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Le fiamme dei Balcani, Di Donato tra amore e guerra
Il Gazzettino di Treviso di marted 13 aprile 2021
Le tragedie slave nel primo romanzo del giornalista scrittore

IL LIBRO
Una linea "letteraria" parte da Brescia e arriva nel cuore della ex Jugoslavia, passando per Tre,~so. Il giornalista professionista Valerio Di Donato, che nel capoluogo della Marca ha vissuto e studiato (è un ex del liceo Canova), riporta alla ribalta le tragiche vicende che hanno lacerato i paesi slavi, dagli eventi bellici degli anni Quaranta fino all'esplosione di nuo,~ conflitti balcanici negli anni Novanta, con la disgregazione della federazione dopo la scomparsa di Tito. "Le fiamme dei Balcani. Guerra e amore dentro l'anima di un n1ondo "ex'"' (Oltre Edizioni) è il titolo del ron1anzo appena dato alle stampe, che si snoda come un giallo a sfondo storico, con la prefazione di Guido Run1ici.

LA STORIA
Il protagonista, Antonio Fabris, vuole comprendere i motivi per i quali, nel 1943, era stato a sua insaputa condannato a n1orte dai partigiani con1unistijugoslavi. Condanna a cui è sfuggito e su cui si fonda il mistero da dipanare, al centro del lungo viaggio intrapreso per rispondere ai molti interrogativi legati al passato. «Sono sempre stato affascinato dal n1ondo s lavo e dalle vicende relative al dramma degli esuli gi uliano-dalmati, ora diventato un campo minato ma ignorato per molto tempo, mentre delle guerre interne scatenate da Milosevic, sovranista ante litteran1, si sapeva tutto - racconta Valerio Di Donato - Nel romanzo ho fuso le storie degli esuli, poco note, e quanto è accaduto in Jugoslavia tra gli anni Ottanta e Novanta ». Il giornalista ha avuto modo di recarsi a Sarajevo, Srebrenica e Belgrado seguendo missioni un1anitarie, perciò i suoi ricordi di viaggio s i intrecciano con la narrazione di "fantasia". Da n1olto tempo covava la voglia di scrivere il romanzo, che n1ano a mano si è sviluppato lìno a prendere vita nella tran1a di odi e amori. La storia d'amore è quella dei giovani Mirna e Ivan su cui incon1be, inesorabile, la guerra tra Serbi e Croati del 1991. «E' il mio primo romanzo, scritto al tern1ine della mia esperienza lavorativa, nel 2015, al Giornale di Brescia. Sostanzialmente ho n1antenuto una promessa che avevo fatto a me stesso. L'idea mi mulinava in testa da anni, anche per n1otivi di lavoro. Nella redazione ero stato assegnato al settore esteri ed internet, poi ho seguito il Premio Hemingway e conosciuto Paolo Run1iz, che ha raccontato a fondo le vicende della ex Jugoslavia e n1i ha ispirato con i suoi scritti».

LE ORIGINI
Valerio Di Donato ha sempre un forte legan1e con Treviso. «Ci ho vissuto fino a 32 anni d'età. Vi ho fatto il liceo class ico e n1i sono laureato in Scienze politiche a Padova. Mi sono trasferito a Brescia nel 1987, seguendo mia moglie appena s posati e qui ho n1essosu fan1iglia - dice il giornalista scrittore - Però torno spesso a Treviso, dove ho una sorella e un'anziana zia, oltre agli amici storici e alla mia rock band. A causa dell'en1ergenza panden1ia, è da ottobre che non r iesco a tornare in questa città. Ma spero di poterci veni re a presentare il mio libro, e in tut· to il Nord Est, appena si potrà». (cr.sp.)


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Il Gazzettino di Treviso - marted 13 aprile 2021
Le tragedie slave nel primo romanzo del giornalista scrittore

IL LIBRO
Una linea "letteraria" parte da Brescia e arriva nel cuore della ex Jugoslavia, passando per Tre,~so. Il giornalista professionista Valerio Di Donato, che nel capoluogo della Marca ha vissuto e studiato (è un ex del liceo Canova), riporta alla ribalta le tragiche vicende che hanno lacerato i paesi slavi, dagli eventi bellici degli anni Quaranta fino all'esplosione di nuo,~ conflitti balcanici negli anni Novanta, con la disgregazione della federazione dopo la scomparsa di Tito. "Le fiamme dei Balcani. Guerra e amore dentro l'anima di un n1ondo "ex'"' (Oltre Edizioni) è il titolo del ron1anzo appena dato alle stampe, che si snoda come un giallo a sfondo storico, con la prefazione di Guido Run1ici.

LA STORIA
Il protagonista, Antonio Fabris, vuole comprendere i motivi per i quali, nel 1943, era stato a sua insaputa condannato a n1orte dai partigiani con1unistijugoslavi. Condanna a cui è sfuggito e su cui si fonda il mistero da dipanare, al centro del lungo viaggio intrapreso per rispondere ai molti interrogativi legati al passato. «Sono sempre stato affascinato dal n1ondo s lavo e dalle vicende relative al dramma degli esuli gi uliano-dalmati, ora diventato un campo minato ma ignorato per molto tempo, mentre delle guerre interne scatenate da Milosevic, sovranista ante litteran1, si sapeva tutto - racconta Valerio Di Donato - Nel romanzo ho fuso le storie degli esuli, poco note, e quanto è accaduto in Jugoslavia tra gli anni Ottanta e Novanta ». Il giornalista ha avuto modo di recarsi a Sarajevo, Srebrenica e Belgrado seguendo missioni un1anitarie, perciò i suoi ricordi di viaggio s i intrecciano con la narrazione di "fantasia". Da n1olto tempo covava la voglia di scrivere il romanzo, che n1ano a mano si è sviluppato lìno a prendere vita nella tran1a di odi e amori. La storia d'amore è quella dei giovani Mirna e Ivan su cui incon1be, inesorabile, la guerra tra Serbi e Croati del 1991. «E' il mio primo romanzo, scritto al tern1ine della mia esperienza lavorativa, nel 2015, al Giornale di Brescia. Sostanzialmente ho n1antenuto una promessa che avevo fatto a me stesso. L'idea mi mulinava in testa da anni, anche per n1otivi di lavoro. Nella redazione ero stato assegnato al settore esteri ed internet, poi ho seguito il Premio Hemingway e conosciuto Paolo Run1iz, che ha raccontato a fondo le vicende della ex Jugoslavia e n1i ha ispirato con i suoi scritti».

LE ORIGINI
Valerio Di Donato ha sempre un forte legan1e con Treviso. «Ci ho vissuto fino a 32 anni d'età. Vi ho fatto il liceo class ico e n1i sono laureato in Scienze politiche a Padova. Mi sono trasferito a Brescia nel 1987, seguendo mia moglie appena s posati e qui ho n1essosu fan1iglia - dice il giornalista scrittore - Però torno spesso a Treviso, dove ho una sorella e un'anziana zia, oltre agli amici storici e alla mia rock band. A causa dell'en1ergenza panden1ia, è da ottobre che non r iesco a tornare in questa città. Ma spero di poterci veni re a presentare il mio libro, e in tut· to il Nord Est, appena si potrà». (cr.sp.)


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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