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Intervista a Enrico Luceri e Antonio Tentori
La zona morta di marted 2 febbraio 2021
Fa sempre piacere leggere un nuovo romanzo che affronti la tematica spinosa e tortuosa del Mostro di Firenze. In particolare, se a farlo sono due scrittori...

di Daniele Vacchino
Fa sempre piacere leggere un nuovo romanzo che affronti la tematica spinosa e tortuosa del Mostro di Firenze. In particolare, se a farlo sono due scrittori, che non solo nel settore del giallo thriller hanno più di una referenza, ma che hanno anche la particolarità di aver preso l’abitudine di scrivere a quattro mani. Enrico Luceri e Antonio Tentori non hanno bisogno di essere introdotti ai lettori del genere.
Incuriosisce invece andare a capire dinamiche di esecuzione del nuovo testo IL PROSSIMO NOVILUNIO e indagare quale sia stato il meccanismo che ha messo in piedi la creazione del libro. Lo faremo attraverso alcune domande ai due scrittori

CARI ANTONIO ED ENRICO, QUESTA DOMANDA MI PREME, COME SI SCRIVE IN DUE? SONO UN VOSTRO LETTORE E UN’IDEA SU COME ABBIATE PROCEDUTO ME LA SONO GIÀ FATTA…

Enrico Luceri: Antonio e io parliamo spesso con piacere della narrativa e del cinema che amiamo. Quando ci accorgiamo di uno spunto narrativo che potrebbe diventare una storia, ci ragioniamo, la esaminiamo dalle prospettive che ci interessano e infine stabiliamo come raccontarla: quando, dove, con quali personaggi e soprattutto quale sia l’elemento che possa renderla perlomeno singolare.
Antonio Tentori: Dopo aver stabilito l’idea del romanzo, scriviamo un soggetto iniziale. Questo soggetto viene poi ampliato in maniera molto particolareggiata e suddiviso in capitoli. Infine dividiamo il romanzo esattamente a metà, ci scambiamo i capitoli scritti e ognuno interviene sul lavoro dell’altro fino a trovare un’armonia di stile e di narrazione.

AVETE SCELTO UN TEMA APPASSIONANTE E GIÀ LUNGAMENTE TRATTATO. DA CHI È PARTITA L’IDEA? PARLATECI LIBERAMENTE DEL MOSTRO DI FIRENZE, DELLE VOSTRE IDEE IN MERITO, DELLA MANIA CHE IL CASO SVILUPPA IN CIASCUNO DI NOI…

Antonio Tentori: L’idea di scrivere un romanzo liberamente ispirato alla vicenda dei delitti del mostro di Firenze è partita da me. Va però precisato che il romanzo è appunto “liberamente ispirato” e non è incentrato su quella specifica storia. Per il resto, il caso è in assoluto tra i più inquietanti e complessi nell’ambito della criminologia e dei serial killer in particolare. Lo dimostra la notevole quantità di saggi, film e TV movie dedicati al Mostro, senza contare trasmissioni televisive, quotidiani e riviste.
Enrico Luceri: Sebbene consapevoli che il legame del nostro romanzo con uno dei più famosi casi di cronaca nera della storia italiana sia sottile, avevamo previsto che l’attenzione si sarebbe concentrata proprio su aspetti comuni alle due vicende. Così abbiamo deciso di scrivere la storia perché convinti di aver escogitato un movente, un’identità dell’assassino e un finale (ovviamente romanzesco) mai proposto prima.

IL TESTO PARE AVERE DUE ANIME. LA PRIMA PARTE È INCENTRATA SUL CASO DEL MOSTRO DI ROVETO (LEGGASI MOSTRO DI FIRENZE), CON TUTTO L’ARMAMENTARIO DELLA NARRATIVA SUL CASO (I GUARDONI, IL TRAUMA RIMOSSO, I TESTIMONI OCULARI MORTI IN MANIERA MISTERIOSA, IL CAPRO ESPIATORIO). LA SECONDA PARTE SCIVOLA IN UNA TORBIDA VICENDA DI PAESE CHE MI HA RICORDATO DA VICINO “LE STRADE DI SERA”. QUESTA DOPPIA ANIMA È LA PROIEZIONE DEL VOSTRO DUO NARRATIVO?

