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Mirella Zocovich Tainer nell'Albo d'oro dei fiumani illustri
La Voce del Popolo di lunedì 25 gennaio 2021
Oggi vive negli Usa, a Deerfield, in Illinois, ma torna nella sua città natale appena può permetterselo

di Roberto Palisca
Mirella Zocovich Tainer nasce a Fiume, in Cittavecchia, in Calle dei Rettori, nell’ottobre del 1932. Nel novembre del 1946, con la famiglia, si trasferisce a Torino dove prosegue gli studi liceali e apprende la lingua inglese. Nel 1962, insieme al marito Dusan e ai figli Dario e Daniela, emigra negli Stati Uniti. A Chicago prosegue gli studi presso il Wilbur Wright College e quindi viene assunta alla famosa “Motorola”, azienda statunitense leader nel campo dell’elettronica, fondata nel 1928 con sede a Schaumburg, dove lavora per ben 28 anni. È l’azienda che ha permesso, per la prima volta al mondo, di effettuare una chiamata da un dispositivo senza fili. Era il 3 aprile 1973. Alla “Motorola” Mirella Tainer fa una bella carriera che la vede passare dalle catene d’assemblaggio a prima donna manager dei reparti di produzione. Oggi vive negli Stati Uniti, a Deerfield, in Illinois, ma torna a Fiume appena può permetterselo. Ma qui non vogliamo parlare di lei per i suoi successi professionali, bensì per altri motivi. Perché recentemente, oltre ad aver pubblicato per i tipi della “Oltre Edizioni” presso la quale è editor il fiumano esule Diego Zandel, un bel libro intitolato “In America non voglio andar… Storia di un’esule fiumana”, è stata inserita su proposta della presidenza dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo/Libero Comune di Fiume in esilio nell’Albo d’oro, con quest’argomentazione: “Nel ricordo di Fiume ha costruito una vita persuasa Oltreoceano, educando figli e nipoti alla conoscenza di un percorso – il suo – da Fiume nel mondo. La lontananza l’ha resa ancora più convinta di dovere allacciare rapporti e amicizie con chi appartiene allo stesso mondo, sia esuli che rimasti che lei abbraccia con il medesimo entusiasmo dimostrando quella trasversalità che è puro spirito fiumano, un valore antico al quale lei ha dato un significato attuale e solido”.

Aspettando la fine della pandemia
Per quanto rattristata dal fatto di non poter tornare in questi ultimi tempi nella sua amata città natale a causa della pandemia, su Facebook, dove è molto attiva in diversi gruppi di esuli e pubblica quasi quotidianamente le sue riflessioni, Mirella Tainer ha scritto: “Devo dire che l’annuncio dell’inclusione del mio nome nell’Albo d’oro, mi è arrivato inaspettato. Non avrei mai immaginato che amare tanto la propria città mi avrebbe procurato quest’onore! Non ho meriti eccezionali, né meriti sportivi, letterari o di alcun altro genere e certamente non mi paragono a chi quest’onore l’ha ricevuto per esserselo guadagnato con imprese a dir poco straordinarie. Se penso a loro mi sento davvero inadeguata. Non nascondo però che questa nomina mi ha commosso ed emozionato. Ringrazio di cuore coloro che hanno voluto concedermela. Viva Fiume, per sempre nei nostri cuori e nei cuori dei nostri e vostri figli! Mi auguro che loro sappiano e vogliano continuare a trasmettere quest’amore e soprattutto le vicende di questa nostra città martoriata a quelli che verranno. Grazie”. In un altro post ha aggiunto: “Mi sento così inadeguata se penso a chi altro fa parte dell’Albo d’oro, ma so che ci mette forse alla… pari, l’amore infinito per questa nostra città. Grazie alla presidenza dell’AFIM –LCFE e grazie di cuore a voi amici ed amiche Fiumani e non di Facebook, grazie tanto di tutti i vostri like, delle congratulazioni e delle vostre belle parole. Mi hanno commosso tanto. Vi ho sentiti vicini come non mai, ecco ci vedo quasi a braccetto a passeggio per il Corso in questa nostra Fiume virtuale, in questa Fiume che continua a vivere insieme a noi ogni volta che il piccolo schermo del computer si accende, con le foto antiche del ponte di Sussak e quelle di oggi, con un racconto della Fiume di ieri o di quella di oggi o con una foto appena scattata del Monte Maggiore. Fiume per sempre! Che posso dire. Questa notizia mi ha colta di sorpresa; pensavo a uno sbaglio e ho chiesto conferma. L’ho avuta e sono ancora attonita. Mi sono meritata quest’onore perché ho avuto la fortuna di nascere a Fiume, la perla del Carnaro. Grazie tantissime, ne sono commossa e onorata e poi essere insieme a persone illustri, non mi sento davvero all’altezza!”.

