CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
L’ombra lunga delle First Ladies. A colloquio con Dario Salvatori
exagere di lunedě 15 marzo 2021
La figura della First Lady degli Stati Uniti d’America č comunemente oggetto di grandissima curiositŕ, a volte al limite dell’ossessione e del voyeurismo (con le conseguenze negative che attenzioni simili possono avere sulla vita personale e familiare)...

di Giulia Pratelli
La figura della First Lady degli Stati Uniti d’America è comunemente oggetto di grandissima curiosità, a volte al limite dell’ossessione e del voyeurismo (con le conseguenze negative che attenzioni simili possono avere sulla vita personale e familiare). Da tempo, inoltre, la First Lady non è più una mera ombra del Presidente: possiede un ufficio alla Casa Bianca e uno staff personale. La sua immagine viene spesso legata a campagne di opinione scelte con puntuale attenzione. Sono donne che dovranno sostenere le candidature dei propri compagni ma anche sopportare il peso degli errori di questi ultimi, soprattutto nei confronti dell’opinione pubblica.

First Lady. Donne che hanno influenzato la politica, lo stile e il pensiero della nazione più potente del mondo (Oltre Edizioni, 2021) è un dietro le quinte che, facendo luce su vicende e dettagli che altrimenti rimarrebbero dimenticati o semplicemente appannaggio dei più esperti e informati, ci aiuta ad osservare l’evoluzione dell’altra faccia della medaglia delle carriere presidenziali statunitensi .

Ne abbiamo discusso con l’autore Dario Salvatori, noto giornalista, critico musicale, insegnante, conduttore radiofonico e scrittore, oltreché responsabile artistico del patrimonio sonoro della Rai.

– Ad un’analisi superficiale si potrebbe pensare che le compagne dei presidenti americane si siano ritagliate nel tempo un ruolo, uno spazio e un’ autorità, diventando progressivamente parte attiva della presidenza e non più semplici ombre dei mariti. In realtà, leggendo il suo libro, si scopre che già Martha Washington ebbe una fondamentale importanza e fu molto amata dalla popolazione. Come si è evoluta realmente la figura della First Lady?

– La figura si è evoluta seguendo almeno due o tre rivoli diversi. Il principale è quello che deriva da una figura femminile di affiancamento che in altri paesi, tantomeno nelle monarchie, non c’era.

Dalla fine del Settecento, fino a tutta la metà dell’Ottocento, gran parte dei Presidenti provenivano da Stati come Virginia e Ohio, in cui, l’unione di due famiglie importanti, era un modo per creare privilegi e aumentare la capacità economica sommando estensioni territoriali e numero di schiavi. Nel tempo la figura è poi cambiata e si è evoluta somigliando, sempre più, a quella che conosciamo oggi: in particolar modo nel ‘900 si è passati dal semplice affiancamento alla vera e propria collaborazione.

– Come mai, nonostante l’impegno molto attivo e la grande esposizione mediatica delle donne, sia durante la campagna elettorale che una volta diventate First Ladies, nell’opinione pubblica americana, l’ambizione e la possibilità di ricoprire tali ruoli di potere da parte di donne, siano associate a qualcosa di anormale, ad un’errore, un imbroglio?

– Le serie americane hanno sempre teso a privilegiare aspetti di gossip, gli intrighi di natura sessuale, soprattutto con riferimento agli ultimi Presidenti. Se fossero state fatte con intento meno commerciale e più rivolto all’approfondimento, probabilmente avrebbero toccato anche altre epoche e raccontato altre vicende. Fa eccezione il caso di Lincoln, affrontato ampiamente dal cinema e dalla televisione.

L’impegno attivo e l’esposizione mediatica delle mogli dei futuri presidenti, sono aspetti maturati soprattutto nel ‘900, momento in cui i mezzi di stampa e comunicazione sono diventati centrali anche durante le campagne elettorali. Possiamo ricordare, come esempio tra i tanti, l’impegno di Mamie Eisenhower che, per sostenere l’elezione del marito (divenuto Presidente nel 1953, ndr) collaborò all’ organizzazione di un treno che attraversava ben 12 stati e su cui viaggiavano anche le supporter del candidato presidente. Potremmo fare molti altri esempi, fino alle cose più sofisticate raggiunte con la presidenza Obama con l’utilizzo del web. Non a caso è stato il primo Presidente ad annunciare l’elezione tramite la rete.

