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L'albero, specchio della natura e metafora della vita
Cittą della Spezia di lunedģ 8 febbraio 2021
Nel dicembre scorso si č spento improvvisamente nell’isola di Ischia, dove era nato e risiedeva, Pietro Greco, chimico, giornalista scientifico di fama internazionale...

di Valerio P. Cremolini
Nel dicembre scorso si è spento improvvisamente nell’isola di Ischia, dove era nato e risiedeva, Pietro Greco, chimico, giornalista scientifico di fama internazionale, autore di opere scientifiche e divulgative, conduttore radiofonico, tra i giornalisti italiani più autorevoli nel suo settore. Aggiungo, letterato dalla considerevole cultura che, personalmente, ho avuto modo di constatare leggendo il libro L’Albero (Digital Team srl, Fano), nel quale i suoi testi affiancano le ben più che pregevoli fotografie di Roberto Besana, nostro concittadino, in quanto spezzino d’adozione. Besana aveva sentito l’amico Pietro il giorno precedente la sua scomparsa per definire un innovativo progetto editoriale, ancora una volta di contenuto ambientale, dedicato al paesaggio.
In una toccante testimonianza, non diversa da quella di autorevoli studiosi, Besana lo ha definito «saggio e posato nei giudizi e commenti, infaticabile ricercatore del nuovo, delle interazioni tra le culture, tra le menti, catalizzatore di esperienze e persone». Gli amici hanno desiderato celebrarne la memoria impiantando un olivo secolare in sua memoria nel luogo natio.
Le misure anti Covid hanno impedito, come programmato, di poter presentare alla Spezia L’Albero, dove avremmo potuto apprezzare il sapere e la capacità comunicativa di Greco.
Ho piacere di associarmi a quanti hanno onorato la sua figura, proponendo la mia recensione del citato libro, pubblicata di recente sul n. 4/2020 della rivista Il Porticciolo, diretta da Rina Gambini.

Roberto Besana, eccellente fotografo, spezzino d’adozione, e Pietro Greco, raffinato letterato con esperienze scientifiche, sono gli autori di un magnifico libro intitolato “L’albero”. Il primo aspetto che emerge è l’alleanza professionale e umana fra Besana e Greco, a cui si devono distillati saggi che trasudano di considerevole cultura e di convinta condivisione del tema, che richiama un’assunzione di responsabilità individuale e sociale. Il loro amabile dialogo si protrae lungo le pagine del volume, nel quale sessantacinque sceltissime fotografie in bianco e nero raccontate con intense riflessioni da Greco celebrano la vita e la bellezza di alberi disseminati in varie località italiane, compresa la provincia della Spezia.
Quanto siano importanti gli alberi nella vita dell’uomo è cosa ben nota, anche se talvolta non sembra proprio così. Ne argomenta nell’introduzione Lorenzo Ciccarese, aggiungendo che gli alberi «sono fonte di ispirazione scientifica, artistica e letteraria, dimora del divino e oggetto di culto». È vero, nell’arte e nella letteratura è diffuso il protagonismo dell’albero, dipinto, tra gli altri, da Klimnt, Matisse, Mondrian, Derain, de Pisis, Morandi, Mattioli. Splendidi sono gli ulivi di Monet, Renoir e Van Gogh; esemplari quelli di Nomellini, Merello, Discovolo e del nostro Ercole S. Aprigliano. Altrettanto efficaci sono i versi di Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Ungaretti, Sbarbaro, Montale, Quasimodo, Calvino, Brecht, Prévert, Neruda.