Due sorelle per due fratelli
Il papà di Mirella, Franzele, a Fiume faceva il panettiere. Esule a Torino, si ritrovò a lavorare ai forni delle acciaierie della “Fiat”: un lavoro durissimo e pericoloso. Nel 1956 ai genitori di Mirella viene rilasciato il visto per gli Stati Uniti e lei e sua sorella Ina, già sposate, sei anni dopo li seguono. “Un caso straordinario – dirà Mirella in un’intervista –. Mia sorella Ina, più giovane di me di 16 mesi ed io conoscemmo a Torino due profughi. Dusan Tainer, il mio idolo pallacestista sin da quando stavamo a Fiume e suo fratello Danilo. Da quel momento saremmo stati inseparabili, almeno fino alla morte dei nostri mariti. Avremmo coltivato il giardino interiore dei ricordi, allevato i nostri figli facendo amare loro la lingua italiana e il dialetto, così come loro lo insegnano ai loro figli”. Ma torniamo al suo bel libro. L’idea di scriverlo è nata in occasione di uno degli ultimi Raduni dei fiumani, quando Mirella venne invitata dallo scrittore esule fiumano Diego Zandel a fissare su carta i suoi ricordi che di tanto in tanto pubblicava e continua a pubblicare sui social. Detto, fatto. La Casa editrice “Oltre” pubblica il volume. “Un libro imprescindibile per tutti coloro che hanno vissuto l’esilio, la lontananza dalla propria terra, in una terra straniera – dice la critica –. Ma lo è anche per tutti coloro che hanno il desiderio o la curiosità o l’interesse di comprendere questa condizione umana così particolare, che appartiene solo a chi l’ha vissuta e ne porta le ferite, che nulla né nessuno potrà mai rimarginare. È il nostos greco. Sono gli eredi di Ulisse, ciascuno con la propria Itaca nel cuore. Nel caso di Mirella Zocovich Tainer Fiume, della quale sentirete continuamente evocare il nome e la fiumanità, come dato orgogliosamente identitario, come un marchio da esibire, per dire chi siamo veramente.

