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“Chi ha rubato Pecos Bill?” – Giuseppe Fiori
Gli amanti dei libri di lunedģ 26 aprile 2021
“L’indagine pił stupida e inutile della sua carriera” per il dirigente del pił piccolo Commissariato di Roma, nel nuovo titolo delle sue inchieste: “Chi ha rubato Pecos Bill?”, pubblicato nell’estate 2020 da Oltre Edizioni di Sestri Levante (146 pagine, 14 euro), altro poliziesco senza cadaveri di Giuseppe Fiori...

di Fabio Massimo

Una settimana di indagini

Un cavallo bianco montato da un ragazzo risale in piena notte le pendici del Gianicolo, fino all’Orto Botanico. Sembra che la statua di Garibaldi si sia lanciata dal piedistallo per correre sul colle alla sommità della capitale, da quello che raccontano ad Omar Martini, commissario della polizia fluviale.

“Soft-crime novel in cui l’azione investigativa è diretta non tanto a scoprire il colpevole quanto a fare in modo che nessuno si faccia male”

A detta dello scrittore innamorato di Roma è un genere giallo tenue, quello delle indagini delle commissario Martini. Sono state avviate dal poker di storie poliziesche riunite nel volume “Uomo di vetro, uomo di piombo” (2002, a quattro mani con l’amico Luigi Calcerano), tra i primi e non pochi firmati dall’alto dirigente in quiescenza della Pubblica Istruzione, oltre a romanzi per bambini e saggi su tematiche amministrative.

Colonna per decenni delle Sovrintendenze scolastiche e del Ministero, uomo elegante, dai modi sempre cortesi e aperti al sorriso, è un narratore valido e originale. Il carattere equilibrato si riflette sul modo di scrivere, sereno e scorrevole, sorretto da dialoghi brillanti, brioso e che rivela una grande conoscenza degli angoli più riservati di Roma e una cura nei particolari dei caratteri di tutti i personaggi, dal protagonista ai comprimari, spesso autentiche “macchiette”. Anche quelli delle comparse non sono abbozzati, ma costruiti nei dettagli, sia pure rapidamente, come il Confidente con l’enorme stomaco semovente come un budino o la barbona che dorme sotto i cartoni a porta San Pancrazio e dice che il cavaliere sembrava un cowboy che voleva portarla via in groppa ad un cavallo bianco.

Pecos Bill eroe disarmato

Un cowboy ? Pecos Bill, l’eroe del Texas con le frange lunghe sui fianchi dei pantaloni di cuoio, mai un’arma in mano – la sua è una giustizia disarmata ma efficace – e che regola tutto lanciando in groppa a Turbine, un cavallo capace di tutto, una vera forza della natura.

Il furto della raccolta completa di fumetti di Pecos Bill, unico bene sottratto ad uno sceneggiatore di comics : è la denuncia raccolta dall’ “esile Commissariato” allocato tra i Ponti Fabricio e Sulpicio, con giurisdizione limitata ai reati minori nelle Ghetto a Trastevere e nel tratto fluviale del Tevere. Martini è stato ristretto in quelle competenze anguste e nel suo ufficio disadorno per aver cocciutamente esteso un’inchiesta penale a un intoccabile. Viaggia sui cinquant’anni, ovvero come dice lui una trentina di primavere più una ventina di autunni. Fisico asciutto ma rilassato, composito come il carattere: rinunciatario e sornione, chiuso e franco allo stesso tempo. Non parla con una donna da tre mesi , Anita ha voluto chiudere con lui. Era una conoscenza dell’università, incuriosita da quel misogino con gli occhi azzurri di una tonalità diversa l’uno dall’altro, che dopo la laurea voleva fare il commissario di polizia.

Dopo il cavallo, anche la pistola

Come Pecos Bill, è un uomo della legge senza pistola. Per averla ce l’ha, una bella Smith & Wesson Chiefs Special calibro 38, anzi ce l’aveva, perché è sparita, contemporaneamente all’equino bianco prelevato con un abile inganno dalla caserma della Polizia a cavallo.