Antonio Tentori: Non so se si possa parlare di doppia anima del romanzo. Nel senso che abbiamo cercato di costruire una vicenda il più possibile lineare, che parte dagli omicidi delle coppiette per poi entrare in un mondo torbido e misterioso di provincia, dove si cela l’assassino. I due aspetti sono quindi del tutto collegati.
Enrico Luceri: In realtà abbiamo ragionato e costruito un’ambientazione che fosse adatta alle esigenze narrative e a quella di creare una tensione suggerita più che esplicita, che crescesse con l’evoluzione della trama: una cittadina, la campagna umbra attorno, e piccoli borghi sperduti sulle colline. Un’atmosfera rurale che nella tradizione del thrilling italiano ispira le storie più inquietanti, ambigue e sorprendenti. Credo che l’intera indagine sia una narrazione compatta e molto realistica, poiché condotta da un uomo di mezza età che in una delle sue metamorfosi professionali, finisce per improvvisarsi detective privato ed essere coinvolto in un mistero più grande di lui per scagionare un vecchio amico.

RITENGO CHE LA NARRATIVA DI ENRICO LUCERI SIA SINTETIZZABILE CON UNA FRASE: “LE COLPE ANTICHE FANNO LE OMBRE LUNGHE”. AFFASCINANTE E UTILIZZATA DAL NOSTRO ANCHE COME TITOLO DI UNA DELLE SUE OPERE. MI SBAGLIO?

Enrico Luceri: Vero. L’obiettivo di ogni autore è coinvolgere i lettori nelle sue storie, spingerli a provare le emozioni dei personaggi. Già, ma perché i lettori dovrebbero spaventarsi come una vittima perseguitata da un assassino? La spiegazione si nasconde in un meccanismo singolare, personale e sensibile che scatta inesorabile in ognuno di noi. La memoria di una colpa, che per convenzione a volte chiamiamo rimorso. Un’ingiustizia, un torto, che abbiamo fatto a qualcuno, molto o poco tempo fa, e di cui non ci siamo mai pentiti. Ecco perché come lettori ci immedesimiamo in quel personaggio, proprio lui o lei che l’assassino vuole colpire. Perché sappiamo di nascondere una colpa che deve essere punita. Abbiamo cercato di dimenticarla, rimuoverla, negarla, ma è sempre lì, dentro di noi. Ecco perché viviamo, proviamo, soffriamo l’emozione della vittima. Perché conosciamo il movente dell’assassino. Fare giustizia, o vendicarsi se preferite, di una colpa commessa poco o molto tempo fa, della quale non ci siamo mai voluti pentire.

LA LETTERATURA DI ANTONIO È INVECE UNA MELODIA CUPA IN ONORE DEL THRILLER. TESTIMONIA LA MIA IDEA L’ULTIMO ROMANZO DI TENTORI “IL BAMBINO CHE GIOCAVA CON LE BAMBOLE”. DICO BENE?

Antonio Tentori: È senz’altro così. Amo il thriller, soprattutto il cinema thriller italiano del periodo d’oro, ovvero gli anni Settanta – Ottanta. Ritengo che in quel periodo si trovano le opere migliori e più significative, che hanno lasciato un segno fondamentale nel genere a livello internazionale. In questo senso il mio primo romanzo “Il bambino che giocava con le bambole” rappresenta un atto d’amore per quell’indimenticabile e irripetibile stagione.

TORNIAMO AL CUORE DEL LIBRO. AL MOSTRO. QUALI SONO I TESTI SULLA VICENDA CHE VI HANNO ISPIRATO?

Antonio Tentori: Principalmente “Dolci colline di sangue” di Mario Spezi e Douglas Preston e “Analisi di un mostro” di Francesco Bruno e Andrea Tornielli.
Enrico Luceri: Elencare tutti i saggi, articoli, racconti e romanzi che ho letto e i film, sceneggiati, documentari che ho visto sarebbe lungo! Mi limito a citare il saggio “Il Mostro, anatomia di un’indagine”, scritto dal commissario Michele Giuttari.

DATECI UNA VOSTRA LETTURA DELLA STORIA. SIETE DEI “PACCIANISTI”? DEI “SARDISTI”? FAVOREVOLI ALLA PISTA DEL SERIAL KILLER SOLITARIO?

Antonio Tentori: Propendo per l’ipotesi del killer solitario, che si è comunque servito di alcuni complici, più o meno volontari.
Enrico Luceri: Io credo che la verità sia quella giudiziaria emersa dopo tutti i gradi di giudizio della giustizia italiana. Ignoro se le indagini sarebbero potute, o dovute, proseguire per chiarire definitivamente quelli che sono oggettivamente aspetti oscuri e ambigui della vicenda, come quello sui presunti mandanti.

