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Tutto ciò che vidi: le testimonianze di Rosanna Pasquinelli sulle foibe
gli scrittori della porta accanto di giovedì 11 febbraio 2021
documenti, relazioni e note di Rosanna Pasquinelli sulle foibe, stragi negate troppo a lungo

di Davide Dotto
Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo per non dimenticare le tante vittime delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata. Il Giorno del ricordo è stato istituito solo nel 2004, prima di quella data ben poco, o nulla, si sapeva su questa atroce vicenda.

Leggi anche Lara Zavatteri | I casi occultati della Storia: le foibe e il genocidio degli armeni
Le foibe non sono mai state argomento di studio, per questo come per altri massacri, come quello degli armeni, si è cercato di insabbiare ciò che è avvenuto per decenni, se si pensa che era il 1947 quando ufficialmente cessarono i massacri di coloro che venivano gettati nelle foibe.

I massacri ai danni di militari e civili italiani della Dalmazia, della Venezia-Giulia e del Quarnaro iniziarono con l'armistizio del 1943, quando gli jugoslavi iniziarono a reclamare le terre, come l'Istria, che allora erano italiane.

Ma i massacri continuarono per anni, ai danni di italiani che avevano aderito al partito fascista, di partigiani italiani o semplicemente di chi aveva osato opporsi. Spesso erano persone scelte a caso, con la sola colpa di essere italiani.
Le foibe sono cavità carsiche che si aprono nel terreno e scendono anche per chilometri. Chi veniva catturato – dai partigiani di Tito, principalmente, ma la questione su chi altri abbia collaborato è ancora aperta – solitamente veniva legato a un'altra persona. Una veniva fucilata ed insieme erano spinte nella foiba. In questo modo la persona, rimasta viva, se non moriva per la caduta doveva affrontare una lenta agonia per mancanza di cibo e acqua. Una tortura indicibile, cui prima si aggiungevano violenze di ogni genere, specie sulle donne ma non solo.

Leggi anche Tamara Marcelli | L'altro 8 settembre: la resistenza degli internati militari italiani

Una storia a parte ebbe la città di Trieste.

Una delle foibe più famose è quella di Basovizza, frazione della città, occupata prima dai tedeschi, poi dagli jugoslavi, infine “spartita” tra gli Alleati e la Repubblica Jugoslava, per tornare all'Italia nel 1954.
Come detto gli infoibamenti proseguirono fino al 1947, mentre a questi seguì il drammatico esodo degli italiani giuliano-dalmati verso l'Italia. Per non essere uccisi, visto che i loro territori erano diventati parte della Jugoslavia, interi paesi si spopolarono e gli emigranti partirono, spesso accolti malamente dagli stessi connazionali.
Tutto ciò che vidi. Parla Maria Paquinelli. 1943 - 1945 fosse comuni, foibe, mare.

Tutto ciò che vidi
Parla Maria Paquinelli. 1943 - 1945 fosse comuni, foibe, mare.

di Rosanna Turcinovich Giuricin e Rosanna Poletti
Oltre Edizioni
Saggio
ISBN 9791280075116
Cartaceo 19,93€

Le foibe e l'esodo giuliano dalmata fanno parte di quegli accadimenti terribili della Storia di cui si è sempre parlato poco, e anche oggi probabilmente ancora troppo poco si sa e se ne parla.

Vi suggerisco un libro uscito lo scorso novembre, per non dimenticare mai: Tutto ciò che vidi, un saggio di Rosanna Turcinovich Giuricin e Rosanna Poletti.
Rosanna Turcinovich Giuricin e Rossana Poletti hanno raccolto, ordinato e commentato i documenti, gli scritti, relazioni, note che Rosanna Pasquinelli, la donna che nel 1947, per protestare contro le decisioni degli Stati vincitori della seconda guerra mondiale che decisero di assegnare l’Istria e Fiume alla Jugoslavia, uccise con un colpo di pistola il generale inglese Robert De Winton a Pola. Le due autrici hanno per settimane compulsato e studiato i manoscritti contenuti in una cassa custodita per decenni in una banca triestina su mandato di Monsignor Antonio Santin, allora vescovo della città giuliana. Gli originali, le copie, le relazioni, le annotazioni, tutto vidimato da avvocati e notai che presero in consegna il materiale di cui questa è una prima parte, la più sofferta, la storia di una tragedia vissuta in trincea che, come scrive Ezio Giuricin nella sua introduzione: “può trovare una spiegazione solo se contestualizzata, inserita nella complessa temperie storica e politica dell’Istria alla fine del secondo conflitto mondiale”.


leggi l'articolo integrale su gli scrittori della porta accanto
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documenti, relazioni e note di Rosanna Pasquinelli sulle foibe, stragi negate troppo a lungo

di Davide Dotto
Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo per non dimenticare le tante vittime delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata. Il Giorno del ricordo è stato istituito solo nel 2004, prima di quella data ben poco, o nulla, si sapeva su questa atroce vicenda.