La dedica al compianto consorte
“Questo libro lo dedico ai miei genitori che hanno sofferto così tanto lontano da casa, ma si sono dati da fare per tenere intatte le nostre tradizioni anche in terra straniera; e poi lo dedico a Dusan, mio marito, che pur di non sottomettersi a un regime che non gli si confaceva, ha rifiutato proposte interessanti e parecchio remunerative e, soprattutto, ha rinunciato a una carriera promettente nella pallacanestro, sport che tanto amava. Era stata una scelta dolorosa rinunciare a competizioni olimpiche, ma rimanere fedele a sé stesso e solidale con i compagni di squadra, per lui era stato molto più importante. E lo dedico a tutti coloro che si sentono di Fiume anche se non ci sono nati, ai miei figli ad esempio e ad altri come loro e ai Fiumani, quelli veri, quelli che amano la nostra città con tutto il suo bagaglio. Grazie Diego Zandel! Qualcuno di voi si ritroverà in queste pagine; dopotutto le abbiamo scritte insieme, io e voi, sia che apparteniate alla schiera degli andati oppure a quella dei rimasti; esuli, emigrati, tutti insieme in un modo o nell’altro…”. Mirella definisce modestamente la sua opera un libretto: “Eppure – spiega tuttavia – contiene tanto; contiene scorci di vita vissuta, la mia vita vissuta; ricordi di un tempo che fu, quello felice a casa mia, a Fiume; episodi della mia vita da profuga e poi quelli da emigrante. Dopo la scomparsa di mio marito le mie emozioni, i miei, anzi dovrei dire i nostri ricordi, quelli dei tempi vissuti insieme, la mia Fiume unita alla sua, non avevano più sbocco e sentivo il loro ribollire dentro di me e la voglia che avevano di erompere, di essere raccontati, di essere condivisi con chi li avrebbe capiti, perché parte pure della loro vita. E cosi è nato un libro… “Quanto rammarico per aver dovuto rinunciare quest’anno a essere ancora una volta tra di voi e con voi a Fiume, in occasione della festa di San Vito, patrono della nostra città. Ci sarebbero stati pure i miei figli e Joe il mio genero triggianese, adottato fiumano, Michelino il nipote più giovane, figlio di Dario il mio primogenito e persino la pronipote più piccola dei Griffith. Sarebbe stata la prima volta per Isabella, non solo per la sua visita a Fiume, la città dei bisnonni, ma per il suo primo tuffo nel nostro mare a Cantrida, come avevano fatto prima di lei, in anni precedenti il fratello e le due sorelline più grandi…”
Per gentile concessione della Casa editrice “Oltre” e dell’autrice pubblichiamo di seguito un breve racconto tratto dal suo libro.
Mio nonno paterno Vizko (Vincenzo) Zocovich era una persona molto avventurosa. Nacque a Muć, un paesino a nord di Spalato. Da ragazzo lasciò il paesello, appunto, per Spalato, dove incontrò una coppia di italiani venuti dalla Puglia che lo… adottarono. Stette con loro per parecchio tempo, poi si decise per la grande avventura… Fiume e l’America. In famiglia si racconta che il nonno aveva deciso, sì, di emigrare, ma aveva cambiato idea all’ultimo momento. La leggenda vuole che, quando si stava arrampicando su per la scaletta del transatlantico, avesse incontrato un amico che la scendeva. Chiedendone il motivo l’amico aveva risposto: in America ci sono troppe mosche! Al che il nonno, su due piedi, decise che le mosche non facevano per lui. Se mio nonno paterno non avesse rinunciato alla sua avventura, io oggi non sarei qui a raccontare! E poi a Fiume incontrò la nonna, Maria Teresa Majerle-Strauss, se ne innamorò e la sposò. Di Zocovich ne nacquero sei, cinque maschi e un’unica femmina: la mamma di Gino che vive in Milwaukee e di Nerea, che sta a Cividale del Friuli. Io e Ina siamo figlie di Franzele, il terzogenito. Marina vive a Trieste ed è la figlia di Rudi, il primogenito. Toni ha avuto Grazia, che vive a Torino e zio Mario è il papà di Loreana, anche lei residente a Trieste. Noi ragazze siamo le ultime dei Zocovich e dopo di noi… Zocovich non più…


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La Voce del Popolo - lunedì 25 gennaio 2021
Oggi vive negli Usa, a Deerfield, in Illinois, ma torna nella sua città natale appena può permetterselo

di Roberto Palisca
Mirella Zocovich Tainer nasce a Fiume, in Cittavecchia, in Calle dei Rettori, nell’ottobre del 1932. Nel novembre del 1946, con la famiglia, si trasferisce a Torino dove prosegue gli studi liceali e apprende la lingua inglese. Nel 1962, insieme al marito Dusan e ai figli Dario e Daniela, emigra negli Stati Uniti. A Chicago prosegue gli studi presso il Wilbur Wright College e quindi viene assunta alla famosa “Motorola”, azienda statunitense leader nel campo dell’elettronica, fondata nel 1928 con sede a Schaumburg, dove lavora per ben 28 anni. È l’azienda che ha permesso, per la prima volta al mondo, di effettuare una chiamata da un dispositivo senza fili. Era il 3 aprile 1973. Alla “Motorola” Mirella Tainer fa una bella carriera che la vede passare dalle catene d’assemblaggio a prima donna manager dei reparti di produzione. Oggi vive negli Stati Uniti, a Deerfield, in Illinois, ma torna a Fiume appena può permetterselo. Ma qui non vogliamo parlare di lei per i suoi successi professionali, bensì per altri motivi. Perché recentemente, oltre ad aver pubblicato per i tipi della “Oltre Edizioni” presso la quale è editor il fiumano esule Diego Zandel, un bel libro intitolato “In America non voglio andar… Storia di un’esule fiumana”, è stata inserita su proposta della presidenza dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo/Libero Comune di Fiume in esilio nell’Albo d’oro, con quest’argomentazione: “Nel ricordo di Fiume ha costruito una vita persuasa Oltreoceano, educando figli e nipoti alla conoscenza di un percorso – il suo – da Fiume nel mondo. La lontananza l’ha resa ancora più convinta di dovere allacciare rapporti e amicizie con chi appartiene allo stesso mondo, sia esuli che rimasti che lei abbraccia con il medesimo entusiasmo dimostrando quella trasversalità che è puro spirito fiumano, un valore antico al quale lei ha dato un significato attuale e solido”.

