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Intervista al Poeta Gianclaudio de Angelini
La Voce della Faměa Ruvignisa di domenica 28 novembre 2021
Gianclaudio de Angelini č un Poeta a dir poco eccezionale: i suoi versi sono densi di originale struggente bellezza. Gli occhi di Lavinia” (Oltre Edizioni) č un libro mirabile, da prendere a modello...

di Giuseppe Iannozzi
Gianclaudio de Angelini è un Poeta a dir poco eccezionale: i suoi versi sono densi di originale struggente bellezza. Gli occhi di Lavinia” (Oltre Edizioni) è un libro mirabile, da prendere a modello, e solo aspetta di esser letto. Leggete la poesia di Gianclaudio de Angelini: resterete catturati dalla perfetta bellezza dei suoi versi, posso assicurarvelo in qualità di critico letterario.
Giuseppe Iannozzi

1. Gianclaudio de Angelini, prima di parlare de “Gli occhi di Lavinia” (Oltre Edizioni), sarebbe forse giusto che dicessi qualche cosa di te, a favore di chi non ti conosce. Io stesso so ben poco di te. È forse una richiesta un po’ banale, forse non troppo: il poeta, quasi sempre, riversa nelle proprie poesie gran parte del proprio vissuto.

In effetti il vissuto di un poeta si rispecchia nelle sue poesie. Io sono nato, come generazioni dei miei, a Rovigno d’Istria da cui sono andato via che non avevo neanche un anno. Uno strappo dovuto all’esito della guerra che cedette le nostre terre alla Jugoslavia. Il trattato di pace del ‘47 consentiva di presentare domanda d’opzione per rimanere italiani e così fecero i miei partendo verso l’ignoto nell’agosto del 51. Fu uno strappo che ho metabolizzato poco a poco incominciando a tornare con i miei nonni nella terra d’origine nei primi anni ‘60 dove avevamo ancora tre case amiche: tre sorelle di mia nonna ed ancora tanti rovignesi. Fu così che ne assorbii la lingua e le tradizioni aiutato anche dal fatto di vivere a Roma nel “Villaggio Giuliano” ove circa due mila esuli istriani, fiumani e dalmati trovarono una nuova casa.

2. Da quel che so, Gianclaudio de Angelini, molte tue poesie sono state pubblicate sul tuo profilo Facebook. Non sono pochi i poeti o sedicenti tali, che oggi pubblicano sui social network. Internet è stato per te fondamentale, se non ti fossi esposto in pubblico, probabilmente nessuno ti avrebbe notato.

Ho usato internet soprattutto per riannodare i fili sparsi della diaspora istriana e i rapporti con i connazionali rimasti in Istria. La poesia in questo, e l’uso del dialetto rovignese, sono stati essenziali. Ho incontrato inoltre altre pagine che mi hanno stimolato: gruppi Haiku che ancora di tanto in tanto frequento.

3. Gianclaudio, quando hai cominciato ad amare la poesia? Quali autori ti hanno maggiormente influenzato? Non credo che solo Ligio Zanini, Giusto Curto, Vlado Benussi, Matteo Benussi e Bepi Nider siano i tuoi punti di riferimento.

La poesia ha sempre fatto parte del mio vissuto ho incontrato i grandi della nostra letteratura e mi sono avvicinato alla poesia a me consona di Ugo Foscolo e dei moderni Giuseppe Ungaretti, Saba, Cardarelli, ma anche la poesia dei nativi americani, quella giapponese, i canti arabi del deserto. Insomma dovunque trovassi versi che entravano in risonanza con me non disdegnando la poesia barocca come quella di Ciro di Pers. Per quanto riguarda la poesia in rovignese il mio riferimento principale è stata la lirica universale di Ligio Zanini che attraverso i gabbiani o i piccoli pesciolini parla del destino di tutto un popolo. Poesia a tutto tondo non racchiusa nel piccolo mondo folcloristico della poesia dialettale.

4. Quale profonda necessità ti ha spinto a scrivere poesia?

Scrivere versi è stato da sempre per me un atto necessario come mangiare o respirare. Ogni cicatrice della vita ogni piccola gioia si è tramutata in un verso. La poesia è stata una compagna fedele dall’adolescenza alla vecchiaia. Avvicinarmi poi al mondo orientale, alla filosofia zen, agli haiku mi ha fornito il modo di eliminare le tossine del vivere con quei tre piccoli versi che consentono di fermare gli attimi e cercare di cogliere il respiro della natura; così come riappropriarmi del linguaggio dei miei e diluire nei versi il distacco dal mio mondo natio mi ha consentito di non fare la fine di Moammed Sceab, lo sfortunato amico di Ungaretti, che “non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono”.

