stati, ma che non avete mai vissuto in questo modo”.

RECENSIONI
La storia di Sanja inizia nella ex Jugolsavia. E’ una bambina come molte, felice come solo nell’età dell’incoscienza è possibile esserlo. Le sue giornate trascorrono serene tra tuffi in un mare blu intenso, cibi che sanno di tradizione, affetti familiari indistruttibili. Un giorno, però, Sanja viene posta di fronte ad un dilemma troppo grande per la sua età e la sua vita cambia radicalmente. Sull’aereo che da Cavtat la porta a Belgrado, piange in silenzio le sue ultime lacrime da bambina. Negli anni dell’adolescenza, la sua vita scorre tra la scuola, l’affetto della famiglia paterna e i ricongiungimenti periodici con ciò che ha di più caro: sua madre, il suo mare, Cavtat, le sue radici.
Un tempo scandito da rituali, abitudini, piccole gioie improvvise, grandi felicità programmate e dolori mai sopiti. Questo tempo assume, pian piano, anche i colori dell’amore. Sanja si sposa e diventa una madre giovanissima. Quell’amore, però, non è destinato a durare: Sanja e la sua bambina crescono insieme, da sole seppure mai prive dell’affetto di familiari e amici. Nel frattempo i conflitti imperversano nella sua terra e Sanja decide di partire in cerca di un futuro migliore: la sua destinazione è appena al di là del mare. L’Italia l’accoglie donandole nuovi paesaggi, nuove opportunità e nuovi amori.
Proprio grazie ad uno di essi Sanja scopre il meraviglioso mondo del Circo Orfei, una carovana itinerante che diventerà per lei una seconda famiglia.
Proprio al seguito del Circo, Sanja esplora in lungo e in largo la nostra Penisola, innamorandosi di quella bellezza che solo l’Italia è in grado di regalare. Sono anni felici, seppure con gli alti e bassi di ogni esistenza. Come sempre, però, arriva un momento in cui tutta quella felicità sembra dissolversi come neve al sole. Il dolore e la perdita si insinuano nel suo cuore. Le sue radici sembrano irrimediabilmente perdute.
Eppure, proprio scavando a fondo nel suo passato, facendo pace con esso e guardandolo con occhi nuovi, Sanja riesce a vivere nuovamente il presente e a guardare con fiducia al futuro. In quest’autobiografia, intensa e commovente come poche, Sanja Hiblovic Regazzoni racconta una storia di amore, accoglienza, tenerezza e nostalgia. Da bravo “padrone di casa”, ogni italiano sarà orgoglioso di vedere come il nostro Paese abbia saputo offrire e Sanja non solo un lavoro e delle opportunità, ma anche una vera integrazione libera dai pregiudizi e dagli stereotipi, donandole calore e amicizia.
Interessante è anche il magico mondo del circo, raccontato con gli occhi di chi lo ha vissuto apprezzandone pregi e difetti. Ma quella di Sanja non è solo la voce narrante di una realtà fuori dal comune. Sotto, c’è molto di più. Quello che traspare più di ogni altra cosa è l’urgenza di raccontare le emozioni di una vita intera, i fallimenti, le speranze, i piccoli e grandi dolori, le immense gioie e la felicità derivante dalle piccole cose. L’impressione, allora, è che il tendone dei sogni cui fa riferimento il titolo non sia quello colorato di un circo, bensì quello – infinitamente più esteso e meraviglioso – sotto il quale va in scena il più magico degli spettacoli: la nostra stessa esistenza.
In questa autobiografia l’amore, la nostalgia, l’ambizione e la fiducia nel futuro si mescolano insieme, creando un quadro spettacolare in cui ognuno di noi, osservandolo a fondo, può ritrovare se stesso.
[©Antonella Venturi]


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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