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Quando l'amor di patria è pericoloso
Fenice Bookstore di martedì 5 gennaio 2021
Non sono in molti a conoscere la vicenda storica di Maria Pasquinelli, e chi la sa, la sbandiera come un vessillo politico della Destra, anche quella più estrema, come una “pasionaria nera” del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra. Personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, la Pasquinelli, maestra elementare, fervente patriota, infarcita di miti risorgimentali e cresciuta nell’entusiasmo verso il regime e la mistica fascista, sembra volere, come in una tragedia greca, inseguire la morte, immolarsi per una causa, della quale, poi, sarà la prima a ricredersi. “Se non tornassi più” scriverà “raccomandate alla mia famiglia di non affliggersi. Ho sempre creduto che la morte per l’Ideale fosse la più bella. Dite che ho realizzato il mio sogno”. Non sono in molti a conoscere la vice

di Cinzia Esposito
Non sono in molti a conoscere la vicenda storica di Maria Pasquinelli, e chi la sa, la sbandiera come un vessillo politico della Destra, anche quella più estrema, come una “pasionaria nera” del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra.
Personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, la Pasquinelli, maestra elementare, fervente patriota, infarcita di miti risorgimentali e cresciuta nell’entusiasmo verso il regime e la mistica fascista, sembra volere, come in una tragedia greca, inseguire la morte, immolarsi per una causa, della quale, poi, sarà la prima a ricredersi. “Se non tornassi più” scriverà “raccomandate alla mia famiglia di non affliggersi. Ho sempre creduto che la morte per l’Ideale fosse la più bella. Dite che ho realizzato il mio sogno”. Non sono in molti a conoscere la vicenda storica di Maria Pasquinelli, e chi la sa, la sbandiera come un vessillo politico della Destra, anche quella più estrema, come una “pasionaria nera” del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra.
Personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, la Pasquinelli, maestra elementare, fervente patriota, infarcita di miti risorgimentali e cresciuta nell’entusiasmo verso il regime e la mistica fascista, sembra volere, come in una tragedia greca, inseguire la morte, immolarsi per una causa, della quale, poi, sarà la prima a ricredersi. “Se non tornassi più” scriverà “raccomandate alla mia famiglia di non affliggersi. Ho sempre creduto che la morte per l’Ideale fosse la più bella. Dite che ho realizzato il mio sogno”.
Arruolata volontaria crocerossina, nel 1940 segue le truppe in Libia, per poi raggiungere, travestita da uomo e con documenti falsi, la prima linea del fronte, ma viene smascherata e riportata in Italia. Si reca poi a Spalato come insegnante di italiano, quando la città, annessa all’Italia nel 1941, dopo l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, è incorporata nel Governatorato di Dalmazia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre – di fronte allo sbandamento, alla disorganizzazione e mancanza di etica dei soldati italiani, imbelli contro le rappresaglie dei partigiani jugoslavi contro militari e civili italiani – la Pasquinelli subisce il crollo miserabile di tutti gli ideali su cui aveva fondato la sua esistenza. Da quel momento in poi si allontana dal fascismo per definirsi semplicemente una patriota italiana. Lei stessa viene imprigionata e condannata a morte e liberata dalle forze tedesche entrate in città e si prodiga a riesumare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani e militari per poterne restituire i corpi.
Dopo altre attività, anche come giornalista e inviata sotto copertura a Trieste e in Istria, il destino della Pasquinelli si compie nel febbraio del 1947. Mentre a Parigi si firma il trattato di pace che consegna l’Istria e Fiume alla Jugoslavia di Tito, lei non può sopportare quello che considera un intollerabile oltraggio all’Italia. Così, quando il generale inglese Robert De Winton sta per consegnare le chiavi della città di Pola, barbaramente lei lo assassina, sparandogli alle spalle. E’ perfettamente consapevole del gesto che compie, nella tasca del cappotto conserva un biglietto che ne spiega le ragioni, perché è convinta che sarà giustiziata all’istante. Non sarà così, perché le munizioni dei soldati presenti alla cerimonia sono caricate a salve. Verrà condannata all’ergastolo e rinchiusa nelle prigioni di Verona, Perugia, Firenze, per poi ottenere nel 1964 la grazia presidenziale, una grazia “mai richiesta”. Tornerà a Bergamo a fare la maestra e morirà centenaria, proprio lei che voleva essere la vittima designata del proprio ideale.
