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A Roma, Novembre
ThrillerNord di martedě 6 aprile 2021
A Roma, fine anni ’90, il vice questore “Giggi” Marč si trova ad indagare su un pasticciaccio brutto a via Faustina: il professor Nicola Cusano viene ritrovato morto nel suo studio. Il fatto singolare č il doppio botto, avvertito come uno solo, raccontato dai testimoni.
Cusano infatti risulta deceduto per due colpi di pistola distinti: uno al cuore esploso dall’omicida e uno alla tempia esploso dal professore stesso in un gesto suicida. Per Marč...

di Cristina Bruno

Sinossi. Il commissario Marè, sornione, buongustaio, di apparenza un po’ tonta e di attardati dinamismi, uomo di buone letture appassionato di musica e pittura, si staglia ormai, nel panorama piuttosto qualunquistico dei protagonisti “gialli”, per un’inclinazione democratica che gli permette di vedere (e di soffrire) con occhio non soltanto tecnico le nefandezze e gli orrori coi quali viene in contatto. Marè è un progressista e, per quanto sfiduciato e illividito da troppi amari disinganni, non smette di operare per un mondo meno distorto nella sua anchilosi viziosa. Egli sa per esperienza che il male alligna soprattutto nei luoghi del potere e della ricchezza, ed è lì appunto che lo portano i labirinti che si trova di volta in volta a percorrere, con la sua mole cospicua e le sue malinconie inguaribili. Marè, quindi, ha felicemente affermato, in quel teatro complicato e oscuro che è Roma col suo hinterland, la presenza letteraria di un poliziotto a dimensione civile, figura assolutamente anomala e nuova sugli scenari della nostra narrativa.

 

Recensione

A Roma, fine anni ’90, il vice questore “Giggi” Marè si trova ad indagare su un pasticciaccio brutto a via Faustina: il professor Nicola Cusano viene ritrovato morto nel suo studio. Il fatto singolare è il doppio botto, avvertito come uno solo, raccontato dai testimoni.

Cusano infatti risulta deceduto per due colpi di pistola distinti: uno al cuore esploso dall’omicida e uno alla tempia esploso dal professore stesso in un gesto suicida. Per Marè è un bel problema, tanto più che questa morte lo tocca da vicino. Cusano era un suo buon amico ed era legato sentimentalmente a Marta, la sorella di Marè.

Il commissario conosce quindi tutta la famiglia e le vicende che la riguardano, eventi lieti e tristi, come la morte di Victorhugo, figlio di Cusano, avvenuta anni prima mentre lavorava per associazioni di volontariato in Africa. Il professore era uomo stimato, emerito studioso e consigliere politico di tutto rispetto, al corrente di molte delle beghe e degli intrighi di palazzo. Ecco così che la prima pista ad affacciarsi è proprio quella del terrorismo e della mafia e per Marè non sarà facile districarsi tra i drammi pubblici e privati che hanno devastato la vita del professore scomparso. Solo nel finale tutti i dubbi saranno dissipati e il colpevole consegnato alla giustizia.

Siamo di fronte a un romanzo particolare, un giallo classico a tutti gli effetti con omicidio, indagini e risoluzione di rito. Eppure oltre alla mera trama, che coinvolge il lettore nella ricerca dell’immancabile colpevole, c’è un altro risvolto, un’indagine parallela che si innesta nella politica e nella realtà italiana di vent’anni or sono e che resta tuttavia drammaticamente attuale.

Marè è un poliziotto disincantato, vive a Roma, anzi è immerso nella romanità che esprime attraverso il frequente uso del dialetto. E come abitante della capitale conosce bene il funzionamento dei palazzi e dei ministeri, dei servizi segreti e occulti. Il suo lavoro è cercare la verità, una verità spicciola che spesso sottende a verità ben più grandi che non possono essere rivelate e che non si riescono a riportare alla luce del sole. Inevitabili i paralleli, non solo linguistici, con l’Ingravallo di Gadda, protagonista di un’epoca così diversa eppure così simile a quella di Marè.

L’uso di molteplici dialetti, gli scorci cittadini, le riflessioni dei personaggi sono tutti elementi che contribuiscono a dare consistenza alla trama e a renderla viva.  

Il testo di Quattrucci, ripubblicato a distanza di vent’anni, rimane fresco e attuale e parla di un’Italia che, ieri come oggi, si dibatte tra intrighi, lobby, misteri, governicchi, incapace di uscire dal pantano secolare della clientela e dei favoritismi. Un libro particolare, da leggere con calma riflettendo sui numerosi spunti offerti al lettore per osservare il nostro bel paese da un’angolazione particolare.

 A cura di Cristina Bruno

http://fabulaeintreccio.blogspot.com/

 

 

Mario Quattrucci


(1936), impegnato dal 1953 nella vita politica e sociale, ha insegnato all’Istituto di Studi Comunisti, è stato membro del Comitato Centrale del PCI e lo ha rappresentato in Circoscrizioni, Comuni, Provincia e Regione. S’è occupato di arti visive, teatro, letteratura. Ha collaborato con giornali e riviste della sinistra. Poesia: La traccia; Oblò appannato; Perché un occhio l’osserva; Materia del contendere; Variazioni; Gra; Da una lingua marginale; Ogni giorno è quel giorno.