Aspettando la fine della pandemia
Per quanto rattristata dal fatto di non poter tornare in questi ultimi tempi nella sua amata città natale a causa della pandemia, su Facebook, dove è molto attiva in diversi gruppi di esuli e pubblica quasi quotidianamente le sue riflessioni, Mirella Tainer ha scritto: “Devo dire che l’annuncio dell’inclusione del mio nome nell’Albo d’oro, mi è arrivato inaspettato. Non avrei mai immaginato che amare tanto la propria città mi avrebbe procurato quest’onore! Non ho meriti eccezionali, né meriti sportivi, letterari o di alcun altro genere e certamente non mi paragono a chi quest’onore l’ha ricevuto per esserselo guadagnato con imprese a dir poco straordinarie. Se penso a loro mi sento davvero inadeguata. Non nascondo però che questa nomina mi ha commosso ed emozionato. Ringrazio di cuore coloro che hanno voluto concedermela. Viva Fiume, per sempre nei nostri cuori e nei cuori dei nostri e vostri figli! Mi auguro che loro sappiano e vogliano continuare a trasmettere quest’amore e soprattutto le vicende di questa nostra città martoriata a quelli che verranno. Grazie”. In un altro post ha aggiunto: “Mi sento così inadeguata se penso a chi altro fa parte dell’Albo d’oro, ma so che ci mette forse alla… pari, l’amore infinito per questa nostra città. Grazie alla presidenza dell’AFIM –LCFE e grazie di cuore a voi amici ed amiche Fiumani e non di Facebook, grazie tanto di tutti i vostri like, delle congratulazioni e delle vostre belle parole. Mi hanno commosso tanto. Vi ho sentiti vicini come non mai, ecco ci vedo quasi a braccetto a passeggio per il Corso in questa nostra Fiume virtuale, in questa Fiume che continua a vivere insieme a noi ogni volta che il piccolo schermo del computer si accende, con le foto antiche del ponte di Sussak e quelle di oggi, con un racconto della Fiume di ieri o di quella di oggi o con una foto appena scattata del Monte Maggiore. Fiume per sempre! Che posso dire. Questa notizia mi ha colta di sorpresa; pensavo a uno sbaglio e ho chiesto conferma. L’ho avuta e sono ancora attonita. Mi sono meritata quest’onore perché ho avuto la fortuna di nascere a Fiume, la perla del Carnaro. Grazie tantissime, ne sono commossa e onorata e poi essere insieme a persone illustri, non mi sento davvero all’altezza!”.

Due sorelle per due fratelli
Il papà di Mirella, Franzele, a Fiume faceva il panettiere. Esule a Torino, si ritrovò a lavorare ai forni delle acciaierie della “Fiat”: un lavoro durissimo e pericoloso. Nel 1956 ai genitori di Mirella viene rilasciato il visto per gli Stati Uniti e lei e sua sorella Ina, già sposate, sei anni dopo li seguono. “Un caso straordinario – dirà Mirella in un’intervista –. Mia sorella Ina, più giovane di me di 16 mesi ed io conoscemmo a Torino due profughi. Dusan Tainer, il mio idolo pallacestista sin da quando stavamo a Fiume e suo fratello Danilo. Da quel momento saremmo stati inseparabili, almeno fino alla morte dei nostri mariti. Avremmo coltivato il giardino interiore dei ricordi, allevato i nostri figli facendo amare loro la lingua italiana e il dialetto, così come loro lo insegnano ai loro figli”. Ma torniamo al suo bel libro. L’idea di scriverlo è nata in occasione di uno degli ultimi Raduni dei fiumani, quando Mirella venne invitata dallo scrittore esule fiumano Diego Zandel a fissare su carta i suoi ricordi che di tanto in tanto pubblicava e continua a pubblicare sui social. Detto, fatto. La Casa editrice “Oltre” pubblica il volume. “Un libro imprescindibile per tutti coloro che hanno vissuto l’esilio, la lontananza dalla propria terra, in una terra straniera – dice la critica –. Ma lo è anche per tutti coloro che hanno il desiderio o la curiosità o l’interesse di comprendere questa condizione umana così particolare, che appartiene solo a chi l’ha vissuta e ne porta le ferite, che nulla né nessuno potrà mai rimarginare. È il nostos greco. Sono gli eredi di Ulisse, ciascuno con la propria Itaca nel cuore. Nel caso di Mirella Zocovich Tainer Fiume, della quale sentirete continuamente evocare il nome e la fiumanità, come dato orgogliosamente identitario, come un marchio da esibire, per dire chi siamo veramente.