PERCHÉ PROPRIO IL MOSTRO? ANTICA OSSESSIONE? UN OMAGGIO ALLE PELLICOLE DELLA GRANDE DECADE DELL’ITALIAN GIALLO? UNA ELEGIA SOPRA I TRE FILM SUL MOSTRO?

Antonio Tentori: Perché è un caso talmente intricato che si presta alla perfezione per ideare un romanzo come il nostro che, pur ispirandosi a esso, poi prosegue verso altre direzioni narrative raccontando sostanzialmente un’altra storia.
Enrico Luceri: Perché è rimasto nell’immaginario collettivo e nell’opinione pubblica come uno dei casi più spaventosi, torbidi e misteriosi della storia italiana, che anche in un romanzo che si distanzia da esso come il nostro, evoca comunque atmosfere thrilling.

SCRIVERETE ALTRO INSIEME?

Enrico Luceri e Antonio Tentori: Sì, stiamo lavorando al nostro terzo romanzo, che sarà naturalmente un altro thriller.

E IN SOLITARIA?

Antonio Tentori: Sto scrivendo il mio secondo romanzo, che invece non è un thriller ma uno strano mix di vari generi letterari e non.
Enrico Luceri: Le mie pubblicazioni future sono due romanzi nella collana Il Giallo Mondadori, a febbraio e nel 2021, un altro nella prossima primavera che inaugura la collaborazione con un editore prestigioso, un quarto che attende una risposta da un editore, e due raccolte di racconti piuttosto singolari. Adesso lavoro con i miei amici, colleghi e soci Giulio Leoni e Massimo Pietroselli al sesto volume della serie “Gli archivi segreti della Sezione M”, in libreria a giugno.

GRAZIE DEL VOSTRO TEMPO. NON MI RESTA CHE INVITARE TUTTI I GRANDI APPASSIONATI AL TEMA DEL MOSTRO DI FIRENZE, CHE SONO TANTISSIMI, A LEGGERE QUESTO NUOVO ROMANZO. MA NON SOLO: PER CHI AMA IL THRILLER ALL’ITALIANA, PER TUTTI GLI AMANTI DEL GIALLO E DEL CRIME QUESTO TESTO SARÀ UNA PIACEVOLE LETTURA IN COMPAGNIA DI DUE AMICI CHE AL GIALLO HANNO DEDICATO LA PROPRIA ESISTENZA.


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La zona morta - marted 2 febbraio 2021
Fa sempre piacere leggere un nuovo romanzo che affronti la tematica spinosa e tortuosa del Mostro di Firenze. In particolare, se a farlo sono due scrittori...

di Daniele Vacchino
Fa sempre piacere leggere un nuovo romanzo che affronti la tematica spinosa e tortuosa del Mostro di Firenze. In particolare, se a farlo sono due scrittori, che non solo nel settore del giallo thriller hanno più di una referenza, ma che hanno anche la particolarità di aver preso l’abitudine di scrivere a quattro mani. Enrico Luceri e Antonio Tentori non hanno bisogno di essere introdotti ai lettori del genere.
Incuriosisce invece andare a capire dinamiche di esecuzione del nuovo testo IL PROSSIMO NOVILUNIO e indagare quale sia stato il meccanismo che ha messo in piedi la creazione del libro. Lo faremo attraverso alcune domande ai due scrittori

CARI ANTONIO ED ENRICO, QUESTA DOMANDA MI PREME, COME SI SCRIVE IN DUE? SONO UN VOSTRO LETTORE E UN’IDEA SU COME ABBIATE PROCEDUTO ME LA SONO GIÀ FATTA…

Enrico Luceri: Antonio e io parliamo spesso con piacere della narrativa e del cinema che amiamo. Quando ci accorgiamo di uno spunto narrativo che potrebbe diventare una storia, ci ragioniamo, la esaminiamo dalle prospettive che ci interessano e infine stabiliamo come raccontarla: quando, dove, con quali personaggi e soprattutto quale sia l’elemento che possa renderla perlomeno singolare.
Antonio Tentori: Dopo aver stabilito l’idea del romanzo, scriviamo un soggetto iniziale. Questo soggetto viene poi ampliato in maniera molto particolareggiata e suddiviso in capitoli. Infine dividiamo il romanzo esattamente a metà, ci scambiamo i capitoli scritti e ognuno interviene sul lavoro dell’altro fino a trovare un’armonia di stile e di narrazione.

