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Gianclaudio de Angelini
solomente.it di marted 27 luglio 2021
Sono nato tanti anni fa nella bellissima cittadina istriana di Rovigno che ho lasciato con i miei quando non avevo che pochi mesi. Uno strappo dalle radici secolari...

 

Sono nato tanti anni fa nella bellissima cittadina istriana di Rovigno che ho lasciato con i miei quando non avevo che pochi mesi. Uno strappo dalle radici secolari della mia famiglia che ho vissuto sempre come un impoverimento, come una ferita difficile da rimarginare e che mi ha segnato per sempre. Vi sono tornato per la prima volta con i miei nonni nei primi anni ‘60 avendo ancora l’opportunità di coglierne l’essenza tra pini, rocce e mare gironzolando nelle strette stradine della città vecchia ascoltando i pochi rovignesi rimasti parlare ancora nel nostro bel dialetto, o meglio lingua, quel istrioto retaggio dei legionari romani impiantati nell’Istria meridionale dal Canal di Lemme a Pola (ager polensis). Da allora ho vissuto la mia condizione di déraciné non completamente a casa nella natìa Rovigno, sempre più croatizzata, non completamente a casa a Roma. Devo dire che vivere nel Villaggio Giuliano di Roma, dove trovarono casa quasi 2000 esuli istriani, fiumani e dalmati, mi ha consentito di crescere mantenendo vivo il retaggio culturale della mia terra d’origine ma, ovunque vivessi, sentivo in me la mancanza di qualcosa e la risposta a questo sentimento di privazione è stata la poesia. I versi mi hanno seguito in tutte le fasi della mia vita sia nelle poesie in italiano che in quelle nel dialetto istrioto, una riconquista difficile ma ancor più preziosa essendo una lingua oramai in via di estinzione. Con le poesie in istrioto ho avuto i primi riconoscimenti, vincendo il premio Laurentum nel 1997 per la sezione in vernacolo, e facendomi conoscere anche al di fuori del piccolo mondo degli esuli istriani, evitando però il bozzetto folcloristico per dare la voce a tutto un popolo disperso. La mia attività di riappropriazione del retaggio culturale mi ha spinto a co-fondare la Mailing List Histria (MLH) e l’Associazione per la cultura, fiumana, istriana e dalmata nel Lazio; a collaborare col Centro di Ricerche Storiche di Rovigno e con la Società di studi Fiumani di Roma oltre ad entrare nella redazione della “Voce della Famia Ruvignisa”, il bimestrale della diaspora rovignese. Tutte attività aventi lo scopo di aiutare la nostra permanenza culturale nelle terre d’origine e far conoscere qui la storia del confine orientale che è pur sempre parte della più grande storia d’Italia. Avvicinarmi poi al mondo orientale, alla filosofia zen, agli haiku mi ha fornito il modo di  eliminare le tossine del vivere con quei tre piccoli versi che consentono di fermare gli attimi e cercare di cogliere il respiro della natura e, in ultima analisi, di vivere in serenità senza il rischio di fare la fine di Moammed Sceab, lo sfortunato amico di Ungaretti.

SOLO TRE DOMANDE

  • Mi de­scri­vo con solo tre ag­get­ti­vi
    • Pigro.
    • Ostinato.
    • Ironico.
  • Il solo even­to che mi ha cam­bia­to la vita
  • L’esodo dalla terra natìa.

Solo qualche immagine



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solomente.it - marted 27 luglio 2021
Sono nato tanti anni fa nella bellissima cittadina istriana di Rovigno che ho lasciato con i miei quando non avevo che pochi mesi. Uno strappo dalle radici secolari...

 

Sono nato tanti anni fa nella bellissima cittadina istriana di Rovigno che ho lasciato con i miei quando non avevo che pochi mesi. Uno strappo dalle radici secolari della mia famiglia che ho vissuto sempre come un impoverimento, come una ferita difficile da rimarginare e che mi ha segnato per sempre. Vi sono tornato per la prima volta con i miei nonni nei primi anni ‘60 avendo ancora l’opportunità di coglierne l’essenza tra pini, rocce e mare gironzolando nelle strette stradine della città vecchia ascoltando i pochi rovignesi rimasti parlare ancora nel nostro bel dialetto, o meglio lingua, quel istrioto retaggio dei legionari romani impiantati nell’Istria meridionale dal Canal di Lemme a Pola (ager polensis). Da allora ho vissuto la mia condizione di déraciné non completamente a casa nella natìa Rovigno, sempre più croatizzata, non completamente a casa a Roma. Devo dire che vivere nel Villaggio Giuliano di Roma, dove trovarono casa quasi 2000 esuli istriani, fiumani e dalmati, mi ha consentito di crescere mantenendo vivo il retaggio culturale della mia terra d’origine ma, ovunque vivessi, sentivo in me la mancanza di qualcosa e la risposta a questo sentimento di privazione è stata la poesia. I versi mi hanno seguito in tutte le fasi della mia vita sia nelle poesie in italiano che in quelle nel dialetto istrioto, una riconquista difficile ma ancor più preziosa essendo una lingua oramai in via di estinzione. Con le poesie in istrioto ho avuto i primi riconoscimenti, vincendo il premio Laurentum nel 1997 per la sezione in vernacolo, e facendomi conoscere anche al di fuori del piccolo mondo degli esuli istriani, evitando però il bozzetto folcloristico per dare la voce a tutto un popolo disperso. La mia attività di riappropriazione del retaggio culturale mi ha spinto a co-fondare la Mailing List Histria (MLH) e l’Associazione per la cultura, fiumana, istriana e dalmata nel Lazio; a collaborare col Centro di Ricerche Storiche di Rovigno e con la Società di studi Fiumani di Roma oltre ad entrare nella redazione della “Voce della Famia Ruvignisa”, il bimestrale della diaspora rovignese. Tutte attività aventi lo scopo di aiutare la nostra permanenza culturale nelle terre d’origine e far conoscere qui la storia del confine orientale che è pur sempre parte della più grande storia d’Italia. Avvicinarmi poi al mondo orientale, alla filosofia zen, agli haiku mi ha fornito il modo di  eliminare le tossine del vivere con quei tre piccoli versi che consentono di fermare gli attimi e cercare di cogliere il respiro della natura e, in ultima analisi, di vivere in serenità senza il rischio di fare la fine di Moammed Sceab, lo sfortunato amico di Ungaretti.

SOLO TRE DOMANDE

  • Mi de­scri­vo con solo tre ag­get­ti­vi
    • Pigro.
    • Ostinato.
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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