Leggi anche Lara Zavatteri | I casi occultati della Storia: le foibe e il genocidio degli armeni
Le foibe non sono mai state argomento di studio, per questo come per altri massacri, come quello degli armeni, si è cercato di insabbiare ciò che è avvenuto per decenni, se si pensa che era il 1947 quando ufficialmente cessarono i massacri di coloro che venivano gettati nelle foibe.

I massacri ai danni di militari e civili italiani della Dalmazia, della Venezia-Giulia e del Quarnaro iniziarono con l'armistizio del 1943, quando gli jugoslavi iniziarono a reclamare le terre, come l'Istria, che allora erano italiane.

Ma i massacri continuarono per anni, ai danni di italiani che avevano aderito al partito fascista, di partigiani italiani o semplicemente di chi aveva osato opporsi. Spesso erano persone scelte a caso, con la sola colpa di essere italiani.
Le foibe sono cavità carsiche che si aprono nel terreno e scendono anche per chilometri. Chi veniva catturato – dai partigiani di Tito, principalmente, ma la questione su chi altri abbia collaborato è ancora aperta – solitamente veniva legato a un'altra persona. Una veniva fucilata ed insieme erano spinte nella foiba. In questo modo la persona, rimasta viva, se non moriva per la caduta doveva affrontare una lenta agonia per mancanza di cibo e acqua. Una tortura indicibile, cui prima si aggiungevano violenze di ogni genere, specie sulle donne ma non solo.

Leggi anche Tamara Marcelli | L'altro 8 settembre: la resistenza degli internati militari italiani

Una storia a parte ebbe la città di Trieste.

Una delle foibe più famose è quella di Basovizza, frazione della città, occupata prima dai tedeschi, poi dagli jugoslavi, infine “spartita” tra gli Alleati e la Repubblica Jugoslava, per tornare all'Italia nel 1954.
Come detto gli infoibamenti proseguirono fino al 1947, mentre a questi seguì il drammatico esodo degli italiani giuliano-dalmati verso l'Italia. Per non essere uccisi, visto che i loro territori erano diventati parte della Jugoslavia, interi paesi si spopolarono e gli emigranti partirono, spesso accolti malamente dagli stessi connazionali.
Tutto ciò che vidi. Parla Maria Paquinelli. 1943 - 1945 fosse comuni, foibe, mare.

Tutto ciò che vidi
Parla Maria Paquinelli. 1943 - 1945 fosse comuni, foibe, mare.

di Rosanna Turcinovich Giuricin e Rosanna Poletti
Oltre Edizioni
Saggio
ISBN 9791280075116
Cartaceo 19,93€

Le foibe e l'esodo giuliano dalmata fanno parte di quegli accadimenti terribili della Storia di cui si è sempre parlato poco, e anche oggi probabilmente ancora troppo poco si sa e se ne parla.

Vi suggerisco un libro uscito lo scorso novembre, per non dimenticare mai: Tutto ciò che vidi, un saggio di Rosanna Turcinovich Giuricin e Rosanna Poletti.
Rosanna Turcinovich Giuricin e Rossana Poletti hanno raccolto, ordinato e commentato i documenti, gli scritti, relazioni, note che Rosanna Pasquinelli, la donna che nel 1947, per protestare contro le decisioni degli Stati vincitori della seconda guerra mondiale che decisero di assegnare l’Istria e Fiume alla Jugoslavia, uccise con un colpo di pistola il generale inglese Robert De Winton a Pola. Le due autrici hanno per settimane compulsato e studiato i manoscritti contenuti in una cassa custodita per decenni in una banca triestina su mandato di Monsignor Antonio Santin, allora vescovo della città giuliana. Gli originali, le copie, le relazioni, le annotazioni, tutto vidimato da avvocati e notai che presero in consegna il materiale di cui questa è una prima parte, la più sofferta, la storia di una tragedia vissuta in trincea che, come scrive Ezio Giuricin nella sua introduzione: “può trovare una spiegazione solo se contestualizzata, inserita nella complessa temperie storica e politica dell’Istria alla fine del secondo conflitto mondiale”.


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OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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