Tutta questa vicenda è stata minuziosamente e dettagliatamente ricostruita e trattata dal punto di vista squisitamente storico da Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti, due giornaliste de “La voce del popolo” di Fiume, che restituiscono intatta la voce della Pasquinelli, pubblicandone carte, diari e relazioni, conservate per anni in una cassa presso una banca triestina, sotto la custodia del vescovo di Pola, Monsignor Antonio Santin. Il materiale era vastissimo e necessitava di un’accurata sistemazione cronologica e temporale, con la comparazione dei fatti narrati con i documenti storici.
Ne è nato un libro difficile, che aprirà spazio alle discussioni e per tratti scomodo, ma coraggioso, perché narra, al di là di ogni credo politico e forma di ideologia, una vicenda storiografica accaduta in un territorio “diverso” dal contesto nazionale come l’Istria, ma che andava comunque rivelata. Questo, nel pieno spirito della collana “Letture del mondo” di Oltre Edizioni, che intende raccontare, attraverso la memoria personale delle vicende private, la Storia e anche le più nascoste ed ingombranti verità. Arruolata volontaria crocerossina, nel 1940 segue le truppe in Libia, per poi raggiungere, travestita da uomo e con documenti falsi, la prima linea del fronte, ma viene smascherata e riportata in Italia. Si reca poi a Spalato come insegnante di italiano, quando la città, annessa all’Italia nel 1941, dopo l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, è incorporata nel Governatorato di Dalmazia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre – di fronte allo sbandamento, alla disorganizzazione e mancanza di etica dei soldati italiani, imbelli contro le rappresaglie dei partigiani jugoslavi contro militari e civili italiani – la Pasquinelli subisce il crollo miserabile di tutti gli ideali su cui aveva fondato la sua esistenza. Da quel momento in poi si allontana dal fascismo per definirsi semplicemente una patriota italiana. Lei stessa viene imprigionata e condannata a morte e liberata dalle forze tedesche entrate in città e si prodiga a riesumare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani e militari per poterne restituire i corpi.
Dopo altre attività, anche come giornalista e inviata sotto copertura a Trieste e in Istria, il destino della Pasquinelli si compie nel febbraio del 1947. Mentre a Parigi si firma il trattato di pace che consegna l’Istria e Fiume alla Jugoslavia di Tito, lei non può sopportare quello che considera un intollerabile oltraggio all’Italia. Così, quando il generale inglese Robert De Winton sta per consegnare le chiavi della città di Pola, barbaramente lei lo assassina, sparandogli alle spalle. E’ perfettamente consapevole del gesto che compie, nella tasca del cappotto conserva un biglietto che ne spiega le ragioni, perché è convinta che sarà giustiziata all’istante. Non sarà così, perché le munizioni dei soldati presenti alla cerimonia sono caricate a salve. Verrà condannata all’ergastolo e rinchiusa nelle prigioni di Verona, Perugia, Firenze, per poi ottenere nel 1964 la grazia presidenziale, una grazia “mai richiesta”. Tornerà a Bergamo a fare la maestra e morirà centenaria, proprio lei che voleva essere la vittima designata del proprio ideale.
Tutta questa vicenda è stata minuziosamente e dettagliatamente ricostruita e trattata dal punto di vista squisitamente storico da Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti, due giornaliste de “La voce del popolo” di Fiume, che restituiscono intatta la voce della Pasquinelli, pubblicandone carte, diari e relazioni, conservate per anni in una cassa presso una banca triestina, sotto la custodia del vescovo di Pola, Monsignor Antonio Santin. Il materiale era vastissimo e necessitava di un’accurata sistemazione cronologica e temporale, con la comparazione dei fatti narrati con i documenti storici.
Ne è nato un libro difficile, che aprirà spazio alle discussioni e per tratti scomodo, ma coraggioso, perché narra, al di là di ogni credo politico e forma di ideologia, una vicenda storiografica accaduta in un territorio “diverso” dal contesto nazionale come l’Istria, ma che andava comunque rivelata. Questo, nel pieno spirito della collana “Letture del mondo” di Oltre Edizioni, che intende raccontare, attraverso la memoria personale delle vicende private, la Storia e anche le più nascoste ed ingombranti verità.


