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La fotografia dialoga su paesaggi e pensieri
La Nazione di sabato 10 luglio 2021
Sessantacinque scatti intrecciati alla voce di chi li commenta nel volume curato da Besana

di Chiara Tenca
Il fotografo Roberto Besana 

A volte, le opere che si mandano in stampa sono qualcosa in più di un semplice libro. Come in questo caso: perché le 164 pagine che compongono ‘Il paesaggio. Dialogo tra fotografia e parola’, sono un atto d’amore, un ricordo, un filo spezzato che si riannoda. Il sottotitolo è ‘Un tributo a Pietro Greco’ e spiega l’intento con cui il volume, curato dallo spezzino d’adozione Roberto Besana e pubblicato da Töpffer (Oltre edizioni) è stato ideato e realizzato. Primo particolare: si tratta di un lavoro corale, fatto da 65 fotografie abbinate ad altrettanti contributi firmati da amici, colleghi, studiosi, scienziati, divulgatori. Un’opera fatta di scatti che vanno a braccetto con le voci ed i pensieri di coloro a cui "è stata data in prestito la penna di Pietro, scomparso a dicembre dello scorso anno", spiega Besana. Che con il giornalista scientifico, da lui definito "amico vero" avrebbe dovuto firmare la seconda pubblicazione consecutiva in tandem, seguito ideale di ‘L’albero – Dialogo tra fotografo e scrittore’.

L’idea di realizzare un’opera sul paesaggio, da spiegare nelle sue accezioni più diverse, era pronta, così come gli scatti realizzati da Besana, otto dei quali nello Spezzino. Cento, poi ridotti a 65 come gli anni di Greco, scelti da altrettante persone, compresi liguri o autori che vivono nella nostra regione: Marco Buticchi, Silvano Fuso, Beppe Mecconi, Nello Rossi, Leonardo Tunesi, a cui si sono unite tante altre voci, come quelle di Francesco Aiello, Piero Angela, Silvia Bencivelli, Lorenzo Cicalese, Piergiorgio Oddifreddi, solo per fare qualche nome. "Ognuno ha elaborato un pensiero diverso, dando la sua interpretazione di un paesaggio diverso, partendo dallo scatto indicato. Il risultato è un volume eclettico, in cui storie personali si riallacciano a quanto visto, oppure si riflette sulle sensazioni che ciò che ci circonda restituisce, o ancora si pensa all’impronta dell’uomo sulla Terra, ricordando che ormai il 70% di essa non può esser considerato naturale. Entusiasta la partecipazione, così come a molti è dispiaciuto non esser inseriti" commenta Besana. In questa successione di immagini, prive di didascalia, luogo e data, per osservarle in un’accezione universale trasformandole in tanti paradigmi, si realizza la magia di potersi affacciare sul mondo. Guardando ad una persona che, in qualche modo, continuerà ad esserci.



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Sessantacinque scatti intrecciati alla voce di chi li commenta nel volume curato da Besana

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Il fotografo Roberto Besana 

A volte, le opere che si mandano in stampa sono qualcosa in più di un semplice libro. Come in questo caso: perché le 164 pagine che compongono ‘Il paesaggio. Dialogo tra fotografia e parola’, sono un atto d’amore, un ricordo, un filo spezzato che si riannoda. Il sottotitolo è ‘Un tributo a Pietro Greco’ e spiega l’intento con cui il volume, curato dallo spezzino d’adozione Roberto Besana e pubblicato da Töpffer (Oltre edizioni) è stato ideato e realizzato. Primo particolare: si tratta di un lavoro corale, fatto da 65 fotografie abbinate ad altrettanti contributi firmati da amici, colleghi, studiosi, scienziati, divulgatori. Un’opera fatta di scatti che vanno a braccetto con le voci ed i pensieri di coloro a cui "è stata data in prestito la penna di Pietro, scomparso a dicembre dello scorso anno", spiega Besana. Che con il giornalista scientifico, da lui definito "amico vero" avrebbe dovuto firmare la seconda pubblicazione consecutiva in tandem, seguito ideale di ‘L’albero – Dialogo tra fotografo e scrittore’.

L’idea di realizzare un’opera sul paesaggio, da spiegare nelle sue accezioni più diverse, era pronta, così come gli scatti realizzati da Besana, otto dei quali nello Spezzino. Cento, poi ridotti a 65 come gli anni di Greco, scelti da altrettante persone, compresi liguri o autori che vivono nella nostra regione: Marco Buticchi, Silvano Fuso, Beppe Mecconi, Nello Rossi, Leonardo Tunesi, a cui si sono unite tante altre voci, come quelle di Francesco Aiello, Piero Angela, Silvia Bencivelli, Lorenzo Cicalese, Piergiorgio Oddifreddi, solo per fare qualche nome. "Ognuno ha elaborato un pensiero diverso, dando la sua interpretazione di un paesaggio diverso, partendo dallo scatto indicato. Il risultato è un volume eclettico, in cui storie personali si riallacciano a quanto visto, oppure si riflette sulle sensazioni che ciò che ci circonda restituisce, o ancora si pensa all’impronta dell’uomo sulla Terra, ricordando che ormai il 70% di essa non può esser considerato naturale. Entusiasta la partecipazione, così come a molti è dispiaciuto non esser inseriti" commenta Besana. In questa successione di immagini, prive di didascalia, luogo e data, per osservarle in un’accezione universale trasformandole in tanti paradigmi, si realizza la magia di potersi affacciare sul mondo. Guardando ad una persona che, in qualche modo, continuerà ad esserci.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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