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ThrillerNord - martedě 6 aprile 2021
A Roma, fine anni ’90, il vice questore “Giggi” Marč si trova ad indagare su un pasticciaccio brutto a via Faustina: il professor Nicola Cusano viene ritrovato morto nel suo studio. Il fatto singolare č il doppio botto, avvertito come uno solo, raccontato dai testimoni.
Cusano infatti risulta deceduto per due colpi di pistola distinti: uno al cuore esploso dall’omicida e uno alla tempia esploso dal professore stesso in un gesto suicida. Per Marč...

di Cristina Bruno

Sinossi. Il commissario Marè, sornione, buongustaio, di apparenza un po’ tonta e di attardati dinamismi, uomo di buone letture appassionato di musica e pittura, si staglia ormai, nel panorama piuttosto qualunquistico dei protagonisti “gialli”, per un’inclinazione democratica che gli permette di vedere (e di soffrire) con occhio non soltanto tecnico le nefandezze e gli orrori coi quali viene in contatto. Marè è un progressista e, per quanto sfiduciato e illividito da troppi amari disinganni, non smette di operare per un mondo meno distorto nella sua anchilosi viziosa. Egli sa per esperienza che il male alligna soprattutto nei luoghi del potere e della ricchezza, ed è lì appunto che lo portano i labirinti che si trova di volta in volta a percorrere, con la sua mole cospicua e le sue malinconie inguaribili. Marè, quindi, ha felicemente affermato, in quel teatro complicato e oscuro che è Roma col suo hinterland, la presenza letteraria di un poliziotto a dimensione civile, figura assolutamente anomala e nuova sugli scenari della nostra narrativa.

 

Recensione

A Roma, fine anni ’90, il vice questore “Giggi” Marè si trova ad indagare su un pasticciaccio brutto a via Faustina: il professor Nicola Cusano viene ritrovato morto nel suo studio. Il fatto singolare è il doppio botto, avvertito come uno solo, raccontato dai testimoni.

Cusano infatti risulta deceduto per due colpi di pistola distinti: uno al cuore esploso dall’omicida e uno alla tempia esploso dal professore stesso in un gesto suicida. Per Marè è un bel problema, tanto più che questa morte lo tocca da vicino. Cusano era un suo buon amico ed era legato sentimentalmente a Marta, la sorella di Marè.

Il commissario conosce quindi tutta la famiglia e le vicende che la riguardano, eventi lieti e tristi, come la morte di Victorhugo, figlio di Cusano, avvenuta anni prima mentre lavorava per associazioni di volontariato in Africa. Il professore era uomo stimato, emerito studioso e consigliere politico di tutto rispetto, al corrente di molte delle beghe e degli intrighi di palazzo. Ecco così che la prima pista ad affacciarsi è proprio quella del terrorismo e della mafia e per Marè non sarà facile districarsi tra i drammi pubblici e privati che hanno devastato la vita del professore scomparso. Solo nel finale tutti i dubbi saranno dissipati e il colpevole consegnato alla giustizia.

Siamo di fronte a un romanzo particolare, un giallo classico a tutti gli effetti con omicidio, indagini e risoluzione di rito. Eppure oltre alla mera trama, che coinvolge il lettore nella ricerca dell’immancabile colpevole, c’è un altro risvolto, un’indagine parallela che si innesta nella politica e nella realtà italiana di vent’anni or sono e che resta tuttavia drammaticamente attuale.

Marè è un poliziotto disincantato, vive a Roma, anzi è immerso nella romanità che esprime attraverso il frequente uso del dialetto. E come abitante della capitale conosce bene il funzionamento dei palazzi e dei ministeri, dei servizi segreti e occulti. Il suo lavoro è cercare la verità, una verità spicciola che spesso sottende a verità ben più grandi che non possono essere rivelate e che non si riescono a riportare alla luce del sole. Inevitabili i paralleli, non solo linguistici, con l’Ingravallo di Gadda, protagonista di un’epoca così diversa eppure così simile a quella di Marè.

L’uso di molteplici dialetti, gli scorci cittadini, le riflessioni dei personaggi sono tutti elementi che contribuiscono a dare consistenza alla trama e a renderla viva.  

Il testo di Quattrucci, ripubblicato a distanza di vent’anni, rimane fresco e attuale e parla di un’Italia che, ieri come oggi, si dibatte tra intrighi, lobby, misteri, governicchi, incapace di uscire dal pantano secolare della clientela e dei favoritismi. Un libro particolare, da leggere con calma riflettendo sui numerosi spunti offerti al lettore per osservare il nostro bel paese da un’angolazione particolare.

 A cura di Cristina Bruno

http://fabulaeintreccio.blogspot.com/

 

 

Mario Quattrucci


(1936), impegnato dal 1953 nella vita politica e sociale, ha insegnato all’Istituto di Studi Comunisti, è stato membro del Comitato Centrale del PCI e lo ha rappresentato in Circoscrizioni, Comuni, Provincia e Regione. S’è occupato di arti visive, teatro, letteratura. Ha collaborato con giornali e riviste della sinistra. Poesia: La traccia; Oblò appannato; Perché un occhio l’osserva; Materia del contendere; Variazioni; Gra; Da una lingua marginale; Ogni giorno è quel giorno.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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