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Ilaria Guidantoni, la giornalista in viaggio
Giornale Metropolitano di mercoledì 7 aprile 2021
Un viaggio che ha per meta il ritorno, che ha per meta l’andare. Il viaggio di chi cerca e teme di incontrare ciò che più desidera, o teme di non incontrarlo mai, pendolando fra questi due estremi, come un cerchio che non ha inizio.

I suoi libri:
- Corrispondenze mediterranee
- Viaggio di ritorno
- Ritratto incompiuto del padre
- Per una terra possibile

di Federica Mormando

Un viaggio che ha per meta il ritorno, che ha per meta l’andare. Il viaggio di chi cerca e teme di incontrare ciò che più desidera, o teme di non incontrarlo mai, pendolando fra questi due estremi, come un cerchio che non ha inizio.

Così ho visto il viaggiare di Ilaria Guidantoni, persona eclettica: giornalista, scrittrice, direttrice del quotidiano culturale Saltinaria.it, collabora con BeBeez.it (Milano Finanza) per le pagine di arte, musica e teatro. E poi sommelier, organizzatrice di eventi e incontri personali e istituzionali, Ilaria attraversa culture come spazi, partendo “dalla città dalla quale mi sono sentita strappata troppo presto e che mi ha segnata nella malinconia come un sentimento dell’inquietudine e quindi dell’erranza del vivere.” Così scrive in Viaggio di ritorno, Firenze si racconta, originale biografia della città mescolata a ricordi di sé.

È viaggiatrice e fedele: vive tra Firenze e la Toscana, Milano e Tunisi: “Una mediterranea del nord che guarda al sud come l’altrove e nella vita racconta storia e storie”. In questo continuo dialogo, non è strano che abbia tradotto, per la prima volta in italiano, di Jean Sénac, il Pasolini di Algeria, Ritratto incompiuto del padre e la raccolta di poesie, lettere e scritti Pour une terre possible.

Ilaria Guidantoni

Per lei la chiusura di questi mesi è stata strana, ed ecco che pubblica I giorni della peste 2.0 – Riflessioni emozionali dal confinamento.

E ancora viaggio, “Nel sale e nel vento”, che porta chi legge in dimensioni del tempo che pochi conoscono. Il Marocco dei gnaowa, dei regraga. Fra le opere di Boujemäa Lakhdar…nomi perlopiù ignoti, di cui racconta storia e realtà odierna in questo libro intrigante che è difficile abbandonare, una volta iniziato.

L’autrice ha il coraggio e la perseveranza di vedere “senza limiti”, di scoprire il passato nell’adesso immergendoci nelle sue personali emozioni.

La Guidantoni riesce a essere sognante e concreta, lieve e profonda nell’indagine storica e interiore. E improvvisamente ci tuffa stupiti sul selciato quando scrive di sicurezza stradale in Vite sicure, Viaggio tra strade e parole.

Prima che sia buio: la verità in poesia. La storia di Aisha, la bambina che non ha avuto bambole e che le cuce per altri, una storia vera, diversa dalle nostre eppure legata da un filo a quella delle donne di paesi diversi: delle donne.

Incontrare Ilaria è incontrare un mistero trasparente, perché lei vuole essere trasparente. Non ci riesce, perché forse è un mistero anche a sé stessa. Forse quello che cerca non c’è, forse è un desiderio nato nell’infanzia, in quell’essere stata strappata troppo presto, prima di avere introiettato presenze e luoghi nella sicurezza di chi ha una patria, fisica ed affettiva. Forse sta cercando un amore perduto nel passato lontano, che come tale non può essere  recuperato. Forse, se si fermasse, troverebbe la fiducia che permette di restar fermi, là dove quando non lo cerchi arriva l’incontro, con sé, con l’altro.

A lei che scrive: “Ho divorato per restare sempreaffamata” auguro di fermarsi. Almeno quanto basta!



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I suoi libri:
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di Federica Mormando

Un viaggio che ha per meta il ritorno, che ha per meta l’andare. Il viaggio di chi cerca e teme di incontrare ciò che più desidera, o teme di non incontrarlo mai, pendolando fra questi due estremi, come un cerchio che non ha inizio.

Così ho visto il viaggiare di Ilaria Guidantoni, persona eclettica: giornalista, scrittrice, direttrice del quotidiano culturale Saltinaria.it, collabora con BeBeez.it (Milano Finanza) per le pagine di arte, musica e teatro. E poi sommelier, organizzatrice di eventi e incontri personali e istituzionali, Ilaria attraversa culture come spazi, partendo “dalla città dalla quale mi sono sentita strappata troppo presto e che mi ha segnata nella malinconia come un sentimento dell’inquietudine e quindi dell’erranza del vivere.” Così scrive in Viaggio di ritorno, Firenze si racconta, originale biografia della città mescolata a ricordi di sé.

È viaggiatrice e fedele: vive tra Firenze e la Toscana, Milano e Tunisi: “Una mediterranea del nord che guarda al sud come l’altrove e nella vita racconta storia e storie”. In questo continuo dialogo, non è strano che abbia tradotto, per la prima volta in italiano, di Jean Sénac, il Pasolini di Algeria, Ritratto incompiuto del padre e la raccolta di poesie, lettere e scritti Pour une terre possible.

Ilaria Guidantoni

Per lei la chiusura di questi mesi è stata strana, ed ecco che pubblica I giorni della peste 2.0 – Riflessioni emozionali dal confinamento.

E ancora viaggio, “Nel sale e nel vento”, che porta chi legge in dimensioni del tempo che pochi conoscono. Il Marocco dei gnaowa, dei regraga. Fra le opere di Boujemäa Lakhdar…nomi perlopiù ignoti, di cui racconta storia e realtà odierna in questo libro intrigante che è difficile abbandonare, una volta iniziato.

L’autrice ha il coraggio e la perseveranza di vedere “senza limiti”, di scoprire il passato nell’adesso immergendoci nelle sue personali emozioni.

La Guidantoni riesce a essere sognante e concreta, lieve e profonda nell’indagine storica e interiore. E improvvisamente ci tuffa stupiti sul selciato quando scrive di sicurezza stradale in Vite sicure, Viaggio tra strade e parole.

Prima che sia buio: la verità in poesia. La storia di Aisha, la bambina che non ha avuto bambole e che le cuce per altri, una storia vera, diversa dalle nostre eppure legata da un filo a quella delle donne di paesi diversi: delle donne.

Incontrare Ilaria è incontrare un mistero trasparente, perché lei vuole essere trasparente. Non ci riesce, perché forse è un mistero anche a sé stessa. Forse quello che cerca non c’è, forse è un desiderio nato nell’infanzia, in quell’essere stata strappata troppo presto, prima di avere introiettato presenze e luoghi nella sicurezza di chi ha una patria, fisica ed affettiva. Forse sta cercando un amore perduto nel passato lontano, che come tale non può essere  recuperato. Forse, se si fermasse, troverebbe la fiducia che permette di restar fermi, là dove quando non lo cerchi arriva l’incontro, con sé, con l’altro.

A lei che scrive: “Ho divorato per restare sempreaffamata” auguro di fermarsi. Almeno quanto basta!



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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