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Carlo Bo, agonista
Mangialibri di mercoledě 31 marzo 2021
Č interessante l’esercizio di lettura proposto dal cattedratico quando per spiegare Eugenio Montale, il piů ermetico dei nostri grandi poeti del ‘900, parte dall’accostamento con l’umbratile Guido Gozzano: cosa possono avere in comune...

di Massimiliano De Conca

È interessante l’esercizio di lettura proposto dal cattedratico quando per spiegare Eugenio Montale, il più ermetico dei nostri grandi poeti del ‘900, parte dall’accostamento con l’umbratile Guido Gozzano: cosa possono avere in comune o comunque di utilmente affine tanto da poterli leggere insieme due scrittori apparentemente così lontani nei toni, nei ritmi e nel lessico? E invece guardando attentamente, attraverso quella lente d’ingrandimento che possiede soltanto il critico letterario pronto a cogliere ogni sorpresa, la lettura del Gozzano de I colloqui è un passaggio determinante per affrontare la lettura della produzione poetica del criptico Eugenio. In fondo, da questo punto di vista, ciò che si ricava di sicuro dalla poesia è la sensazione che ad un mistero si aggiunga sempre un altro mistero: resta un codice indecifrabile sul quale possiamo ricamare mille interpretazioni, ma che alla fine non ci permette di arrivare, per fortuna, e senza nessun “purtroppo”, ad una lettura univoca. Qui sta il senso della poesia e prima ancora dell’ermeneutica che si esercita intorno alla poesia. Lo stesso di può dire quando si vuole affrontare un saggio di Carlo Bo: si sa da dove si inizia, ma i conti non si chiudono mai…

Vincenzo Gueglio, scrittore, filosofo, narratore, scrive un libro coraggioso, perché mette in campo un dialogo immaginario niente di meno che con Carlo Bo, figura dominante del panorama culturale italiano novecentesco, critico letterario, docente universitario e fondatore egli stesso dell’Università di Urbino, con il quale accetta una sfida a tutto tondo: riuscire a scrivere e discutere di tutto lo scibile umano, senza pregiudizi. Prima studente a Genova, dove ebbe come professore di greco un “certo” Camillo Sbarbaro, poi universitario a Firenze, dove si avvicina all’ermetismo de “Il frontespizio”, Carlo Bo collabora con interesse, curiosità e passione alla vita culturale italiana collaborando all’elaborazione ed alla diffusione delle esperienze de “Il politecnico” di Elio Vittorini, molto lontano dal suo sentire profondamente cattolico. Sarà infatti proprio Carlo Bo sulle colonne della rivista di Vittorini a difendere a più riprese le opere di Pier Paolo Pasolini, umiliate da una insana censura. Bo insegnò francese e spagnolo, ma fu soprattutto il critico letterario che più ci fece scoprire poeti e scrittori minori, o le facce più sconosciute e invece importanti di scrittori spesso sottovalutati. È il caso di Guido Gozzano di cui si minimizza l’importanza, così schiacciato fra i roboanti romantici e i criptici ermetici. Il libro è costruito come l’incontro fra due persone disponibili a confrontarsi su tutto e tutti, dalla filosofia, agli amati poeti ermetici. Il saggio è arricchito a sua volta da una prefazione di Francesco De Nicola, docente universitario a Genova, che traduce e chiarisce il senso dell’impresa all’altrettanto coraggioso lettore che decida di imbattersi in un viaggio non agile, ricco di richiami, fitto di rinvii e di allusioni. Il classico viaggio da cominciare con lo zaino vuoto che sicuramente si riempirà cammin facendo.



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Mangialibri - mercoledě 31 marzo 2021
Č interessante l’esercizio di lettura proposto dal cattedratico quando per spiegare Eugenio Montale, il piů ermetico dei nostri grandi poeti del ‘900, parte dall’accostamento con l’umbratile Guido Gozzano: cosa possono avere in comune...

di Massimiliano De Conca

È interessante l’esercizio di lettura proposto dal cattedratico quando per spiegare Eugenio Montale, il più ermetico dei nostri grandi poeti del ‘900, parte dall’accostamento con l’umbratile Guido Gozzano: cosa possono avere in comune o comunque di utilmente affine tanto da poterli leggere insieme due scrittori apparentemente così lontani nei toni, nei ritmi e nel lessico? E invece guardando attentamente, attraverso quella lente d’ingrandimento che possiede soltanto il critico letterario pronto a cogliere ogni sorpresa, la lettura del Gozzano de I colloqui è un passaggio determinante per affrontare la lettura della produzione poetica del criptico Eugenio. In fondo, da questo punto di vista, ciò che si ricava di sicuro dalla poesia è la sensazione che ad un mistero si aggiunga sempre un altro mistero: resta un codice indecifrabile sul quale possiamo ricamare mille interpretazioni, ma che alla fine non ci permette di arrivare, per fortuna, e senza nessun “purtroppo”, ad una lettura univoca. Qui sta il senso della poesia e prima ancora dell’ermeneutica che si esercita intorno alla poesia. Lo stesso di può dire quando si vuole affrontare un saggio di Carlo Bo: si sa da dove si inizia, ma i conti non si chiudono mai…

Vincenzo Gueglio, scrittore, filosofo, narratore, scrive un libro coraggioso, perché mette in campo un dialogo immaginario niente di meno che con Carlo Bo, figura dominante del panorama culturale italiano novecentesco, critico letterario, docente universitario e fondatore egli stesso dell’Università di Urbino, con il quale accetta una sfida a tutto tondo: riuscire a scrivere e discutere di tutto lo scibile umano, senza pregiudizi. Prima studente a Genova, dove ebbe come professore di greco un “certo” Camillo Sbarbaro, poi universitario a Firenze, dove si avvicina all’ermetismo de “Il frontespizio”, Carlo Bo collabora con interesse, curiosità e passione alla vita culturale italiana collaborando all’elaborazione ed alla diffusione delle esperienze de “Il politecnico” di Elio Vittorini, molto lontano dal suo sentire profondamente cattolico. Sarà infatti proprio Carlo Bo sulle colonne della rivista di Vittorini a difendere a più riprese le opere di Pier Paolo Pasolini, umiliate da una insana censura. Bo insegnò francese e spagnolo, ma fu soprattutto il critico letterario che più ci fece scoprire poeti e scrittori minori, o le facce più sconosciute e invece importanti di scrittori spesso sottovalutati. È il caso di Guido Gozzano di cui si minimizza l’importanza, così schiacciato fra i roboanti romantici e i criptici ermetici. Il libro è costruito come l’incontro fra due persone disponibili a confrontarsi su tutto e tutti, dalla filosofia, agli amati poeti ermetici. Il saggio è arricchito a sua volta da una prefazione di Francesco De Nicola, docente universitario a Genova, che traduce e chiarisce il senso dell’impresa all’altrettanto coraggioso lettore che decida di imbattersi in un viaggio non agile, ricco di richiami, fitto di rinvii e di allusioni. Il classico viaggio da cominciare con lo zaino vuoto che sicuramente si riempirà cammin facendo.



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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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