5. Il tuo amico Diego Zandel non nutre dubbio alcuno in merito al tuo talento poetico, ha creduto fin da subito nel valore poetico dei tuoi versi. Nella prefaziona a “Gli occhi di Lavinia”, Zandel scrive: «[…] ogni volta li leggevo ammirato. E questo, nel corso degli anni, versi dopo versi, mi ha fatto prendere sempre più coscienza del valore poetico di essi. Così, un bel giorno di non molto tempo fa, mi decido a chiedergli di raccogliere le sue poesie in italiano e in istrioto e i suoi haiku fulminanti per sondare io la possibilità di una silloge che antologicamente riunisse i tre filoni attraverso i quali si esprime. […]”»

Che cosa è il talento ? Chi oggi si può dire poeta senza tema di smentita? Bella domanda. Naturalmente non lo so e credo che nessuno lo sappia. Posso dire che il talento di un poeta consiste nel far sì che i propri versi risuonino anche negli occhi, nella mente e nel cuore di chi li legge e, a quanto pare, questo è accaduto a Diego leggendo i miei versi. Non posso che esserne felice sperando che per tanti altri sia così.

6. Gianclaudio de Angelini, le poesie che sono ne “Gli occhi di Lavinia” a chi si rivolgono? Sono esse legate da un fil rouge?

Naturalmente la poesia si rivolge a tutti anche se quando la si scrive lo si fa principalmente per una propria esigenza. Il filo conduttore che lega la raccolta è molto lungo e difficile da dipanare poiché coinvolge un grande arco temporale e tre diversi stilemi poetici anche se penso che alla fine un lettore attento possa avvertire una nota costante che nasce dal mio modo di sentire la vita; lascio però a chi avrà la pazienza di leggerle il gusto di saperla individuare questa benedetta nota di fondo.

7. Molti tuoi versi sono stati pensati e scritti in dialetto istrioto, poi tradotti in italiano corrente. È un tema da te molto sentito quello di non perdere le radici, di tener viva la memoria.

Sì, si tratta di una esigenza profonda scrivere i versi direttamente in quell’istrioto, così difficile da rendere in italiano, così fortemente evocativo in cui ogni parola ha di per sé un forte valore affettivo per un mondo in via di estinzione. Un mondo cercato in ogni volto in ogni pietra della mia città che, nei miei vari ritorni, trovo sempre più stravolto da un’altra lingua, altre tradizioni ed in cui man mano si perde un retaggio millenario.

8. L’imposto esodo ha certamente influenzato il tuo modo di sentire, di guardare all’umanità e non solo, non è forse così?

Sì è naturalmente così e forse ancor di più perché non sono stato io a deciderlo ma l’ho solamente subito.

9. Nel tuo lavoro “Gli occhi di Lavinia” trovano spazio un numero considerevole di haiku, e non pochi hanno una impronta marcatamente ungarettiana.

Mi sono avvicinato agli haiku proprio tramite i versi di Ungaretti. Lo studio poi delle filosofie orientali ed in particolare dello zen, con l’osservazione della natura mi hanno portato a questo modo di poetare, semplice e difficile allo stesso tempo. Nella premessa metto bene in chiaro che i miei sono “haiku occidentali” che si possono solamente avvicinare ma mai raggiungere quelli di Issa, Buson, Basho e degli altri grandi haijin della tradizione nipponica.

10. Perché la tua silloge porta il titolo “Gli occhi di Lavinia”? Quel che vorrei capire è perché hai chiamato in causa la seconda donna che Enea prese in sposa.

Naturalmente il tutto si spiega con la mia piccola poesia intitolata Enea che ho posto ad incipit del libro: Per mano Julo sulle spalle Anchise vagherà per terra e per mare fino a trovare porto sicuro gli occhi di Lavinia Ed esemplifica il destino dell’esule anche se la vera protagonista è quella che non appare, ovvero l’abbandonata Creusa, il sogno di un mondo perduto che neanche gli occhi di Lavinia possono mai far dimenticare.

11. Gianclaudio de Angelini, sono convinto che continuerai a scrivere poesie: pubblicherai una nuova raccolta poetica? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Certamente continuerò a scrivere, e spero di poter a breve pubblicare un libro di soli haiku, come ho in mente anche una sorta di zibaldone in cui accompagnare i versi in rovignesi con brani di prosa per fermare un mondo che sta scomparendo anche se sto diventando sempre più pigro ma, se il tempo sarà clemente con me, porterò a compimento ambedue i propositi.