Gli scenari fissati dall’obiettivo di Besana sono quanto mai coinvolgenti. Tra appaganti chiaroscuri si stagliano alberi possenti, ma anche esili, che sono gli attori del suo linguaggio visivo, cantore con Greco degli alberi, quali «nostri indispensabili, partecipi, umili e a volte giganteschi compagni». Nella pubblicazione, che accoglie quattro poesie di Francesca Boccaletto e un contributo di Melina Scalise, affiora di continuo una non vaga partecipazione emotiva. Le distinte interiorità di Besana e Greco, infatti, si intrecciano nelle suadenti immagini del fotografo e nella chiara e colta prosa dello scrittore, che contribuiscono a comporre una vera e propria elegia dove senza urtarsi si incontrano serenità e malinconia, presente e memoria. Entrambi hanno rivelato un convincente e profondo legame nei riguardi del binomio terra-natura e nella preparazione del libro si saranno posti non poche domande. Besana dinanzi all’habitat dell’albero, intento a scegliere la posizione più felice per immortalarlo, perseguendo la migliore coerenza compositiva; Greco nell’accompagnare senza cadere nella banalità le immagini dell’amico, caratterizzate da una straordinaria resa fotografica.
Davanti ad un buon dipinto si cerca di svelare gli aspetti formali ed il contenuto e ciò vale per la fotografia. Quelle di Besana trasmettono sensibilità nei riguardi dell’ambiente, avvicinato con sentimenti, non è retorica, di amore. Ho scoperto che argomenta in tal senso il noto fotografo Franco Fontana (1933) nell’affermare che: “Fotografare è un atto di conoscenza, è un rapporto d’amore. Ti appropri di qualcosa che ti appartiene, che è dentro di te”.
Non è il solo Sulla medesima linea, ben prima, il fotografo americano Edward Weston (1886-1958), ispiratore di celebri maestri, tra cui Henri Cartier-Bresson (1908-2004), esortava a “vedere la foto dentro di sé prima di scattarla”. Al fotografo francese si deve l’ineguagliabile definizione dell’esercizio fotografico, quale “istante decisivo per fissare una frazione di secondo della realtà”. Di un succedersi di frazioni di secondi si compone la cornice temporale nella quale si situano gli scatti di Besana, sintesi dell’elevato equilibrio interiore ed esteriore dell’artista.
Fotografare è un gesto creativo, non di rado spinto verso la sperimentazione tecnologica, al rinnovamento delle immagini e dei linguaggi, aspetto di rilievo dell’evoluzione contemporanea riguardante il più ampio contesto delle arti visive, dove alla fotografia si addice un riconosciuto protagonismo.
Nel suo affettuoso reportage Besana rivela pregevole identità stilistica e un collaudato esercizio della visione, che gli consentono di cogliere con autenticità quanto si offre al suo sguardo curioso. Ne sono scaturite immagini ariose, limpide, piene di vita, che hanno trasferito straordinari e realistici scenari rendendo il suo viaggio fotografico, dalla evidente partecipazione emotiva, pieno di sorprendenti incontri e di diffuso stupore, partecipe dei racconti di Greco, elaborati con personali riflessioni e appropriate citazioni.
È lecito fare uso della parola “meraviglia” con quanto essa evoca, al pari dei sinonimi, che hanno piena cittadinanza nel vedere con la mente lo shock visivo che avrà coinvolto gli autori del libro dinanzi ai suggestivi scenari della natura in cui si sono imbattuti lungo il loro “viaggio alla scoperta dell’albero” (Melina Scalise).
Davanti ad un buon dipinto si cerca di svelare aspetti di forma e di contenuto. Non diversamente per la fotografia. Besana mostra una pregevole coerenza compositiva, evitando toni enfatici nel cogliere e nell’esaltare la spontaneità della visione. Inoltre, è padrone di una unità linguistica, dove presente e memoria, realismo e poesia, si incontrano in una felice intesa. Ne scaturisce una concentrazione lirica nel celebrare l’albero, simbolo di protezione, metafora della vita e del suo inesauribile divenire.
Il libro va gustato alla stregua di un poema, che ci viene consegnato come un complesso messaggio di amore per la terra, custode del fascino, della forza, della fragilità e della silenziosa voce degli alberi.
«Gli alberi - scrive Greco – come tutti gli organismi viventi sono soggetti all’evoluzione della specie per selezione naturale. Dove a quel naturale dobbiamo aggiungere anche per selezione artificiale, la selezione proposta e/o imposta dall’uomo, che è a sua volta figlio della natura. Anche se, talvolta, un po' irresponsabile».


