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FAVOLE DEL NOVECENTO «L’ANTAGONISTA ORA Č IL DISORIENTAMENTO»
L'Eco di Bergamo di lunedģ 11 gennaio 2021
L'INTERVISTA A CARLA BORONI. Docente all’Universitą Cattolica di Brescia, ha selezionato i testi degli scrittori moderni. Perso il carattere moralistico

di FRANCESCO MANNONI
Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Lo cunto de li cunti», i fratelli Grimm, «Le mille e una notte», Collodi o Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile – apparentemente – struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio accurato e molto interessante, è andata alla scoperta di quelle che sono «Le nostre favole» (Gammarò Edizioni, 21 euro) selezionando «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana » che hanno approcciato il favolistico. «Il libro – premette la prof.ssa Boroni – si propone di far rivivere la favola e la fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra, Camilleri (tanto per citarne alcuni, ma sono una cinquantina quelli trattati nel libro), tutti pezzi da “novanta” della letteratura contemporanea italiana. I testi di questi insospettabili scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bambini della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte».

Intenti didattici e divulgativi a braccetto in questa antologia critica della favola?
«È nato come “Manuale per studenti di Scienze della formazione primaria” (per il mio insegnamento di Letteratura italiana contemporanea), ma i fruitori si sono aggiunti e stratificati. Un libro abbastanza unico nel suo genere. Un lavoro che presenta dubbi sul codice di valori che un insegnante può proporre, così come accade proprio per la favola moderna. Si è drasticamente esaurita la spinta educativa dei due secoli precedenti, che tanti nomi illustri e tante storie ci avevano regalato, con i loro happy end quasi scontati e con la loro solida morale da perseguire. Il Novecento, con annesso questo ventennio del nostro secolo, si presenta contraddittorio, in equilibrio tra una volontà distruttiva e un costante desiderio di rinascita. Alcuni autori hanno riservato ad essa uno spazio specifico, non certo di secondaria importanza, all’interno della loro produzione. Si sono definiti autori di favole e si sono dedicati alla favola per lo più con intenti di rinnovamento del genere, sentendo la necessità di uniformarsi alle esigenze e agli orientamenti culturali delle generazioni alle quali si rivolgono, che esigono libertà di approccio».

Dagli antichi greci a Rodari, com’è cambiato il mondo della favola?
«Se in passato, da Esopo a Fedro, le favole offrivano consigli di prudenza necessari per la vita quotidiana, per salvarsi dalla violenza, dalla frode, da una società crudele, la favola del ’900 ha perso il carattere “moralistico” e dedica il suo spazio a narrazioni nelle quali i protagonisti non impartiscono delle lezioni esemplari, ma raccontano semplicemente quel che accade. Spetta poi al lettore trarre le conseguenze. Le favole del ’900 ci forniscono una rappresentazione della società che si rispecchia nel disagio dell’uomo e dell’intellettuale. Fin dai tempi antichi, la struttura delle favole consisteva nel contrasto-dialogo tra personaggi, risolto nella prevalenza dell’uno sull’altro. Il protagonista di tante favole del Novecento, invece, spesso non ha un antagonista se non la società in cui vive, e se stesso in tutto il suo disorientamento. Se la peculiarità stilistica di Fedro è la brevitas, uno degli elementi caratteristici del sistema linguistico di Rodari (forse l’erede più “scapestrato” e interessante dei favolisti antichi), che gli deriva dalla sua formazione di giornalista e maestro, è la naturale inclinazione al racconto breve, cui si accompagna la personale tendenza alla narrativa del discorso letterario».