AVETE SCELTO UN TEMA APPASSIONANTE E GIÀ LUNGAMENTE TRATTATO. DA CHI È PARTITA L’IDEA? PARLATECI LIBERAMENTE DEL MOSTRO DI FIRENZE, DELLE VOSTRE IDEE IN MERITO, DELLA MANIA CHE IL CASO SVILUPPA IN CIASCUNO DI NOI…

Antonio Tentori: L’idea di scrivere un romanzo liberamente ispirato alla vicenda dei delitti del mostro di Firenze è partita da me. Va però precisato che il romanzo è appunto “liberamente ispirato” e non è incentrato su quella specifica storia. Per il resto, il caso è in assoluto tra i più inquietanti e complessi nell’ambito della criminologia e dei serial killer in particolare. Lo dimostra la notevole quantità di saggi, film e TV movie dedicati al Mostro, senza contare trasmissioni televisive, quotidiani e riviste.
Enrico Luceri: Sebbene consapevoli che il legame del nostro romanzo con uno dei più famosi casi di cronaca nera della storia italiana sia sottile, avevamo previsto che l’attenzione si sarebbe concentrata proprio su aspetti comuni alle due vicende. Così abbiamo deciso di scrivere la storia perché convinti di aver escogitato un movente, un’identità dell’assassino e un finale (ovviamente romanzesco) mai proposto prima.

IL TESTO PARE AVERE DUE ANIME. LA PRIMA PARTE È INCENTRATA SUL CASO DEL MOSTRO DI ROVETO (LEGGASI MOSTRO DI FIRENZE), CON TUTTO L’ARMAMENTARIO DELLA NARRATIVA SUL CASO (I GUARDONI, IL TRAUMA RIMOSSO, I TESTIMONI OCULARI MORTI IN MANIERA MISTERIOSA, IL CAPRO ESPIATORIO). LA SECONDA PARTE SCIVOLA IN UNA TORBIDA VICENDA DI PAESE CHE MI HA RICORDATO DA VICINO “LE STRADE DI SERA”. QUESTA DOPPIA ANIMA È LA PROIEZIONE DEL VOSTRO DUO NARRATIVO?

Antonio Tentori: Non so se si possa parlare di doppia anima del romanzo. Nel senso che abbiamo cercato di costruire una vicenda il più possibile lineare, che parte dagli omicidi delle coppiette per poi entrare in un mondo torbido e misterioso di provincia, dove si cela l’assassino. I due aspetti sono quindi del tutto collegati.
Enrico Luceri: In realtà abbiamo ragionato e costruito un’ambientazione che fosse adatta alle esigenze narrative e a quella di creare una tensione suggerita più che esplicita, che crescesse con l’evoluzione della trama: una cittadina, la campagna umbra attorno, e piccoli borghi sperduti sulle colline. Un’atmosfera rurale che nella tradizione del thrilling italiano ispira le storie più inquietanti, ambigue e sorprendenti. Credo che l’intera indagine sia una narrazione compatta e molto realistica, poiché condotta da un uomo di mezza età che in una delle sue metamorfosi professionali, finisce per improvvisarsi detective privato ed essere coinvolto in un mistero più grande di lui per scagionare un vecchio amico.

RITENGO CHE LA NARRATIVA DI ENRICO LUCERI SIA SINTETIZZABILE CON UNA FRASE: “LE COLPE ANTICHE FANNO LE OMBRE LUNGHE”. AFFASCINANTE E UTILIZZATA DAL NOSTRO ANCHE COME TITOLO DI UNA DELLE SUE OPERE. MI SBAGLIO?

Enrico Luceri: Vero. L’obiettivo di ogni autore è coinvolgere i lettori nelle sue storie, spingerli a provare le emozioni dei personaggi. Già, ma perché i lettori dovrebbero spaventarsi come una vittima perseguitata da un assassino? La spiegazione si nasconde in un meccanismo singolare, personale e sensibile che scatta inesorabile in ognuno di noi. La memoria di una colpa, che per convenzione a volte chiamiamo rimorso. Un’ingiustizia, un torto, che abbiamo fatto a qualcuno, molto o poco tempo fa, e di cui non ci siamo mai pentiti. Ecco perché come lettori ci immedesimiamo in quel personaggio, proprio lui o lei che l’assassino vuole colpire. Perché sappiamo di nascondere una colpa che deve essere punita. Abbiamo cercato di dimenticarla, rimuoverla, negarla, ma è sempre lì, dentro di noi. Ecco perché viviamo, proviamo, soffriamo l’emozione della vittima. Perché conosciamo il movente dell’assassino. Fare giustizia, o vendicarsi se preferite, di una colpa commessa poco o molto tempo fa, della quale non ci siamo mai voluti pentire.