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Nel dicembre scorso si č spento improvvisamente nell’isola di Ischia, dove era nato e risiedeva, Pietro Greco, chimico, giornalista scientifico di fama internazionale...

di Valerio P. Cremolini
Nel dicembre scorso si è spento improvvisamente nell’isola di Ischia, dove era nato e risiedeva, Pietro Greco, chimico, giornalista scientifico di fama internazionale, autore di opere scientifiche e divulgative, conduttore radiofonico, tra i giornalisti italiani più autorevoli nel suo settore. Aggiungo, letterato dalla considerevole cultura che, personalmente, ho avuto modo di constatare leggendo il libro L’Albero (Digital Team srl, Fano), nel quale i suoi testi affiancano le ben più che pregevoli fotografie di Roberto Besana, nostro concittadino, in quanto spezzino d’adozione. Besana aveva sentito l’amico Pietro il giorno precedente la sua scomparsa per definire un innovativo progetto editoriale, ancora una volta di contenuto ambientale, dedicato al paesaggio.
In una toccante testimonianza, non diversa da quella di autorevoli studiosi, Besana lo ha definito «saggio e posato nei giudizi e commenti, infaticabile ricercatore del nuovo, delle interazioni tra le culture, tra le menti, catalizzatore di esperienze e persone». Gli amici hanno desiderato celebrarne la memoria impiantando un olivo secolare in sua memoria nel luogo natio.
Le misure anti Covid hanno impedito, come programmato, di poter presentare alla Spezia L’Albero, dove avremmo potuto apprezzare il sapere e la capacità comunicativa di Greco.
Ho piacere di associarmi a quanti hanno onorato la sua figura, proponendo la mia recensione del citato libro, pubblicata di recente sul n. 4/2020 della rivista Il Porticciolo, diretta da Rina Gambini.

Roberto Besana, eccellente fotografo, spezzino d’adozione, e Pietro Greco, raffinato letterato con esperienze scientifiche, sono gli autori di un magnifico libro intitolato “L’albero”. Il primo aspetto che emerge è l’alleanza professionale e umana fra Besana e Greco, a cui si devono distillati saggi che trasudano di considerevole cultura e di convinta condivisione del tema, che richiama un’assunzione di responsabilità individuale e sociale. Il loro amabile dialogo si protrae lungo le pagine del volume, nel quale sessantacinque sceltissime fotografie in bianco e nero raccontate con intense riflessioni da Greco celebrano la vita e la bellezza di alberi disseminati in varie località italiane, compresa la provincia della Spezia.
Quanto siano importanti gli alberi nella vita dell’uomo è cosa ben nota, anche se talvolta non sembra proprio così. Ne argomenta nell’introduzione Lorenzo Ciccarese, aggiungendo che gli alberi «sono fonte di ispirazione scientifica, artistica e letteraria, dimora del divino e oggetto di culto». È vero, nell’arte e nella letteratura è diffuso il protagonismo dell’albero, dipinto, tra gli altri, da Klimnt, Matisse, Mondrian, Derain, de Pisis, Morandi, Mattioli. Splendidi sono gli ulivi di Monet, Renoir e Van Gogh; esemplari quelli di Nomellini, Merello, Discovolo e del nostro Ercole S. Aprigliano. Altrettanto efficaci sono i versi di Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Ungaretti, Sbarbaro, Montale, Quasimodo, Calvino, Brecht, Prévert, Neruda.