La dedica al compianto consorte
“Questo libro lo dedico ai miei genitori che hanno sofferto così tanto lontano da casa, ma si sono dati da fare per tenere intatte le nostre tradizioni anche in terra straniera; e poi lo dedico a Dusan, mio marito, che pur di non sottomettersi a un regime che non gli si confaceva, ha rifiutato proposte interessanti e parecchio remunerative e, soprattutto, ha rinunciato a una carriera promettente nella pallacanestro, sport che tanto amava. Era stata una scelta dolorosa rinunciare a competizioni olimpiche, ma rimanere fedele a sé stesso e solidale con i compagni di squadra, per lui era stato molto più importante. E lo dedico a tutti coloro che si sentono di Fiume anche se non ci sono nati, ai miei figli ad esempio e ad altri come loro e ai Fiumani, quelli veri, quelli che amano la nostra città con tutto il suo bagaglio. Grazie Diego Zandel! Qualcuno di voi si ritroverà in queste pagine; dopotutto le abbiamo scritte insieme, io e voi, sia che apparteniate alla schiera degli andati oppure a quella dei rimasti; esuli, emigrati, tutti insieme in un modo o nell’altro…”. Mirella definisce modestamente la sua opera un libretto: “Eppure – spiega tuttavia – contiene tanto; contiene scorci di vita vissuta, la mia vita vissuta; ricordi di un tempo che fu, quello felice a casa mia, a Fiume; episodi della mia vita da profuga e poi quelli da emigrante. Dopo la scomparsa di mio marito le mie emozioni, i miei, anzi dovrei dire i nostri ricordi, quelli dei tempi vissuti insieme, la mia Fiume unita alla sua, non avevano più sbocco e sentivo il loro ribollire dentro di me e la voglia che avevano di erompere, di essere raccontati, di essere condivisi con chi li avrebbe capiti, perché parte pure della loro vita. E cosi è nato un libro… “Quanto rammarico per aver dovuto rinunciare quest’anno a essere ancora una volta tra di voi e con voi a Fiume, in occasione della festa di San Vito, patrono della nostra città. Ci sarebbero stati pure i miei figli e Joe il mio genero triggianese, adottato fiumano, Michelino il nipote più giovane, figlio di Dario il mio primogenito e persino la pronipote più piccola dei Griffith. Sarebbe stata la prima volta per Isabella, non solo per la sua visita a Fiume, la città dei bisnonni, ma per il suo primo tuffo nel nostro mare a Cantrida, come avevano fatto prima di lei, in anni precedenti il fratello e le due sorelline più grandi…”
Per gentile concessione della Casa editrice “Oltre” e dell’autrice pubblichiamo di seguito un breve racconto tratto dal suo libro.
Mio nonno paterno Vizko (Vincenzo) Zocovich era una persona molto avventurosa. Nacque a Muć, un paesino a nord di Spalato. Da ragazzo lasciò il paesello, appunto, per Spalato, dove incontrò una coppia di italiani venuti dalla Puglia che lo… adottarono. Stette con loro per parecchio tempo, poi si decise per la grande avventura… Fiume e l’America. In famiglia si racconta che il nonno aveva deciso, sì, di emigrare, ma aveva cambiato idea all’ultimo momento. La leggenda vuole che, quando si stava arrampicando su per la scaletta del transatlantico, avesse incontrato un amico che la scendeva. Chiedendone il motivo l’amico aveva risposto: in America ci sono troppe mosche! Al che il nonno, su due piedi, decise che le mosche non facevano per lui. Se mio nonno paterno non avesse rinunciato alla sua avventura, io oggi non sarei qui a raccontare! E poi a Fiume incontrò la nonna, Maria Teresa Majerle-Strauss, se ne innamorò e la sposò. Di Zocovich ne nacquero sei, cinque maschi e un’unica femmina: la mamma di Gino che vive in Milwaukee e di Nerea, che sta a Cividale del Friuli. Io e Ina siamo figlie di Franzele, il terzogenito. Marina vive a Trieste ed è la figlia di Rudi, il primogenito. Toni ha avuto Grazia, che vive a Torino e zio Mario è il papà di Loreana, anche lei residente a Trieste. Noi ragazze siamo le ultime dei Zocovich e dopo di noi… Zocovich non più…


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OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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