– Tra tutte le figure che ha analizzato, se dovesse sceglierne una da indicare come la più influente, la più determinante, quale sceglierebbe?

– Dirò una cosa banale ma credo che tutte le simpatie vadano a Jacqueline Kennedy: la prima First Lady “moderna”, se così si può dire. Dotata di straordinaria bellezza, intelligenza, di grande fascino e donna di grande cultura, è stata capace di portare alla Casa Bianca un “french touch” fino ad allora mai visto. Storicamente le First Ladies e i Presidenti si erano ispirati all’iconografia delle corti europee, lei scelse, invece, di introdurre elementi totalmente nuovi, dedicandosi personalmente all’arredamento e chiamando a Washington cuochi francesi. Tutto questo a fianco del primo Presidente cattolico, segnando quindi una doppia rivoluzione. Nonostante sia stata una Presidenza breve, di soli due anni, penso abbia lasciato un grande segno, soprattutto dal punto di vista dello stile.

– Se dovessimo fare un paragone con ciò che è avvenuto nel nostro Paese, è possibile, secondo lei, riuscire a tracciare in qualche modo una storia, un’evoluzione, della figura delle First Ladies italiane?

– Tempo fa ho provato a ripercorrere con un collega le varie figure, andando a ricercare i primi Presidenti della Repubblica Italiana, da De Nicola fino a Einaudi e abbiamo rintracciato situazioni particolari: qualcuno era vedovo, qualcuno addirittura si fece accompagnare dalla nipote. Inoltre si usava chiamarle “Donna” come Donna Carla, moglie di Gronchi, o Donna Vittoria, moglie di Leone, che sembra un appellativo davvero poco adatto al ruolo. Queste figure, inoltre, apparivano in occasioni legate alla beneficienza, alla consegna dei pacchi di Natale, con funzioni decisamente secondarie. Forse ci stiamo avvicinando a un modello diverso ma fondamentalmente non ci vengono a mente First Ladies italiane che abbiano preso posizioni particolari, se non la moglie di Ciampi, che si pronunciò contro la televisione. Ma anche la moglie di Pertini, che si rifiutò di spostarsi al Quirinale dall’abitazione a Fontana di Trevi, dando un segno di rigore personale e familiare (mise in forte agitazione i servizi segreti, che dovettero riorganizzare la sorveglianza in uno spazio principalmente turistico).

– L’ultima elezione americana ha designato un quadro completamente nuovo: Jill Biden ha annunciato che non smetterà di insegnare, nonostante il nuovo ruolo di First Lady. Il marito di Kamala Harris (la prima donna eletta vicepresidente) ha invece rassegnato le dimissioni dallo studio legale in cui lavorava per poter affiancare la moglie, diventando in un certo senso il primo First Gentleman. È un cambiamento che riguarderà anche il futuro?

– Il cambio di rotta avverrà soprattutto perché, probabilmente, l’attuale Vicepresidente diventerà la prima donna Presidente degli Stati Uniti, per tanti motivi, oltre all’età avanzata di Biden: Kamala Harris ha i numeri le capacità, a mio avviso, per sostenere quel ruolo.

Il grande interesse per questa nuova First Lady riguarda sì, il fatto che continui a lavorare, anche se secondo me, a loro modo, tutte hanno lavorato. E’ però un caso particolare , siamo di fronte a una signora di settant’anni che non sembra disposta a mollare il posto di lavoro, pur non essendo una semplice insegnante con un guadagno ridotto e non ha bisogno di strappare la pensione. Un altro aspetto che mi ha incuriosito molto è il fatto che si tratti della prima First Lady italo-americana. Non si è pronunciata su altre questioni, non ha fatto annunci relativi agli aspetti di cui intende interessarsi più da vicino: sembrerebbe essere una First Lady da passo indietro, se così si può dire.


leggi l'articolo integrale su exagere
SCHEDA LIBRO   |   Segnala  |  Ufficio Stampa


CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
exagere - lunedě 15 marzo 2021
La figura della First Lady degli Stati Uniti d’America č comunemente oggetto di grandissima curiositŕ, a volte al limite dell’ossessione e del voyeurismo (con le conseguenze negative che attenzioni simili possono avere sulla vita personale e familiare)...

di Giulia Pratelli
La figura della First Lady degli Stati Uniti d’America è comunemente oggetto di grandissima curiosità, a volte al limite dell’ossessione e del voyeurismo (con le conseguenze negative che attenzioni simili possono avere sulla vita personale e familiare). Da tempo, inoltre, la First Lady non è più una mera ombra del Presidente: possiede un ufficio alla Casa Bianca e uno staff personale. La sua immagine viene spesso legata a campagne di opinione scelte con puntuale attenzione. Sono donne che dovranno sostenere le candidature dei propri compagni ma anche sopportare il peso degli errori di questi ultimi, soprattutto nei confronti dell’opinione pubblica.

First Lady. Donne che hanno influenzato la politica, lo stile e il pensiero della nazione più potente del mondo (Oltre Edizioni, 2021) è un dietro le quinte che, facendo luce su vicende e dettagli che altrimenti rimarrebbero dimenticati o semplicemente appannaggio dei più esperti e informati, ci aiuta ad osservare l’evoluzione dell’altra faccia della medaglia delle carriere presidenziali statunitensi .

Ne abbiamo discusso con l’autore Dario Salvatori, noto giornalista, critico musicale, insegnante, conduttore radiofonico e scrittore, oltreché responsabile artistico del patrimonio sonoro della Rai.

– Ad un’analisi superficiale si potrebbe pensare che le compagne dei presidenti americane si siano ritagliate nel tempo un ruolo, uno spazio e un’ autorità, diventando progressivamente parte attiva della presidenza e non più semplici ombre dei mariti. In realtà, leggendo il suo libro, si scopre che già Martha Washington ebbe una fondamentale importanza e fu molto amata dalla popolazione. Come si è evoluta realmente la figura della First Lady?

– La figura si è evoluta seguendo almeno due o tre rivoli diversi. Il principale è quello che deriva da una figura femminile di affiancamento che in altri paesi, tantomeno nelle monarchie, non c’era.

Dalla fine del Settecento, fino a tutta la metà dell’Ottocento, gran parte dei Presidenti provenivano da Stati come Virginia e Ohio, in cui, l’unione di due famiglie importanti, era un modo per creare privilegi e aumentare la capacità economica sommando estensioni territoriali e numero di schiavi. Nel tempo la figura è poi cambiata e si è evoluta somigliando, sempre più, a quella che conosciamo oggi: in particolar modo nel ‘900 si è passati dal semplice affiancamento alla vera e propria collaborazione.

– Come mai, nonostante l’impegno molto attivo e la grande esposizione mediatica delle donne, sia durante la campagna elettorale che una volta diventate First Ladies, nell’opinione pubblica americana, l’ambizione e la possibilità di ricoprire tali ruoli di potere da parte di donne, siano associate a qualcosa di anormale, ad un’errore, un imbroglio?

– Le serie americane hanno sempre teso a privilegiare aspetti di gossip, gli intrighi di natura sessuale, soprattutto con riferimento agli ultimi Presidenti. Se fossero state fatte con intento meno commerciale e più rivolto all’approfondimento, probabilmente avrebbero toccato anche altre epoche e raccontato altre vicende. Fa eccezione il caso di Lincoln, affrontato ampiamente dal cinema e dalla televisione.

L’impegno attivo e l’esposizione mediatica delle mogli dei futuri presidenti, sono aspetti maturati soprattutto nel ‘900, momento in cui i mezzi di stampa e comunicazione sono diventati centrali anche durante le campagne elettorali. Possiamo ricordare, come esempio tra i tanti, l’impegno di Mamie Eisenhower che, per sostenere l’elezione del marito (divenuto Presidente nel 1953, ndr) collaborò all’ organizzazione di un treno che attraversava ben 12 stati e su cui viaggiavano anche le supporter del candidato presidente. Potremmo fare molti altri esempi, fino alle cose più sofisticate raggiunte con la presidenza Obama con l’utilizzo del web. Non a caso è stato il primo Presidente ad annunciare l’elezione tramite la rete.

