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Parole che racchiudono l’anima di Fiume
Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata di mercoledì 27 ottobre 2021
Stanno ancora lì, nei moli centrali del vecchio porto di Fiume, a svolgere la funzione originaria, in funzione degli ormeggi delle barche, oggi sempre di più veri e propri panfili; stanno ancora lì, robuste, in ghisa, con i segni del tempo che fu, a ricordarci, a tenerci ancorati all’eredità del passato: sono le bitte. Non è un caso...

di Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata

Stanno ancora lì, nei moli centrali del vecchio porto di Fiume, a svolgere la funzione originaria, in funzione degli ormeggi delle barche, oggi sempre di più veri e propri panfili; stanno ancora lì, robuste, in ghisa, con i segni del tempo che fu, a ricordarci, a tenerci ancorati all’eredità del passato: sono le bitte. Non è un caso, ma è proprio in una collana che riporta questo termine nautico che vede la luce il Un tetto di radici di Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano. Saggio scientifico di impostazione monografica (fresco di stampa, edito dalla ligure Gammarò), di grande spessore sia sotto l’aspetto contenutistico che come mole (sono quasi 700 pagine), attraverso la scrittura, le due autrici raccontano la Fiume… fiumana, italiana; la sua storia, la sua cultura, la sua anima, le diverse esperienze, le differenti scelte, i traumi, i tentativi di rinascere e dare continuità a un percorso plurisecolare. Il libro ha il grande pregio di recuperare e valorizzare un patrimonio culturale di grande valore; letteratura ai confini, letteratura minore, poco nota e studiata. Perfino ignorata. Dimenticata dalla Fiume capitale europea della cultura. “Fiume cuore simbolo dell’Europa del secolo Ventesimo”, scriveva alcuni decenni fa Osvaldo Ramous, forse il più grande scrittore fiumano novecentesco di quest’area.

Il libro, che ha pure una versione croata, si articola in due parti. Nelle prime duecento pagine, viene proposto un excursus sintetico e critico sulla storia della letteratura di lingua italiana a Fiume, che offre al lettore il quadro storico d’insieme, seguendone l’evoluzione nelle sue diverse fasi, dal Medioevo ai giorni nostri, senza trascurare la dimensione dialettale e quella che è la letteratura dell’esodo. La seconda parte si focalizza nel dettaglio su quasi una ventina di autori, di cui si tracciano le biografie, il contesto in cui hanno vissuto e creato, le tematiche trattate, gli stili, il loro ruolo. Il titolo del libro è un omaggio a Osvaldo Ramous, che non a caso apre la galleria. Fiumano “patoco de Zitavecia”, poeta, romanziere, giornalista, traduttore, promotore culturale, oltre che direttore del Dramma Italiano. “Io volevo svelare la vera anima travagliata della mia città”, spiegherà in una lettera ad Edoardo Miscia (1969). Ramous rappresenta la continuità storica della letteratura italiana a Fiume e in Istria. Ma non solo: da rimasto ma con il suo “esilio interno”, riesce a far trasmettere, per certi tratti, una pare della prospettiva e dello straniamento degli scrittori che Fiume invece l’abbandonarono dopo il 1945. Una lacerazione che trasformerà gli italiani in una sparuta minoranza.

Tra esuli, rimasti e nuovi «innesti»

Due anime che simbolicamente dialogano sotto la medesima copertina: i fiumani esuli – come Enrico Morovich, Paolo Santarcangeli, Franco Vegliani, Gino Brazzoduro, Valentino Zeichen, Marisa Madieri – o nati in un campo profughi, come Diego Zandel; i fiumani rimasti, in primis Ramous, poi Ezio Mestrovich, Anita Forlani, Mario Schiavato, Nirvana Ferletta Beltrame e Laura Marchig; gli italiani e fiumani acquisiti (ossia venuti da altre parti d’Italia – per adesione ideologica al regime comunista del tempo, o approdati in riva al Quarnero per uno dei tanti casi che la vita ci riserva – e che hanno costruito il resto della loro esistenza a Fiume, segnando la cultura della Comunità nazionale italiana), come Giacomo Scotti, Lucifero Martini, Alessandro Damiani, Mario Schiavato, o anche Sergio Turconi, Eros Sequi.

