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Chi ha rubato Pecos Bill?
ThrillerNord di lunedì 29 marzo 2021
Un giallo che in realtà è un entertainment, ovvero un divertimento, questo romanzo di Giuseppe Fiori: nome di punta del romanzo poliziesco italiano, anche per l’accoppiata storica con Luigi Calcerano, insieme al quale ci sono stati dati non pochi titoli di successo. Anche il protagonista di questo romanzo...

di Antonella Bagorda

Sinossi. Un giallo che in realtà è un entertainment, ovvero un divertimento, questo romanzo di Giuseppe Fiori: nome di punta del romanzo poliziesco italiano, anche per l’accoppiata storica con Luigi Calcerano, insieme al quale ci sono stati dati non pochi titoli di successo. Anche il protagonista di questo romanzo, il commissario della polizia fluviale sul Tevere, Omar (anagramma di Roma) Martini, è figlio loro. Ma qui esce dalla penna del solo Fiori, che ci offre un personaggio tipicamente romano, titolare di un commissariato scalcagnato e dimenticato sull’isola Tiberina che ci trascina in una avventura che ha per protagonista niente meno che Pecos Bill; non quello della leggenda, ma il cowboy in sella a un cavallo bianco e che per arma usa solo il lazo, ormai oggetto di ricco antiquariato.  Un collezionista ha di questo mitico fumetto tutti i preziosissimi fascicoli che gli vengono rubati. Al commissario Omar Martini, figura anch’essa degna di un Jacovitti, il compito di ritrovare l’intera collezione. Avventure e risate caratterizzano questo singolare giallo.

 

Recensione

Il commissario della polizia fluviale Omar Martini, nome che è l’anagramma della sua Roma, si è preso un anno sabbatico. Si sente un po’ scoglionato, un po’ stanco, è un personaggio con la vita e ilcuore malandati.

Comanda un commissariato scalcagnato di agenti scalcagnati anch’essi, e si trova a indagare sul bizzarro furto di una preziosa collezione di fumetti di Pecos Bill: il famoso eroe giustiziere che usa il suo lazo come unica arma. Siamo in un giallo che in poche pagine concentra tutti i triti e ritriti cliché del poliziesco all’italiana.

E l‘autore questo lo fa con intelligenza, sarcasmo e allo stesso tempo rispetto per un genere che sa evidentemente padroneggiare.

La lettura scorre liscia come l’olio, semplice e chiara come sono anche i personaggi, interessanti senza dover necessariamente essere contorti. Anche la soluzione del caso appare quasi scontata, ma il minuzioso lavoro dell’autore sull’intricata trama è palese.

Ero molto curiosa di leggere un giallo dissacratore di gialli in un momento in cui molti lettori iniziano a stancarsi dei luoghi comuni che accomunano, appunto, molti protagonisti moderni.

Da grande amante dei polizieschi, mi duole dire che effettivamente le cose stanno proprio così come dicono le voci di corridoio. Negli ultimi anni pare di leggere tanti romanzi fatti di copia e incolla, anche se ognuno con la sua personale svolta di trama più o meno originale.

I protagonisti di questo libro hanno sottratto tutti gli stereotipati tratti distintivi ai classici personaggi che ormai si sa che funzionano e se li sono cuciti addosso, portandoseli appresso con orgoglio e disinvoltura.

Si tratta, insomma, di un romanzo veloce, divertente, originale, che si legge in due o tre ore e che ha ben poche pretese, ma che comunque rimane bene impresso nella mente.

Volendo entrare nel discorso tecnico, mi pare ci sia stato un editing un po’ frettoloso. Svariati refusi, punteggiatura a volte casuale e una sovrabbondanza di D eufoniche che non sono veri e propri errori ma che ormai vengono considerate come tali, quindi è inevitabile che saltino subito all’occhio e soprattutto all’orecchio.

Tolti personaggi, caratteri e trama… non resta più niente, direte voi. E invece no, tolti questi tre elementi resta quello che in questo libro è il più importante: l’ambientazione. Una Roma nei giorni del giubileo. Siamo di base sull’isola Tiberina e ci muoviamo sia sul lungofiume, grazie al poliziotto che rema, che nelle strade e nelle zone storiche della capitale, grazie alle indagini che ci portano dalla confusione tipicamente romana del mercato di Porta Portese ai giri a cavallo fatti in notturna in una Roma che sembra vuota ma che non lo è mai.