Le favole, la loro morale, ma anche i contenuti talvolta macabri, come agiscono sull’immaginario infantile?
«Streghe malvagie, orchi e matrigne, diavoli e maghi che per secoli hanno popolato l’immaginario di intere generazioni, sono tutti personaggi che custodiscono un patrimonio di risorse interpretative del reale difficilmente attingibile per altre vie. Se le fiabe sono state strumento educativo e formativo prezioso per strati sociali tenuti lontani Gianni Rodari è considerato l’erede più interessante dei favolisti antichi ANSA / DEGIOVANNI EDITORE dalla possibilità di fruire della cultura d’élite, allo stesso tempo hanno fornito un paradigma di riferimento per significati e valori magari oscuri, ma condivisi da un’intera comunità. Veri e propri luoghi di scambio simbolico, le fiabe e favole veicolano messaggi latenti, significati profondi, pensieri collettivi rimossi. La favola moderna è molto più articolata, non è un testo semplice per bambini, anzi essa richiede la comprensione di diversi livelli di significato, si presenta in una nuova veste, si adatta alla realtà espressiva, emozionale e comunicativa del mondo contemporaneo e vuole raccontare la vita dell’uomo “smarrito” nella sua complessità. Il nostro tempo non ha perduto il gusto della favola, ma vi ha inserito una più acuta carica critica e simbolica, con relative allusioni politiche e ricorsi alla satira».


Qual è la reale differenza fra fiaba e favola?
«I termini favola e fiaba derivano etimologicamente da una medesima voce verbale latina, fari, che significa parlare. Fanno capo, quindi, ad una stessa esigenza narrativa, il semplice raccontare. A questa comune origine si sovrappone l’interpretazione che considera la parola fabula come derivata da “faba”, ossia fava, il legume con il quale i romani si divertivano in un passatempo simile a quello dei dadi. Una situazione di svago che rimanda al piacere ricercato anche attraverso il racconto di fantasia. Spesso ai termini favola e fiaba viene attribuito il medesimo significato, ma corrispondono a due generi letterari ben distinti, con origini e sviluppi molto differenti (nel libro io racconto, differenziandole, la fiaba e la favola dalle origini ai giorni nostri). L’evoluzione linguistica dei due generi è simile, ma la caratteristica narrativa è molto diversa; se la favola è un componimento letterario ben strutturato, la fiaba non lo è, tanto che ha radici esclusivamente popolari e orali. Le fiabe sono per lo più racconti fantastici in cui è prevalente l’aspetto narrativo. L’ideale fiabesco si identifica con l’irreale, il magico, il meraviglioso». Perché la favolistica orientale sembra alonata di un fascino maggiore? Esotismo, misteri o altro? «Ci sono raccolte che diventano il punto d’arrivo della complessa favolistica orientale come i Jàtaka e il Panchatantra a cui tutti, dopo, hanno attinto. Soprattutto quest’ultimo, è un composito caleidoscopio dove appaiono animali eletti a simbolo dei diversi atteggiamenti umani. Animali vili o coraggiosi, sciocchi o saggi, fonti di consiglio in merito al vivere quotidiano. Il fascino continua con “Le mille e una notte”, una straordinaria raccolta di novelle orientali, di varia ambientazione sia storica che geografica e di differenti autori.Questa raccolta work in progress è arrivata in Occidente grazie ad Antoine Galland a fine Seicento. Tale mito planetario è stato il trait d’union tra Oriente e Occidente. Il mondo è ancora incantato da questo scrigno di magia orientale intramontabile; califfi, ombre, narghilè, pozioni magiche più note in Occidente che nel mondo arabo».


Gli animali parlanti delle fiabe sono una caricatura dell’uomo spesso più bestiale di loro?
«La favola ha i piedi per terra, nasce con l’uomo, quando questo “animale” vive in dimestichezza con le altre specie. “Che cosa son gli animali, se non le diverse immagini delle nostre virtù e dei nostri vizi, che Dio fa errare davanti al nostro sguardo, i fantasmi visibili delle anime nostre?” come afferma Victor Hugo. Le favole che compaiono nel mondo greco e nel mondo romano hanno come protagonisti gatti, cani, coccodrilli, piccoli serpenti e scarabei, si possono quindi difficilmente separare dalla tradizione egizia, dove questi animali rientrano nell’ambito del sacro e dell’inevitabilmente religioso. Ma diventano più avanti “caricature” dell’uomo. Soprattutto nelle favole contemporanee».


