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Il jazz in versi
QuartaParete di martedì 12 gennaio 2021
Quattro sezioni, ciascuna dedicata a un tema, omaggiano il genere musicale degli inizi del XX secolo e i suoi protagonisti: le parole dell’autore Nicola Vacca si alternano alle illustrazioni di Alfonso Avagliano e così dalle pagine si alzano note e voci, ed è subito musica

di Luca Signorini
Ogni giorno è il compleanno della vita…

I disegni che accompagnano i testi di Nicola Vacca sono sobri, sapienti. Ogni jazzista è come fosse indicato dall’indice teso di un bimbo: guardalo, è lui… Inconfondibile, vivo e vivace grazie a pochi tratti, a Jaco Pastorius, come a tutti i ritratti poetici contenuti in Arrivano parole dal jazz (Oltre Edizioni, 2020) sono dedicate due pagine, ricche e scarne al medesimo tempo: in una vi è il disegno di Alfonso Avagliano, nell’altra dieci versi poetici di Nicola. Pochi tratti d’inchiostro dell’uno e dell’altro, perché probabilmente scrivere troppo o disegnare con dovizia di particolari è inutile e addirittura irrispettoso – il jazzista è certamente un personaggio ma, a differenza del musicista pop, la sua immagine estetica interessa relativamente. Il pubblico del jazz guarda, certo, ma soprattutto ascolta. Quindi cosa fanno Nicola e Alfonso: lasciano molto bianco nella pagina; un bianco che gli amanti del jazz sanno essere pieno di colori funambolici, tinte d’ogni possibile gradazione, macchie di note, grumi di sonorità, scale vorticose. Insomma tutto quello che Jaco e gli altri jazzisti, mirabilmente tratteggiati in questo libro, creano sul palco. Il libro lo leggi, lo osservi e, se sei un musicista, lo ascolti.
Il compleanno di vita, quello della musica, è stato raccontato tante e tante volte nelle arti figurative, come in poesia. Penso a Jazz: Icarus di Matisse che sembra volersi fermare, con poche e violente tinte di colore, a una rappresentazione che non mostrasse visivamente, bensì emotivamente, ciò che il jazzista produce; oppure Braque e il suo Uomo con chitarra, e anche i colori musicali di Kandinsky, e Le mani del violinista di Balla, quelle mani frenetiche… Movimento, suono, luce e poesia hanno da sempre cercato una convergenza. Arrivano parole dal jazz è un testo che, con la discrezione di chi sente profondamente l’arte, tratteggia per ognuno degli artisti narrati l’essenziale dicendo al lettore: guardalo, è lui, è Pastorius, è Brown, è Davis. L’Autore li indica uno per uno, li racconta in versi socchiudendo gli occhi, descrivendo luce, colori, suoni e movimenti. Impossibile, leggendo le poesie di Nicola Vacca, non essere catturati dal desiderio di ascoltare jazz e, del resto, l’Autore stesso invita a farlo, offrendo nelle ultime pagine una playlist che attraversa decenni fondamentali per il jazz.
La lettura dei testi preceduta, seguita, o sovrapposta all’ascolto è epifanico, rivelatorio. È il modo giusto per regalarsi un compleanno di vita.

Nelle città la libertà
è un caffè che beviamo al mattino
nelle persone che sfioriamo
negli incontri che il caso
ci mette sotto gli occhi.


Ecco cos’è il jazz: incontro, condivisione, dinamismo e, soprattutto, amore.

Come dice Giuseppe Ferraro, chi ama la vita la possiede senza che sia una proprietà, senza che sia scontata. Nulla è scontato nel jazz, ogni esecuzione nasconde l’imprevedibilità dei sentimenti. Così Nicola Vacca, che ama il jazz e ne spiega le ragioni. Ma questo jazz ha bisogno di condividerlo, di farlo sentire ad altri come bene comune, magari nei giorni di pioggia, quando

Il jazz lo sento addosso
E mi scava dentro come l’amarezza
Di un pensiero che vuole la sua ansia.

[…] Il ritmo di quelle improvvisazioni
Non smette di battere il tempo:
tutto scorre e niente si afferra.