– Tra tutte le figure che ha analizzato, se dovesse sceglierne una da indicare come la più influente, la più determinante, quale sceglierebbe?

– Dirò una cosa banale ma credo che tutte le simpatie vadano a Jacqueline Kennedy: la prima First Lady “moderna”, se così si può dire. Dotata di straordinaria bellezza, intelligenza, di grande fascino e donna di grande cultura, è stata capace di portare alla Casa Bianca un “french touch” fino ad allora mai visto. Storicamente le First Ladies e i Presidenti si erano ispirati all’iconografia delle corti europee, lei scelse, invece, di introdurre elementi totalmente nuovi, dedicandosi personalmente all’arredamento e chiamando a Washington cuochi francesi. Tutto questo a fianco del primo Presidente cattolico, segnando quindi una doppia rivoluzione. Nonostante sia stata una Presidenza breve, di soli due anni, penso abbia lasciato un grande segno, soprattutto dal punto di vista dello stile.

– Se dovessimo fare un paragone con ciò che è avvenuto nel nostro Paese, è possibile, secondo lei, riuscire a tracciare in qualche modo una storia, un’evoluzione, della figura delle First Ladies italiane?

– Tempo fa ho provato a ripercorrere con un collega le varie figure, andando a ricercare i primi Presidenti della Repubblica Italiana, da De Nicola fino a Einaudi e abbiamo rintracciato situazioni particolari: qualcuno era vedovo, qualcuno addirittura si fece accompagnare dalla nipote. Inoltre si usava chiamarle “Donna” come Donna Carla, moglie di Gronchi, o Donna Vittoria, moglie di Leone, che sembra un appellativo davvero poco adatto al ruolo. Queste figure, inoltre, apparivano in occasioni legate alla beneficienza, alla consegna dei pacchi di Natale, con funzioni decisamente secondarie. Forse ci stiamo avvicinando a un modello diverso ma fondamentalmente non ci vengono a mente First Ladies italiane che abbiano preso posizioni particolari, se non la moglie di Ciampi, che si pronunciò contro la televisione. Ma anche la moglie di Pertini, che si rifiutò di spostarsi al Quirinale dall’abitazione a Fontana di Trevi, dando un segno di rigore personale e familiare (mise in forte agitazione i servizi segreti, che dovettero riorganizzare la sorveglianza in uno spazio principalmente turistico).

– L’ultima elezione americana ha designato un quadro completamente nuovo: Jill Biden ha annunciato che non smetterà di insegnare, nonostante il nuovo ruolo di First Lady. Il marito di Kamala Harris (la prima donna eletta vicepresidente) ha invece rassegnato le dimissioni dallo studio legale in cui lavorava per poter affiancare la moglie, diventando in un certo senso il primo First Gentleman. È un cambiamento che riguarderà anche il futuro?

– Il cambio di rotta avverrà soprattutto perché, probabilmente, l’attuale Vicepresidente diventerà la prima donna Presidente degli Stati Uniti, per tanti motivi, oltre all’età avanzata di Biden: Kamala Harris ha i numeri le capacità, a mio avviso, per sostenere quel ruolo.

Il grande interesse per questa nuova First Lady riguarda sì, il fatto che continui a lavorare, anche se secondo me, a loro modo, tutte hanno lavorato. E’ però un caso particolare , siamo di fronte a una signora di settant’anni che non sembra disposta a mollare il posto di lavoro, pur non essendo una semplice insegnante con un guadagno ridotto e non ha bisogno di strappare la pensione. Un altro aspetto che mi ha incuriosito molto è il fatto che si tratti della prima First Lady italo-americana. Non si è pronunciata su altre questioni, non ha fatto annunci relativi agli aspetti di cui intende interessarsi più da vicino: sembrerebbe essere una First Lady da passo indietro, se così si può dire.


leggi l'articolo integrale su exagere
SCHEDA LIBRO   |   Stampa   |   Segnala  |  Ufficio Stampa

TUTTI GLI EVENTI

OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

LEGGI TUTTO