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La Voce della Faměa Ruvignisa - domenica 28 novembre 2021
Gianclaudio de Angelini č un Poeta a dir poco eccezionale: i suoi versi sono densi di originale struggente bellezza. Gli occhi di Lavinia” (Oltre Edizioni) č un libro mirabile, da prendere a modello...

di Giuseppe Iannozzi
Gianclaudio de Angelini è un Poeta a dir poco eccezionale: i suoi versi sono densi di originale struggente bellezza. Gli occhi di Lavinia” (Oltre Edizioni) è un libro mirabile, da prendere a modello, e solo aspetta di esser letto. Leggete la poesia di Gianclaudio de Angelini: resterete catturati dalla perfetta bellezza dei suoi versi, posso assicurarvelo in qualità di critico letterario.
Giuseppe Iannozzi

1. Gianclaudio de Angelini, prima di parlare de “Gli occhi di Lavinia” (Oltre Edizioni), sarebbe forse giusto che dicessi qualche cosa di te, a favore di chi non ti conosce. Io stesso so ben poco di te. È forse una richiesta un po’ banale, forse non troppo: il poeta, quasi sempre, riversa nelle proprie poesie gran parte del proprio vissuto.

In effetti il vissuto di un poeta si rispecchia nelle sue poesie. Io sono nato, come generazioni dei miei, a Rovigno d’Istria da cui sono andato via che non avevo neanche un anno. Uno strappo dovuto all’esito della guerra che cedette le nostre terre alla Jugoslavia. Il trattato di pace del ‘47 consentiva di presentare domanda d’opzione per rimanere italiani e così fecero i miei partendo verso l’ignoto nell’agosto del 51. Fu uno strappo che ho metabolizzato poco a poco incominciando a tornare con i miei nonni nella terra d’origine nei primi anni ‘60 dove avevamo ancora tre case amiche: tre sorelle di mia nonna ed ancora tanti rovignesi. Fu così che ne assorbii la lingua e le tradizioni aiutato anche dal fatto di vivere a Roma nel “Villaggio Giuliano” ove circa due mila esuli istriani, fiumani e dalmati trovarono una nuova casa.

2. Da quel che so, Gianclaudio de Angelini, molte tue poesie sono state pubblicate sul tuo profilo Facebook. Non sono pochi i poeti o sedicenti tali, che oggi pubblicano sui social network. Internet è stato per te fondamentale, se non ti fossi esposto in pubblico, probabilmente nessuno ti avrebbe notato.

Ho usato internet soprattutto per riannodare i fili sparsi della diaspora istriana e i rapporti con i connazionali rimasti in Istria. La poesia in questo, e l’uso del dialetto rovignese, sono stati essenziali. Ho incontrato inoltre altre pagine che mi hanno stimolato: gruppi Haiku che ancora di tanto in tanto frequento.

3. Gianclaudio, quando hai cominciato ad amare la poesia? Quali autori ti hanno maggiormente influenzato? Non credo che solo Ligio Zanini, Giusto Curto, Vlado Benussi, Matteo Benussi e Bepi Nider siano i tuoi punti di riferimento.

La poesia ha sempre fatto parte del mio vissuto ho incontrato i grandi della nostra letteratura e mi sono avvicinato alla poesia a me consona di Ugo Foscolo e dei moderni Giuseppe Ungaretti, Saba, Cardarelli, ma anche la poesia dei nativi americani, quella giapponese, i canti arabi del deserto. Insomma dovunque trovassi versi che entravano in risonanza con me non disdegnando la poesia barocca come quella di Ciro di Pers. Per quanto riguarda la poesia in rovignese il mio riferimento principale è stata la lirica universale di Ligio Zanini che attraverso i gabbiani o i piccoli pesciolini parla del destino di tutto un popolo. Poesia a tutto tondo non racchiusa nel piccolo mondo folcloristico della poesia dialettale.

4. Quale profonda necessità ti ha spinto a scrivere poesia?

Scrivere versi è stato da sempre per me un atto necessario come mangiare o respirare. Ogni cicatrice della vita ogni piccola gioia si è tramutata in un verso. La poesia è stata una compagna fedele dall’adolescenza alla vecchiaia. Avvicinarmi poi al mondo orientale, alla filosofia zen, agli haiku mi ha fornito il modo di eliminare le tossine del vivere con quei tre piccoli versi che consentono di fermare gli attimi e cercare di cogliere il respiro della natura; così come riappropriarmi del linguaggio dei miei e diluire nei versi il distacco dal mio mondo natio mi ha consentito di non fare la fine di Moammed Sceab, lo sfortunato amico di Ungaretti, che “non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono”.