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L'INTERVISTA A CARLA BORONI. Docente all’Universitą Cattolica di Brescia, ha selezionato i testi degli scrittori moderni. Perso il carattere moralistico

di FRANCESCO MANNONI
Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Lo cunto de li cunti», i fratelli Grimm, «Le mille e una notte», Collodi o Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile – apparentemente – struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio accurato e molto interessante, è andata alla scoperta di quelle che sono «Le nostre favole» (Gammarò Edizioni, 21 euro) selezionando «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana » che hanno approcciato il favolistico. «Il libro – premette la prof.ssa Boroni – si propone di far rivivere la favola e la fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra, Camilleri (tanto per citarne alcuni, ma sono una cinquantina quelli trattati nel libro), tutti pezzi da “novanta” della letteratura contemporanea italiana. I testi di questi insospettabili scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bambini della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte».

Intenti didattici e divulgativi a braccetto in questa antologia critica della favola?
«È nato come “Manuale per studenti di Scienze della formazione primaria” (per il mio insegnamento di Letteratura italiana contemporanea), ma i fruitori si sono aggiunti e stratificati. Un libro abbastanza unico nel suo genere. Un lavoro che presenta dubbi sul codice di valori che un insegnante può proporre, così come accade proprio per la favola moderna. Si è drasticamente esaurita la spinta educativa dei due secoli precedenti, che tanti nomi illustri e tante storie ci avevano regalato, con i loro happy end quasi scontati e con la loro solida morale da perseguire. Il Novecento, con annesso questo ventennio del nostro secolo, si presenta contraddittorio, in equilibrio tra una volontà distruttiva e un costante desiderio di rinascita. Alcuni autori hanno riservato ad essa uno spazio specifico, non certo di secondaria importanza, all’interno della loro produzione. Si sono definiti autori di favole e si sono dedicati alla favola per lo più con intenti di rinnovamento del genere, sentendo la necessità di uniformarsi alle esigenze e agli orientamenti culturali delle generazioni alle quali si rivolgono, che esigono libertà di approccio».

Dagli antichi greci a Rodari, com’è cambiato il mondo della favola?
«Se in passato, da Esopo a Fedro, le favole offrivano consigli di prudenza necessari per la vita quotidiana, per salvarsi dalla violenza, dalla frode, da una società crudele, la favola del ’900 ha perso il carattere “moralistico” e dedica il suo spazio a narrazioni nelle quali i protagonisti non impartiscono delle lezioni esemplari, ma raccontano semplicemente quel che accade. Spetta poi al lettore trarre le conseguenze. Le favole del ’900 ci forniscono una rappresentazione della società che si rispecchia nel disagio dell’uomo e dell’intellettuale. Fin dai tempi antichi, la struttura delle favole consisteva nel contrasto-dialogo tra personaggi, risolto nella prevalenza dell’uno sull’altro. Il protagonista di tante favole del Novecento, invece, spesso non ha un antagonista se non la società in cui vive, e se stesso in tutto il suo disorientamento. Se la peculiarità stilistica di Fedro è la brevitas, uno degli elementi caratteristici del sistema linguistico di Rodari (forse l’erede più “scapestrato” e interessante dei favolisti antichi), che gli deriva dalla sua formazione di giornalista e maestro, è la naturale inclinazione al racconto breve, cui si accompagna la personale tendenza alla narrativa del discorso letterario».