Emozioni per chi conosce Roma e può percorrere mentalmente le sue vie per mano ad autore e personaggi, e curiosità per chi Roma la conosce poco o niente e scommetto che a fine lettura avrà proprio voglia di farsi un giro al Ghetto ebraico o al Gianicolo.

Per concludere, la cosa certa è che Giuseppe Fiori, in questo breve giallo, ci ha infilato polizia, ladri ed ex ladri, fumetti, furti, ricettatori, cavalli bianchi, travestimenti e storie d’amore sparse qua e là, ma il tutto sarebbe stato niente se di contorno non ci fosse stata la maestosità di Roma e “der Tevere che je serve da cintura”, come cantava Lando Fiorini insieme a tanti altri.

Sono estremamente certa del fatto che approfondirò la conoscenza dell’autore.

 

 

 

Giuseppe Fiori


Lo scrittore è nato a Rieti nel ‘42. Attualmente si divide tra il lavoro al Ministero dell’Istruzione e quello di narratore e saggista. La sua opera più recente è Scuola in frammenti, pubblicato da Anicia nel 2020. Ha scritto libri per bambini e ragazzi:  La leggenda dell’Acanpesce, con Le Monnier nel 2002, da cui è stato tratto nel 2015 un testo teatrale. In seguito con Manni pubblica nel 2003 Celestino e Ribò e nel 2006 Frittelle d’acqua, mentre nel 2006 esce I sogni di re straccione, edito da Laterza. Nel 2010, sempre con Manni, scrive  Phantomas e nel 2012 Il bambino a cui succedono cose impossibili.  La collaborazione con Luigi Calcerano dà vita a romanzi e racconti polizieschi, tra i quali le prime storie del commissariato di polizia fluviale poi raccolte in Uomo di vetro uomo di piombo, del 2002. Pubblica un Oscar Mondadori Guida alla lettura di Agatha Christie, il saggio Teoria e pratica del gialloedito da Edizioni Conoscenza (2009) e due storie apocrife di Sherlock Holmes: S.H. a Roma e Due pistole per un regicidio con Delos. Sempre con Manni pubblica le sue più recenti opere: La conversazione sparita del 2013, la raccolta di racconti Il cocomero a primavera, La memoria spezzatauscita nel 2017 e Il pasticciaccio del commissario Martini pubblicato nel 2019



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ThrillerNord - lunedì 29 marzo 2021
Un giallo che in realtà è un entertainment, ovvero un divertimento, questo romanzo di Giuseppe Fiori: nome di punta del romanzo poliziesco italiano, anche per l’accoppiata storica con Luigi Calcerano, insieme al quale ci sono stati dati non pochi titoli di successo. Anche il protagonista di questo romanzo...

di Antonella Bagorda

Sinossi. Un giallo che in realtà è un entertainment, ovvero un divertimento, questo romanzo di Giuseppe Fiori: nome di punta del romanzo poliziesco italiano, anche per l’accoppiata storica con Luigi Calcerano, insieme al quale ci sono stati dati non pochi titoli di successo. Anche il protagonista di questo romanzo, il commissario della polizia fluviale sul Tevere, Omar (anagramma di Roma) Martini, è figlio loro. Ma qui esce dalla penna del solo Fiori, che ci offre un personaggio tipicamente romano, titolare di un commissariato scalcagnato e dimenticato sull’isola Tiberina che ci trascina in una avventura che ha per protagonista niente meno che Pecos Bill; non quello della leggenda, ma il cowboy in sella a un cavallo bianco e che per arma usa solo il lazo, ormai oggetto di ricco antiquariato.  Un collezionista ha di questo mitico fumetto tutti i preziosissimi fascicoli che gli vengono rubati. Al commissario Omar Martini, figura anch’essa degna di un Jacovitti, il compito di ritrovare l’intera collezione. Avventure e risate caratterizzano questo singolare giallo.

 

Recensione

Il commissario della polizia fluviale Omar Martini, nome che è l’anagramma della sua Roma, si è preso un anno sabbatico. Si sente un po’ scoglionato, un po’ stanco, è un personaggio con la vita e ilcuore malandati.

Comanda un commissariato scalcagnato di agenti scalcagnati anch’essi, e si trova a indagare sul bizzarro furto di una preziosa collezione di fumetti di Pecos Bill: il famoso eroe giustiziere che usa il suo lazo come unica arma. Siamo in un giallo che in poche pagine concentra tutti i triti e ritriti cliché del poliziesco all’italiana.