In appendice, un riassunto sulla “fiumanologia” – una panoramica dei contributi offerti da filologi, storici, filosofi, critici d’arte, istituti, enti ed editori, alla conoscenza della vicenda letteraria e culturale italiana di Fiume e o alla promozione del dibattito letterario –, i sempre utili bibliografia, sitografia e indice dei nomi. “Con questo volume – concludono le studiose – si vuole aprire un nuovo modo di osservare il patrimonio culturale”, si vuole “rivelare un capitolo di storia letteraria e di pensiero culturale che custodisce una ricchezza ancora in parte da valorizzare. Questo tetto di radici che va coltivato, come insegna Ramous, rende fiduciosi. Non potrà mai scomparire e deve parlare affinché, anche dopo momenti difficili, la letteratura italiana a Fiume venga intesa come stimolo di crescita e momento di arricchimento per tutte le altre letterature che si sono sviluppate in un clima di simbiosi naturale, tanto naturale quanto lo è stata da secoli la convivenza in questi territori”.

Un’opera unica, sicuramente la prima e la più completa, che le autrici mettono a disposizione dei lettori, degli amanti delle lettere e più in generale a quanti sono interessati all’universo articolato, complesso, ricco di influssi, che si cela dentro il microcosmo di una città di frontiera. Oltre che dei ricercatori per ulteriori approfondimenti, come del resto auspicano le stesse Mazzieri Sanković e Gherbaz Giuliano, “nella piena consapevolezza che ogni aggiornamento potrà un domani venir scalzato da nuove soluzioni letterarie e nuovi percorsi storico-critici, entro una realtà estremamente fluida e diversificata che costituisce l’ambiente di cultura in cui la letteratura italiana a Fiume continua a prodursi”.

Ilaria Rocchi


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Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata - mercoledì 27 ottobre 2021
Stanno ancora lì, nei moli centrali del vecchio porto di Fiume, a svolgere la funzione originaria, in funzione degli ormeggi delle barche, oggi sempre di più veri e propri panfili; stanno ancora lì, robuste, in ghisa, con i segni del tempo che fu, a ricordarci, a tenerci ancorati all’eredità del passato: sono le bitte. Non è un caso...

di Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata

Stanno ancora lì, nei moli centrali del vecchio porto di Fiume, a svolgere la funzione originaria, in funzione degli ormeggi delle barche, oggi sempre di più veri e propri panfili; stanno ancora lì, robuste, in ghisa, con i segni del tempo che fu, a ricordarci, a tenerci ancorati all’eredità del passato: sono le bitte. Non è un caso, ma è proprio in una collana che riporta questo termine nautico che vede la luce il Un tetto di radici di Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano. Saggio scientifico di impostazione monografica (fresco di stampa, edito dalla ligure Gammarò), di grande spessore sia sotto l’aspetto contenutistico che come mole (sono quasi 700 pagine), attraverso la scrittura, le due autrici raccontano la Fiume… fiumana, italiana; la sua storia, la sua cultura, la sua anima, le diverse esperienze, le differenti scelte, i traumi, i tentativi di rinascere e dare continuità a un percorso plurisecolare. Il libro ha il grande pregio di recuperare e valorizzare un patrimonio culturale di grande valore; letteratura ai confini, letteratura minore, poco nota e studiata. Perfino ignorata. Dimenticata dalla Fiume capitale europea della cultura. “Fiume cuore simbolo dell’Europa del secolo Ventesimo”, scriveva alcuni decenni fa Osvaldo Ramous, forse il più grande scrittore fiumano novecentesco di quest’area.