Un revolver sottratto ad un commissario e un cavallo ad una poliziotta: la PS ha più di un motivo per farne una questione di prestigio. Di certo non sono un’arma e un animale che potranno finire sulle bancarelle di Porta Portese, dove la domenica riaffiora tutto quello che viene rubato nel triangolo delle Bermuda della microcriminalità romana, da Trastevere al ponte Sulpicio a Castel Sant’Angelo.

Del romanzo di Fiori ricordiamo un’edizione alla fine del 2008, pubblicata da un editore pugliese, questa è per i tipi di una casa editrice ligure, ma la vera protagonista risiede nel Centro ed è certamente Roma.

Roma protagonista

Leggere il “giallino” bello di Giuseppe Fiori è come fare una passeggiata per le strade di una capitale più a colori che mai. Piazze grandi stradine strette. Il centro storico della Città Eterna – tempo di Covid escluso – è sempre sul punto di collassare sotto l’afflusso di folle di turisti, di gente che lavora e di perditempo. Ma muoversi nella sua confusione è meraviglioso.

Porta Portese è come Roma, come il fiume che la attraversa, soprattutto. Il mercato domenicale è un affluente del Tevere: per un po’ scorre tranquillo tra le sponde di magazzini, poi si gonfia con l’aumentare della gente. In maniera inaspettata compare una rapida, un vortice, in quel punto tutti si animano e corrono, girano in tondo, poi si placano. Il fiume di folla torna a scorrere calmo come prima.

Hanno commesso qualche furto in zona? Occorre adottare il metodo Ladri di biciclette, girare tra le bancarelle perchè la refurtiva sarà lì, in bella mostra. È così per la raccolta di Pecos Bill. Spaider, però, il giovane ladro più veloce della capitale riesce a rubarla perfino al ricettatore, anche se perde un fascicolo fuggendo ad un sottufficiale di polizia in borghese, allo sceneggiatore derubato e a due impacciati agenti a cavallo.

E si ricordi che i motivi per commettere un furto sono tantissimi, non escluso l’amore.

Fabio Massimo

Recensore

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“L’indagine pił stupida e inutile della sua carriera” per il dirigente del pił piccolo Commissariato di Roma, nel nuovo titolo delle sue inchieste: “Chi ha rubato Pecos Bill?”, pubblicato nell’estate 2020 da Oltre Edizioni di Sestri Levante (146 pagine, 14 euro), altro poliziesco senza cadaveri di Giuseppe Fiori...

di Fabio Massimo

Una settimana di indagini

Un cavallo bianco montato da un ragazzo risale in piena notte le pendici del Gianicolo, fino all’Orto Botanico. Sembra che la statua di Garibaldi si sia lanciata dal piedistallo per correre sul colle alla sommità della capitale, da quello che raccontano ad Omar Martini, commissario della polizia fluviale.

“Soft-crime novel in cui l’azione investigativa è diretta non tanto a scoprire il colpevole quanto a fare in modo che nessuno si faccia male”

A detta dello scrittore innamorato di Roma è un genere giallo tenue, quello delle indagini delle commissario Martini. Sono state avviate dal poker di storie poliziesche riunite nel volume “Uomo di vetro, uomo di piombo” (2002, a quattro mani con l’amico Luigi Calcerano), tra i primi e non pochi firmati dall’alto dirigente in quiescenza della Pubblica Istruzione, oltre a romanzi per bambini e saggi su tematiche amministrative.

Colonna per decenni delle Sovrintendenze scolastiche e del Ministero, uomo elegante, dai modi sempre cortesi e aperti al sorriso, è un narratore valido e originale. Il carattere equilibrato si riflette sul modo di scrivere, sereno e scorrevole, sorretto da dialoghi brillanti, brioso e che rivela una grande conoscenza degli angoli più riservati di Roma e una cura nei particolari dei caratteri di tutti i personaggi, dal protagonista ai comprimari, spesso autentiche “macchiette”. Anche quelli delle comparse non sono abbozzati, ma costruiti nei dettagli, sia pure rapidamente, come il Confidente con l’enorme stomaco semovente come un budino o la barbona che dorme sotto i cartoni a porta San Pancrazio e dice che il cavaliere sembrava un cowboy che voleva portarla via in groppa ad un cavallo bianco.