Le favole, la loro morale, ma anche i contenuti talvolta macabri, come agiscono sull’immaginario infantile?
«Streghe malvagie, orchi e matrigne, diavoli e maghi che per secoli hanno popolato l’immaginario di intere generazioni, sono tutti personaggi che custodiscono un patrimonio di risorse interpretative del reale difficilmente attingibile per altre vie. Se le fiabe sono state strumento educativo e formativo prezioso per strati sociali tenuti lontani Gianni Rodari è considerato l’erede più interessante dei favolisti antichi ANSA / DEGIOVANNI EDITORE dalla possibilità di fruire della cultura d’élite, allo stesso tempo hanno fornito un paradigma di riferimento per significati e valori magari oscuri, ma condivisi da un’intera comunità. Veri e propri luoghi di scambio simbolico, le fiabe e favole veicolano messaggi latenti, significati profondi, pensieri collettivi rimossi. La favola moderna è molto più articolata, non è un testo semplice per bambini, anzi essa richiede la comprensione di diversi livelli di significato, si presenta in una nuova veste, si adatta alla realtà espressiva, emozionale e comunicativa del mondo contemporaneo e vuole raccontare la vita dell’uomo “smarrito” nella sua complessità. Il nostro tempo non ha perduto il gusto della favola, ma vi ha inserito una più acuta carica critica e simbolica, con relative allusioni politiche e ricorsi alla satira».


Qual è la reale differenza fra fiaba e favola?
«I termini favola e fiaba derivano etimologicamente da una medesima voce verbale latina, fari, che significa parlare. Fanno capo, quindi, ad una stessa esigenza narrativa, il semplice raccontare. A questa comune origine si sovrappone l’interpretazione che considera la parola fabula come derivata da “faba”, ossia fava, il legume con il quale i romani si divertivano in un passatempo simile a quello dei dadi. Una situazione di svago che rimanda al piacere ricercato anche attraverso il racconto di fantasia. Spesso ai termini favola e fiaba viene attribuito il medesimo significato, ma corrispondono a due generi letterari ben distinti, con origini e sviluppi molto differenti (nel libro io racconto, differenziandole, la fiaba e la favola dalle origini ai giorni nostri). L’evoluzione linguistica dei due generi è simile, ma la caratteristica narrativa è molto diversa; se la favola è un componimento letterario ben strutturato, la fiaba non lo è, tanto che ha radici esclusivamente popolari e orali. Le fiabe sono per lo più racconti fantastici in cui è prevalente l’aspetto narrativo. L’ideale fiabesco si identifica con l’irreale, il magico, il meraviglioso». Perché la favolistica orientale sembra alonata di un fascino maggiore? Esotismo, misteri o altro? «Ci sono raccolte che diventano il punto d’arrivo della complessa favolistica orientale come i Jàtaka e il Panchatantra a cui tutti, dopo, hanno attinto. Soprattutto quest’ultimo, è un composito caleidoscopio dove appaiono animali eletti a simbolo dei diversi atteggiamenti umani. Animali vili o coraggiosi, sciocchi o saggi, fonti di consiglio in merito al vivere quotidiano. Il fascino continua con “Le mille e una notte”, una straordinaria raccolta di novelle orientali, di varia ambientazione sia storica che geografica e di differenti autori.Questa raccolta work in progress è arrivata in Occidente grazie ad Antoine Galland a fine Seicento. Tale mito planetario è stato il trait d’union tra Oriente e Occidente. Il mondo è ancora incantato da questo scrigno di magia orientale intramontabile; califfi, ombre, narghilè, pozioni magiche più note in Occidente che nel mondo arabo».


Gli animali parlanti delle fiabe sono una caricatura dell’uomo spesso più bestiale di loro?
«La favola ha i piedi per terra, nasce con l’uomo, quando questo “animale” vive in dimestichezza con le altre specie. “Che cosa son gli animali, se non le diverse immagini delle nostre virtù e dei nostri vizi, che Dio fa errare davanti al nostro sguardo, i fantasmi visibili delle anime nostre?” come afferma Victor Hugo. Le favole che compaiono nel mondo greco e nel mondo romano hanno come protagonisti gatti, cani, coccodrilli, piccoli serpenti e scarabei, si possono quindi difficilmente separare dalla tradizione egizia, dove questi animali rientrano nell’ambito del sacro e dell’inevitabilmente religioso. Ma diventano più avanti “caricature” dell’uomo. Soprattutto nelle favole contemporanee».


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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