Tutto scorre e niente si afferra, come le gocce di pioggia che battono sui vetri. Ogni esecuzione è unica, un’esperienza impossibile da ripetere. Anche questo è jazz: l’impossibilità di bagnarsi due volte nello stesso fiume. Come diceva, tanto tempo fa, un grande filosofo.


leggi l'articolo integrale su QuartaParete
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QuartaParete - martedì 12 gennaio 2021
Quattro sezioni, ciascuna dedicata a un tema, omaggiano il genere musicale degli inizi del XX secolo e i suoi protagonisti: le parole dell’autore Nicola Vacca si alternano alle illustrazioni di Alfonso Avagliano e così dalle pagine si alzano note e voci, ed è subito musica

di Luca Signorini
Ogni giorno è il compleanno della vita…

I disegni che accompagnano i testi di Nicola Vacca sono sobri, sapienti. Ogni jazzista è come fosse indicato dall’indice teso di un bimbo: guardalo, è lui… Inconfondibile, vivo e vivace grazie a pochi tratti, a Jaco Pastorius, come a tutti i ritratti poetici contenuti in Arrivano parole dal jazz (Oltre Edizioni, 2020) sono dedicate due pagine, ricche e scarne al medesimo tempo: in una vi è il disegno di Alfonso Avagliano, nell’altra dieci versi poetici di Nicola. Pochi tratti d’inchiostro dell’uno e dell’altro, perché probabilmente scrivere troppo o disegnare con dovizia di particolari è inutile e addirittura irrispettoso – il jazzista è certamente un personaggio ma, a differenza del musicista pop, la sua immagine estetica interessa relativamente. Il pubblico del jazz guarda, certo, ma soprattutto ascolta. Quindi cosa fanno Nicola e Alfonso: lasciano molto bianco nella pagina; un bianco che gli amanti del jazz sanno essere pieno di colori funambolici, tinte d’ogni possibile gradazione, macchie di note, grumi di sonorità, scale vorticose. Insomma tutto quello che Jaco e gli altri jazzisti, mirabilmente tratteggiati in questo libro, creano sul palco. Il libro lo leggi, lo osservi e, se sei un musicista, lo ascolti.
Il compleanno di vita, quello della musica, è stato raccontato tante e tante volte nelle arti figurative, come in poesia. Penso a Jazz: Icarus di Matisse che sembra volersi fermare, con poche e violente tinte di colore, a una rappresentazione che non mostrasse visivamente, bensì emotivamente, ciò che il jazzista produce; oppure Braque e il suo Uomo con chitarra, e anche i colori musicali di Kandinsky, e Le mani del violinista di Balla, quelle mani frenetiche… Movimento, suono, luce e poesia hanno da sempre cercato una convergenza. Arrivano parole dal jazz è un testo che, con la discrezione di chi sente profondamente l’arte, tratteggia per ognuno degli artisti narrati l’essenziale dicendo al lettore: guardalo, è lui, è Pastorius, è Brown, è Davis. L’Autore li indica uno per uno, li racconta in versi socchiudendo gli occhi, descrivendo luce, colori, suoni e movimenti. Impossibile, leggendo le poesie di Nicola Vacca, non essere catturati dal desiderio di ascoltare jazz e, del resto, l’Autore stesso invita a farlo, offrendo nelle ultime pagine una playlist che attraversa decenni fondamentali per il jazz.
La lettura dei testi preceduta, seguita, o sovrapposta all’ascolto è epifanico, rivelatorio. È il modo giusto per regalarsi un compleanno di vita.

Nelle città la libertà
è un caffè che beviamo al mattino
nelle persone che sfioriamo
negli incontri che il caso
ci mette sotto gli occhi.


Ecco cos’è il jazz: incontro, condivisione, dinamismo e, soprattutto, amore.

Come dice Giuseppe Ferraro, chi ama la vita la possiede senza che sia una proprietà, senza che sia scontata. Nulla è scontato nel jazz, ogni esecuzione nasconde l’imprevedibilità dei sentimenti. Così Nicola Vacca, che ama il jazz e ne spiega le ragioni. Ma questo jazz ha bisogno di condividerlo, di farlo sentire ad altri come bene comune, magari nei giorni di pioggia, quando

Il jazz lo sento addosso
E mi scava dentro come l’amarezza
Di un pensiero che vuole la sua ansia.

[…] Il ritmo di quelle improvvisazioni
Non smette di battere il tempo:
tutto scorre e niente si afferra.


Tutto scorre e niente si afferra, come le gocce di pioggia che battono sui vetri. Ogni esecuzione è unica, un’esperienza impossibile da ripetere. Anche questo è jazz: l’impossibilità di bagnarsi due volte nello stesso fiume. Come diceva, tanto tempo fa, un grande filosofo.


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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