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Non sono in molti a conoscere la vicenda storica di Maria Pasquinelli, e chi la sa, la sbandiera come un vessillo politico della Destra, anche quella più estrema, come una “pasionaria nera” del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra. Personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, la Pasquinelli, maestra elementare, fervente patriota, infarcita di miti risorgimentali e cresciuta nell’entusiasmo verso il regime e la mistica fascista, sembra volere, come in una tragedia greca, inseguire la morte, immolarsi per una causa, della quale, poi, sarà la prima a ricredersi. “Se non tornassi più” scriverà “raccomandate alla mia famiglia di non affliggersi. Ho sempre creduto che la morte per l’Ideale fosse la più bella. Dite che ho realizzato il mio sogno”. Non sono in molti a conoscere la vice

di Cinzia Esposito
Non sono in molti a conoscere la vicenda storica di Maria Pasquinelli, e chi la sa, la sbandiera come un vessillo politico della Destra, anche quella più estrema, come una “pasionaria nera” del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra.
Personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, la Pasquinelli, maestra elementare, fervente patriota, infarcita di miti risorgimentali e cresciuta nell’entusiasmo verso il regime e la mistica fascista, sembra volere, come in una tragedia greca, inseguire la morte, immolarsi per una causa, della quale, poi, sarà la prima a ricredersi. “Se non tornassi più” scriverà “raccomandate alla mia famiglia di non affliggersi. Ho sempre creduto che la morte per l’Ideale fosse la più bella. Dite che ho realizzato il mio sogno”. Non sono in molti a conoscere la vicenda storica di Maria Pasquinelli, e chi la sa, la sbandiera come un vessillo politico della Destra, anche quella più estrema, come una “pasionaria nera” del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra.
Personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, la Pasquinelli, maestra elementare, fervente patriota, infarcita di miti risorgimentali e cresciuta nell’entusiasmo verso il regime e la mistica fascista, sembra volere, come in una tragedia greca, inseguire la morte, immolarsi per una causa, della quale, poi, sarà la prima a ricredersi. “Se non tornassi più” scriverà “raccomandate alla mia famiglia di non affliggersi. Ho sempre creduto che la morte per l’Ideale fosse la più bella. Dite che ho realizzato il mio sogno”.
Arruolata volontaria crocerossina, nel 1940 segue le truppe in Libia, per poi raggiungere, travestita da uomo e con documenti falsi, la prima linea del fronte, ma viene smascherata e riportata in Italia. Si reca poi a Spalato come insegnante di italiano, quando la città, annessa all’Italia nel 1941, dopo l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, è incorporata nel Governatorato di Dalmazia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre – di fronte allo sbandamento, alla disorganizzazione e mancanza di etica dei soldati italiani, imbelli contro le rappresaglie dei partigiani jugoslavi contro militari e civili italiani – la Pasquinelli subisce il crollo miserabile di tutti gli ideali su cui aveva fondato la sua esistenza. Da quel momento in poi si allontana dal fascismo per definirsi semplicemente una patriota italiana. Lei stessa viene imprigionata e condannata a morte e liberata dalle forze tedesche entrate in città e si prodiga a riesumare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani e militari per poterne restituire i corpi.
Dopo altre attività, anche come giornalista e inviata sotto copertura a Trieste e in Istria, il destino della Pasquinelli si compie nel febbraio del 1947. Mentre a Parigi si firma il trattato di pace che consegna l’Istria e Fiume alla Jugoslavia di Tito, lei non può sopportare quello che considera un intollerabile oltraggio all’Italia. Così, quando il generale inglese Robert De Winton sta per consegnare le chiavi della città di Pola, barbaramente lei lo assassina, sparandogli alle spalle. E’ perfettamente consapevole del gesto che compie, nella tasca del cappotto conserva un biglietto che ne spiega le ragioni, perché è convinta che sarà giustiziata all’istante. Non sarà così, perché le munizioni dei soldati presenti alla cerimonia sono caricate a salve. Verrà condannata all’ergastolo e rinchiusa nelle prigioni di Verona, Perugia, Firenze, per poi ottenere nel 1964 la grazia presidenziale, una grazia “mai richiesta”. Tornerà a Bergamo a fare la maestra e morirà centenaria, proprio lei che voleva essere la vittima designata del proprio ideale.