Gli scenari fissati dall’obiettivo di Besana sono quanto mai coinvolgenti. Tra appaganti chiaroscuri si stagliano alberi possenti, ma anche esili, che sono gli attori del suo linguaggio visivo, cantore con Greco degli alberi, quali «nostri indispensabili, partecipi, umili e a volte giganteschi compagni». Nella pubblicazione, che accoglie quattro poesie di Francesca Boccaletto e un contributo di Melina Scalise, affiora di continuo una non vaga partecipazione emotiva. Le distinte interiorità di Besana e Greco, infatti, si intrecciano nelle suadenti immagini del fotografo e nella chiara e colta prosa dello scrittore, che contribuiscono a comporre una vera e propria elegia dove senza urtarsi si incontrano serenità e malinconia, presente e memoria. Entrambi hanno rivelato un convincente e profondo legame nei riguardi del binomio terra-natura e nella preparazione del libro si saranno posti non poche domande. Besana dinanzi all’habitat dell’albero, intento a scegliere la posizione più felice per immortalarlo, perseguendo la migliore coerenza compositiva; Greco nell’accompagnare senza cadere nella banalità le immagini dell’amico, caratterizzate da una straordinaria resa fotografica.
Davanti ad un buon dipinto si cerca di svelare gli aspetti formali ed il contenuto e ciò vale per la fotografia. Quelle di Besana trasmettono sensibilità nei riguardi dell’ambiente, avvicinato con sentimenti, non è retorica, di amore. Ho scoperto che argomenta in tal senso il noto fotografo Franco Fontana (1933) nell’affermare che: “Fotografare è un atto di conoscenza, è un rapporto d’amore. Ti appropri di qualcosa che ti appartiene, che è dentro di te”.
Non è il solo Sulla medesima linea, ben prima, il fotografo americano Edward Weston (1886-1958), ispiratore di celebri maestri, tra cui Henri Cartier-Bresson (1908-2004), esortava a “vedere la foto dentro di sé prima di scattarla”. Al fotografo francese si deve l’ineguagliabile definizione dell’esercizio fotografico, quale “istante decisivo per fissare una frazione di secondo della realtà”. Di un succedersi di frazioni di secondi si compone la cornice temporale nella quale si situano gli scatti di Besana, sintesi dell’elevato equilibrio interiore ed esteriore dell’artista.
Fotografare è un gesto creativo, non di rado spinto verso la sperimentazione tecnologica, al rinnovamento delle immagini e dei linguaggi, aspetto di rilievo dell’evoluzione contemporanea riguardante il più ampio contesto delle arti visive, dove alla fotografia si addice un riconosciuto protagonismo.
Nel suo affettuoso reportage Besana rivela pregevole identità stilistica e un collaudato esercizio della visione, che gli consentono di cogliere con autenticità quanto si offre al suo sguardo curioso. Ne sono scaturite immagini ariose, limpide, piene di vita, che hanno trasferito straordinari e realistici scenari rendendo il suo viaggio fotografico, dalla evidente partecipazione emotiva, pieno di sorprendenti incontri e di diffuso stupore, partecipe dei racconti di Greco, elaborati con personali riflessioni e appropriate citazioni.
È lecito fare uso della parola “meraviglia” con quanto essa evoca, al pari dei sinonimi, che hanno piena cittadinanza nel vedere con la mente lo shock visivo che avrà coinvolto gli autori del libro dinanzi ai suggestivi scenari della natura in cui si sono imbattuti lungo il loro “viaggio alla scoperta dell’albero” (Melina Scalise).
Davanti ad un buon dipinto si cerca di svelare aspetti di forma e di contenuto. Non diversamente per la fotografia. Besana mostra una pregevole coerenza compositiva, evitando toni enfatici nel cogliere e nell’esaltare la spontaneità della visione. Inoltre, è padrone di una unità linguistica, dove presente e memoria, realismo e poesia, si incontrano in una felice intesa. Ne scaturisce una concentrazione lirica nel celebrare l’albero, simbolo di protezione, metafora della vita e del suo inesauribile divenire.
Il libro va gustato alla stregua di un poema, che ci viene consegnato come un complesso messaggio di amore per la terra, custode del fascino, della forza, della fragilità e della silenziosa voce degli alberi.
«Gli alberi - scrive Greco – come tutti gli organismi viventi sono soggetti all’evoluzione della specie per selezione naturale. Dove a quel naturale dobbiamo aggiungere anche per selezione artificiale, la selezione proposta e/o imposta dall’uomo, che è a sua volta figlio della natura. Anche se, talvolta, un po' irresponsabile».


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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