5. Il tuo amico Diego Zandel non nutre dubbio alcuno in merito al tuo talento poetico, ha creduto fin da subito nel valore poetico dei tuoi versi. Nella prefaziona a “Gli occhi di Lavinia”, Zandel scrive: «[…] ogni volta li leggevo ammirato. E questo, nel corso degli anni, versi dopo versi, mi ha fatto prendere sempre più coscienza del valore poetico di essi. Così, un bel giorno di non molto tempo fa, mi decido a chiedergli di raccogliere le sue poesie in italiano e in istrioto e i suoi haiku fulminanti per sondare io la possibilità di una silloge che antologicamente riunisse i tre filoni attraverso i quali si esprime. […]”»

Che cosa è il talento ? Chi oggi si può dire poeta senza tema di smentita? Bella domanda. Naturalmente non lo so e credo che nessuno lo sappia. Posso dire che il talento di un poeta consiste nel far sì che i propri versi risuonino anche negli occhi, nella mente e nel cuore di chi li legge e, a quanto pare, questo è accaduto a Diego leggendo i miei versi. Non posso che esserne felice sperando che per tanti altri sia così.

6. Gianclaudio de Angelini, le poesie che sono ne “Gli occhi di Lavinia” a chi si rivolgono? Sono esse legate da un fil rouge?

Naturalmente la poesia si rivolge a tutti anche se quando la si scrive lo si fa principalmente per una propria esigenza. Il filo conduttore che lega la raccolta è molto lungo e difficile da dipanare poiché coinvolge un grande arco temporale e tre diversi stilemi poetici anche se penso che alla fine un lettore attento possa avvertire una nota costante che nasce dal mio modo di sentire la vita; lascio però a chi avrà la pazienza di leggerle il gusto di saperla individuare questa benedetta nota di fondo.

7. Molti tuoi versi sono stati pensati e scritti in dialetto istrioto, poi tradotti in italiano corrente. È un tema da te molto sentito quello di non perdere le radici, di tener viva la memoria.

Sì, si tratta di una esigenza profonda scrivere i versi direttamente in quell’istrioto, così difficile da rendere in italiano, così fortemente evocativo in cui ogni parola ha di per sé un forte valore affettivo per un mondo in via di estinzione. Un mondo cercato in ogni volto in ogni pietra della mia città che, nei miei vari ritorni, trovo sempre più stravolto da un’altra lingua, altre tradizioni ed in cui man mano si perde un retaggio millenario.

8. L’imposto esodo ha certamente influenzato il tuo modo di sentire, di guardare all’umanità e non solo, non è forse così?

Sì è naturalmente così e forse ancor di più perché non sono stato io a deciderlo ma l’ho solamente subito.

9. Nel tuo lavoro “Gli occhi di Lavinia” trovano spazio un numero considerevole di haiku, e non pochi hanno una impronta marcatamente ungarettiana.

Mi sono avvicinato agli haiku proprio tramite i versi di Ungaretti. Lo studio poi delle filosofie orientali ed in particolare dello zen, con l’osservazione della natura mi hanno portato a questo modo di poetare, semplice e difficile allo stesso tempo. Nella premessa metto bene in chiaro che i miei sono “haiku occidentali” che si possono solamente avvicinare ma mai raggiungere quelli di Issa, Buson, Basho e degli altri grandi haijin della tradizione nipponica.

10. Perché la tua silloge porta il titolo “Gli occhi di Lavinia”? Quel che vorrei capire è perché hai chiamato in causa la seconda donna che Enea prese in sposa.

Naturalmente il tutto si spiega con la mia piccola poesia intitolata Enea che ho posto ad incipit del libro: Per mano Julo sulle spalle Anchise vagherà per terra e per mare fino a trovare porto sicuro gli occhi di Lavinia Ed esemplifica il destino dell’esule anche se la vera protagonista è quella che non appare, ovvero l’abbandonata Creusa, il sogno di un mondo perduto che neanche gli occhi di Lavinia possono mai far dimenticare.

11. Gianclaudio de Angelini, sono convinto che continuerai a scrivere poesie: pubblicherai una nuova raccolta poetica? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Certamente continuerò a scrivere, e spero di poter a breve pubblicare un libro di soli haiku, come ho in mente anche una sorta di zibaldone in cui accompagnare i versi in rovignesi con brani di prosa per fermare un mondo che sta scomparendo anche se sto diventando sempre più pigro ma, se il tempo sarà clemente con me, porterò a compimento ambedue i propositi.


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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