Il libro, che ha pure una versione croata, si articola in due parti. Nelle prime duecento pagine, viene proposto un excursus sintetico e critico sulla storia della letteratura di lingua italiana a Fiume, che offre al lettore il quadro storico d’insieme, seguendone l’evoluzione nelle sue diverse fasi, dal Medioevo ai giorni nostri, senza trascurare la dimensione dialettale e quella che è la letteratura dell’esodo. La seconda parte si focalizza nel dettaglio su quasi una ventina di autori, di cui si tracciano le biografie, il contesto in cui hanno vissuto e creato, le tematiche trattate, gli stili, il loro ruolo. Il titolo del libro è un omaggio a Osvaldo Ramous, che non a caso apre la galleria. Fiumano “patoco de Zitavecia”, poeta, romanziere, giornalista, traduttore, promotore culturale, oltre che direttore del Dramma Italiano. “Io volevo svelare la vera anima travagliata della mia città”, spiegherà in una lettera ad Edoardo Miscia (1969). Ramous rappresenta la continuità storica della letteratura italiana a Fiume e in Istria. Ma non solo: da rimasto ma con il suo “esilio interno”, riesce a far trasmettere, per certi tratti, una pare della prospettiva e dello straniamento degli scrittori che Fiume invece l’abbandonarono dopo il 1945. Una lacerazione che trasformerà gli italiani in una sparuta minoranza.

Tra esuli, rimasti e nuovi «innesti»

Due anime che simbolicamente dialogano sotto la medesima copertina: i fiumani esuli – come Enrico Morovich, Paolo Santarcangeli, Franco Vegliani, Gino Brazzoduro, Valentino Zeichen, Marisa Madieri – o nati in un campo profughi, come Diego Zandel; i fiumani rimasti, in primis Ramous, poi Ezio Mestrovich, Anita Forlani, Mario Schiavato, Nirvana Ferletta Beltrame e Laura Marchig; gli italiani e fiumani acquisiti (ossia venuti da altre parti d’Italia – per adesione ideologica al regime comunista del tempo, o approdati in riva al Quarnero per uno dei tanti casi che la vita ci riserva – e che hanno costruito il resto della loro esistenza a Fiume, segnando la cultura della Comunità nazionale italiana), come Giacomo Scotti, Lucifero Martini, Alessandro Damiani, Mario Schiavato, o anche Sergio Turconi, Eros Sequi.

In appendice, un riassunto sulla “fiumanologia” – una panoramica dei contributi offerti da filologi, storici, filosofi, critici d’arte, istituti, enti ed editori, alla conoscenza della vicenda letteraria e culturale italiana di Fiume e o alla promozione del dibattito letterario –, i sempre utili bibliografia, sitografia e indice dei nomi. “Con questo volume – concludono le studiose – si vuole aprire un nuovo modo di osservare il patrimonio culturale”, si vuole “rivelare un capitolo di storia letteraria e di pensiero culturale che custodisce una ricchezza ancora in parte da valorizzare. Questo tetto di radici che va coltivato, come insegna Ramous, rende fiduciosi. Non potrà mai scomparire e deve parlare affinché, anche dopo momenti difficili, la letteratura italiana a Fiume venga intesa come stimolo di crescita e momento di arricchimento per tutte le altre letterature che si sono sviluppate in un clima di simbiosi naturale, tanto naturale quanto lo è stata da secoli la convivenza in questi territori”.

Un’opera unica, sicuramente la prima e la più completa, che le autrici mettono a disposizione dei lettori, degli amanti delle lettere e più in generale a quanti sono interessati all’universo articolato, complesso, ricco di influssi, che si cela dentro il microcosmo di una città di frontiera. Oltre che dei ricercatori per ulteriori approfondimenti, come del resto auspicano le stesse Mazzieri Sanković e Gherbaz Giuliano, “nella piena consapevolezza che ogni aggiornamento potrà un domani venir scalzato da nuove soluzioni letterarie e nuovi percorsi storico-critici, entro una realtà estremamente fluida e diversificata che costituisce l’ambiente di cultura in cui la letteratura italiana a Fiume continua a prodursi”.

Ilaria Rocchi


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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