Pecos Bill eroe disarmato

Un cowboy ? Pecos Bill, l’eroe del Texas con le frange lunghe sui fianchi dei pantaloni di cuoio, mai un’arma in mano – la sua è una giustizia disarmata ma efficace – e che regola tutto lanciando in groppa a Turbine, un cavallo capace di tutto, una vera forza della natura.

Il furto della raccolta completa di fumetti di Pecos Bill, unico bene sottratto ad uno sceneggiatore di comics : è la denuncia raccolta dall’ “esile Commissariato” allocato tra i Ponti Fabricio e Sulpicio, con giurisdizione limitata ai reati minori nelle Ghetto a Trastevere e nel tratto fluviale del Tevere. Martini è stato ristretto in quelle competenze anguste e nel suo ufficio disadorno per aver cocciutamente esteso un’inchiesta penale a un intoccabile. Viaggia sui cinquant’anni, ovvero come dice lui una trentina di primavere più una ventina di autunni. Fisico asciutto ma rilassato, composito come il carattere: rinunciatario e sornione, chiuso e franco allo stesso tempo. Non parla con una donna da tre mesi , Anita ha voluto chiudere con lui. Era una conoscenza dell’università, incuriosita da quel misogino con gli occhi azzurri di una tonalità diversa l’uno dall’altro, che dopo la laurea voleva fare il commissario di polizia.

Dopo il cavallo, anche la pistola

Come Pecos Bill, è un uomo della legge senza pistola. Per averla ce l’ha, una bella Smith & Wesson Chiefs Special calibro 38, anzi ce l’aveva, perché è sparita, contemporaneamente all’equino bianco prelevato con un abile inganno dalla caserma della Polizia a cavallo.

Un revolver sottratto ad un commissario e un cavallo ad una poliziotta: la PS ha più di un motivo per farne una questione di prestigio. Di certo non sono un’arma e un animale che potranno finire sulle bancarelle di Porta Portese, dove la domenica riaffiora tutto quello che viene rubato nel triangolo delle Bermuda della microcriminalità romana, da Trastevere al ponte Sulpicio a Castel Sant’Angelo.

Del romanzo di Fiori ricordiamo un’edizione alla fine del 2008, pubblicata da un editore pugliese, questa è per i tipi di una casa editrice ligure, ma la vera protagonista risiede nel Centro ed è certamente Roma.

Roma protagonista

Leggere il “giallino” bello di Giuseppe Fiori è come fare una passeggiata per le strade di una capitale più a colori che mai. Piazze grandi stradine strette. Il centro storico della Città Eterna – tempo di Covid escluso – è sempre sul punto di collassare sotto l’afflusso di folle di turisti, di gente che lavora e di perditempo. Ma muoversi nella sua confusione è meraviglioso.

Porta Portese è come Roma, come il fiume che la attraversa, soprattutto. Il mercato domenicale è un affluente del Tevere: per un po’ scorre tranquillo tra le sponde di magazzini, poi si gonfia con l’aumentare della gente. In maniera inaspettata compare una rapida, un vortice, in quel punto tutti si animano e corrono, girano in tondo, poi si placano. Il fiume di folla torna a scorrere calmo come prima.

Hanno commesso qualche furto in zona? Occorre adottare il metodo Ladri di biciclette, girare tra le bancarelle perchè la refurtiva sarà lì, in bella mostra. È così per la raccolta di Pecos Bill. Spaider, però, il giovane ladro più veloce della capitale riesce a rubarla perfino al ricettatore, anche se perde un fascicolo fuggendo ad un sottufficiale di polizia in borghese, allo sceneggiatore derubato e a due impacciati agenti a cavallo.

E si ricordi che i motivi per commettere un furto sono tantissimi, non escluso l’amore.

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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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