E l‘autore questo lo fa con intelligenza, sarcasmo e allo stesso tempo rispetto per un genere che sa evidentemente padroneggiare.

La lettura scorre liscia come l’olio, semplice e chiara come sono anche i personaggi, interessanti senza dover necessariamente essere contorti. Anche la soluzione del caso appare quasi scontata, ma il minuzioso lavoro dell’autore sull’intricata trama è palese.

Ero molto curiosa di leggere un giallo dissacratore di gialli in un momento in cui molti lettori iniziano a stancarsi dei luoghi comuni che accomunano, appunto, molti protagonisti moderni.

Da grande amante dei polizieschi, mi duole dire che effettivamente le cose stanno proprio così come dicono le voci di corridoio. Negli ultimi anni pare di leggere tanti romanzi fatti di copia e incolla, anche se ognuno con la sua personale svolta di trama più o meno originale.

I protagonisti di questo libro hanno sottratto tutti gli stereotipati tratti distintivi ai classici personaggi che ormai si sa che funzionano e se li sono cuciti addosso, portandoseli appresso con orgoglio e disinvoltura.

Si tratta, insomma, di un romanzo veloce, divertente, originale, che si legge in due o tre ore e che ha ben poche pretese, ma che comunque rimane bene impresso nella mente.

Volendo entrare nel discorso tecnico, mi pare ci sia stato un editing un po’ frettoloso. Svariati refusi, punteggiatura a volte casuale e una sovrabbondanza di D eufoniche che non sono veri e propri errori ma che ormai vengono considerate come tali, quindi è inevitabile che saltino subito all’occhio e soprattutto all’orecchio.

Tolti personaggi, caratteri e trama… non resta più niente, direte voi. E invece no, tolti questi tre elementi resta quello che in questo libro è il più importante: l’ambientazione. Una Roma nei giorni del giubileo. Siamo di base sull’isola Tiberina e ci muoviamo sia sul lungofiume, grazie al poliziotto che rema, che nelle strade e nelle zone storiche della capitale, grazie alle indagini che ci portano dalla confusione tipicamente romana del mercato di Porta Portese ai giri a cavallo fatti in notturna in una Roma che sembra vuota ma che non lo è mai.

Emozioni per chi conosce Roma e può percorrere mentalmente le sue vie per mano ad autore e personaggi, e curiosità per chi Roma la conosce poco o niente e scommetto che a fine lettura avrà proprio voglia di farsi un giro al Ghetto ebraico o al Gianicolo.

Per concludere, la cosa certa è che Giuseppe Fiori, in questo breve giallo, ci ha infilato polizia, ladri ed ex ladri, fumetti, furti, ricettatori, cavalli bianchi, travestimenti e storie d’amore sparse qua e là, ma il tutto sarebbe stato niente se di contorno non ci fosse stata la maestosità di Roma e “der Tevere che je serve da cintura”, come cantava Lando Fiorini insieme a tanti altri.

Sono estremamente certa del fatto che approfondirò la conoscenza dell’autore.

 

 

 

Giuseppe Fiori


Lo scrittore è nato a Rieti nel ‘42. Attualmente si divide tra il lavoro al Ministero dell’Istruzione e quello di narratore e saggista. La sua opera più recente è Scuola in frammenti, pubblicato da Anicia nel 2020. Ha scritto libri per bambini e ragazzi:  La leggenda dell’Acanpesce, con Le Monnier nel 2002, da cui è stato tratto nel 2015 un testo teatrale. In seguito con Manni pubblica nel 2003 Celestino e Ribò e nel 2006 Frittelle d’acqua, mentre nel 2006 esce I sogni di re straccione, edito da Laterza. Nel 2010, sempre con Manni, scrive  Phantomas e nel 2012 Il bambino a cui succedono cose impossibili.  La collaborazione con Luigi Calcerano dà vita a romanzi e racconti polizieschi, tra i quali le prime storie del commissariato di polizia fluviale poi raccolte in Uomo di vetro uomo di piombo, del 2002. Pubblica un Oscar Mondadori Guida alla lettura di Agatha Christie, il saggio Teoria e pratica del gialloedito da Edizioni Conoscenza (2009) e due storie apocrife di Sherlock Holmes: S.H. a Roma e Due pistole per un regicidio con Delos. Sempre con Manni pubblica le sue più recenti opere: La conversazione sparita del 2013, la raccolta di racconti Il cocomero a primavera, La memoria spezzatauscita nel 2017 e Il pasticciaccio del commissario Martini pubblicato nel 2019



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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