LA LETTERATURA DI ANTONIO È INVECE UNA MELODIA CUPA IN ONORE DEL THRILLER. TESTIMONIA LA MIA IDEA L’ULTIMO ROMANZO DI TENTORI “IL BAMBINO CHE GIOCAVA CON LE BAMBOLE”. DICO BENE?

Antonio Tentori: È senz’altro così. Amo il thriller, soprattutto il cinema thriller italiano del periodo d’oro, ovvero gli anni Settanta – Ottanta. Ritengo che in quel periodo si trovano le opere migliori e più significative, che hanno lasciato un segno fondamentale nel genere a livello internazionale. In questo senso il mio primo romanzo “Il bambino che giocava con le bambole” rappresenta un atto d’amore per quell’indimenticabile e irripetibile stagione.

TORNIAMO AL CUORE DEL LIBRO. AL MOSTRO. QUALI SONO I TESTI SULLA VICENDA CHE VI HANNO ISPIRATO?

Antonio Tentori: Principalmente “Dolci colline di sangue” di Mario Spezi e Douglas Preston e “Analisi di un mostro” di Francesco Bruno e Andrea Tornielli.
Enrico Luceri: Elencare tutti i saggi, articoli, racconti e romanzi che ho letto e i film, sceneggiati, documentari che ho visto sarebbe lungo! Mi limito a citare il saggio “Il Mostro, anatomia di un’indagine”, scritto dal commissario Michele Giuttari.

DATECI UNA VOSTRA LETTURA DELLA STORIA. SIETE DEI “PACCIANISTI”? DEI “SARDISTI”? FAVOREVOLI ALLA PISTA DEL SERIAL KILLER SOLITARIO?

Antonio Tentori: Propendo per l’ipotesi del killer solitario, che si è comunque servito di alcuni complici, più o meno volontari.
Enrico Luceri: Io credo che la verità sia quella giudiziaria emersa dopo tutti i gradi di giudizio della giustizia italiana. Ignoro se le indagini sarebbero potute, o dovute, proseguire per chiarire definitivamente quelli che sono oggettivamente aspetti oscuri e ambigui della vicenda, come quello sui presunti mandanti.

PERCHÉ PROPRIO IL MOSTRO? ANTICA OSSESSIONE? UN OMAGGIO ALLE PELLICOLE DELLA GRANDE DECADE DELL’ITALIAN GIALLO? UNA ELEGIA SOPRA I TRE FILM SUL MOSTRO?

Antonio Tentori: Perché è un caso talmente intricato che si presta alla perfezione per ideare un romanzo come il nostro che, pur ispirandosi a esso, poi prosegue verso altre direzioni narrative raccontando sostanzialmente un’altra storia.
Enrico Luceri: Perché è rimasto nell’immaginario collettivo e nell’opinione pubblica come uno dei casi più spaventosi, torbidi e misteriosi della storia italiana, che anche in un romanzo che si distanzia da esso come il nostro, evoca comunque atmosfere thrilling.

SCRIVERETE ALTRO INSIEME?

Enrico Luceri e Antonio Tentori: Sì, stiamo lavorando al nostro terzo romanzo, che sarà naturalmente un altro thriller.

E IN SOLITARIA?

Antonio Tentori: Sto scrivendo il mio secondo romanzo, che invece non è un thriller ma uno strano mix di vari generi letterari e non.
Enrico Luceri: Le mie pubblicazioni future sono due romanzi nella collana Il Giallo Mondadori, a febbraio e nel 2021, un altro nella prossima primavera che inaugura la collaborazione con un editore prestigioso, un quarto che attende una risposta da un editore, e due raccolte di racconti piuttosto singolari. Adesso lavoro con i miei amici, colleghi e soci Giulio Leoni e Massimo Pietroselli al sesto volume della serie “Gli archivi segreti della Sezione M”, in libreria a giugno.

GRAZIE DEL VOSTRO TEMPO. NON MI RESTA CHE INVITARE TUTTI I GRANDI APPASSIONATI AL TEMA DEL MOSTRO DI FIRENZE, CHE SONO TANTISSIMI, A LEGGERE QUESTO NUOVO ROMANZO. MA NON SOLO: PER CHI AMA IL THRILLER ALL’ITALIANA, PER TUTTI GLI AMANTI DEL GIALLO E DEL CRIME QUESTO TESTO SARÀ UNA PIACEVOLE LETTURA IN COMPAGNIA DI DUE AMICI CHE AL GIALLO HANNO DEDICATO LA PROPRIA ESISTENZA.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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