Tutta questa vicenda è stata minuziosamente e dettagliatamente ricostruita e trattata dal punto di vista squisitamente storico da Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti, due giornaliste de “La voce del popolo” di Fiume, che restituiscono intatta la voce della Pasquinelli, pubblicandone carte, diari e relazioni, conservate per anni in una cassa presso una banca triestina, sotto la custodia del vescovo di Pola, Monsignor Antonio Santin. Il materiale era vastissimo e necessitava di un’accurata sistemazione cronologica e temporale, con la comparazione dei fatti narrati con i documenti storici.
Ne è nato un libro difficile, che aprirà spazio alle discussioni e per tratti scomodo, ma coraggioso, perché narra, al di là di ogni credo politico e forma di ideologia, una vicenda storiografica accaduta in un territorio “diverso” dal contesto nazionale come l’Istria, ma che andava comunque rivelata. Questo, nel pieno spirito della collana “Letture del mondo” di Oltre Edizioni, che intende raccontare, attraverso la memoria personale delle vicende private, la Storia e anche le più nascoste ed ingombranti verità. Arruolata volontaria crocerossina, nel 1940 segue le truppe in Libia, per poi raggiungere, travestita da uomo e con documenti falsi, la prima linea del fronte, ma viene smascherata e riportata in Italia. Si reca poi a Spalato come insegnante di italiano, quando la città, annessa all’Italia nel 1941, dopo l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, è incorporata nel Governatorato di Dalmazia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre – di fronte allo sbandamento, alla disorganizzazione e mancanza di etica dei soldati italiani, imbelli contro le rappresaglie dei partigiani jugoslavi contro militari e civili italiani – la Pasquinelli subisce il crollo miserabile di tutti gli ideali su cui aveva fondato la sua esistenza. Da quel momento in poi si allontana dal fascismo per definirsi semplicemente una patriota italiana. Lei stessa viene imprigionata e condannata a morte e liberata dalle forze tedesche entrate in città e si prodiga a riesumare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani e militari per poterne restituire i corpi.
Dopo altre attività, anche come giornalista e inviata sotto copertura a Trieste e in Istria, il destino della Pasquinelli si compie nel febbraio del 1947. Mentre a Parigi si firma il trattato di pace che consegna l’Istria e Fiume alla Jugoslavia di Tito, lei non può sopportare quello che considera un intollerabile oltraggio all’Italia. Così, quando il generale inglese Robert De Winton sta per consegnare le chiavi della città di Pola, barbaramente lei lo assassina, sparandogli alle spalle. E’ perfettamente consapevole del gesto che compie, nella tasca del cappotto conserva un biglietto che ne spiega le ragioni, perché è convinta che sarà giustiziata all’istante. Non sarà così, perché le munizioni dei soldati presenti alla cerimonia sono caricate a salve. Verrà condannata all’ergastolo e rinchiusa nelle prigioni di Verona, Perugia, Firenze, per poi ottenere nel 1964 la grazia presidenziale, una grazia “mai richiesta”. Tornerà a Bergamo a fare la maestra e morirà centenaria, proprio lei che voleva essere la vittima designata del proprio ideale.
Tutta questa vicenda è stata minuziosamente e dettagliatamente ricostruita e trattata dal punto di vista squisitamente storico da Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti, due giornaliste de “La voce del popolo” di Fiume, che restituiscono intatta la voce della Pasquinelli, pubblicandone carte, diari e relazioni, conservate per anni in una cassa presso una banca triestina, sotto la custodia del vescovo di Pola, Monsignor Antonio Santin. Il materiale era vastissimo e necessitava di un’accurata sistemazione cronologica e temporale, con la comparazione dei fatti narrati con i documenti storici.
Ne è nato un libro difficile, che aprirà spazio alle discussioni e per tratti scomodo, ma coraggioso, perché narra, al di là di ogni credo politico e forma di ideologia, una vicenda storiografica accaduta in un territorio “diverso” dal contesto nazionale come l’Istria, ma che andava comunque rivelata. Questo, nel pieno spirito della collana “Letture del mondo” di Oltre Edizioni, che intende raccontare, attraverso la memoria personale delle vicende private, la Storia e anche le più nascoste ed ingombranti verità.


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OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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