CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Kosovo e giustizia di transizione: affrontare il passato, affrontare il presente
Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa di mercoled 1 dicembre 2021
In un recente saggio pubblicato da Oltre Edizioni si approfondisce la storia ed il presente delle Kosovo Specialist Chambers, nate per non lasciare impuniti i crimini commessi in Kosovo durante il conflitto 1998-1999. Abbiamo intervistato l'autrice Benedetta Arrighini

di Fiorella Bredariol

“Kosovo tra guerra e crimini”, pubblicato da Oltre Edizioni la scorsa primavera, è un saggio che analizza le Kosovo Specialist Chambers, camere speciali istituite nel 2016 con il mandato di affrontare i reati commessi durante la guerra in Kosovo rimasti impuniti dal processo di giustizia intrapreso dall’ICTY. 

La giustizia di transizione in Kosovo è un argomento complesso e generalmente poco affrontato, ma dell’importanza di raccontarlo è convinta l’autrice del libro, Benedetta Arrighini, che attraverso il suo saggio ci fornisce un’immagine dettagliata di ciò che ha portato all’istituzione di queste camere, delineando le cause e lo svolgimento del conflitto, il lavoro svolto dall’ICTY e da EULEX prima del 2016, e raccontando poi le peculiarità, criticità e prospettive future di questo nuovo tribunale. Rimanendo legata a un aspetto per lei fondamentale, che delinea fin dal sottotitolo del suo libro: l'importanza dell'affrontare il passato per affrontare il presente. 

Kosovo tra guerra e crimini: come nasce l’idea per la scrittura di questo testo?

Questo libro è tratto dalla mia tesi di laurea; durante la stesura ho avuto la fortuna di collaborare con Osservatorio Balcani e Caucaso, che l’ha poi pubblicata sul proprio sito; grazie a questo, e alla loro rilevanza per chiunque si occupi di Balcani, il mio lavoro ha raggiunto Diego Zandel, della Grammarò Edizioni (Gruppo Oltre Edizioni), che mi ha proposto di pubblicarla in forma di saggio.

Alla tematica del diritto penale internazionale mi sono appassionata durante i miei studi all’Università di Trento. Per la tesi, sul Tribunale penale per la ex Jugoslavia già c’erano diversi lavori. Ho deciso allora di analizzare un tribunale appena istituito, le Kosovo Specialist Chambers; da lì (parliamo dell’estate del 2018) ho iniziato a informarmi meglio sulle Camere e sulla storia del Kosovo. La scrittura effettiva in realtà è iniziata verso aprile maggio del 2020. Il primo capitolo, sulla storia del Kosovo, è stato tra i più complessi: quel conflitto è raccontato da un lato, quello serbo e dall’altro, quello kosovaro, ed è davvero difficile risultare imparziali. Ovviamente ci si concentra esclusivamente gli eventi rilevanti per le Camere Specialistiche del Kosovo.

Entrando nel merito del testo, parliamo di questa forma recente e poco conosciuta di tribunale che ha analizzato: le Kosovo Specialist Chambers. Perché si parla di “tribunale misto”?

Innanzitutto, chiariamo il concetto di Tribunale Misto: si tratta di quei tribunali che individuano una cooperazione tra la comunità internazionale e lo stato interessato. Un esempio è quello della Sierra Leone. L’idea è innovativa: vi è la volontà di non agire come i tribunali ad hoc in cui la Comunità internazionale giudicava principalmente con una finalità retributiva e in cui allo stato non veniva data possibilità di intervento, principalmente per la condizione politica in cui si trovava. Le Kosovo Specialist Chambers sono state quindi istituite di concerto tra Unione Europea, Stati Uniti e Kosovo. Il parlamento kosovaro, infatti, ha scritto lo statuto e modificato la costituzione riconoscendo la giurisdizione delle KSC per i crimini internazionali di cui è accusato l’Uçk. Dall’altro lato, le Kosovo Specialist Chambers hanno sede a L’Aja e il loro staff è composto di giudici e procuratori internazionali. Il concetto di “misto” è stato molto criticato, perché in realtà la partecipazione delle istituzioni kosovare è minima, le Camere rimangono comunque lontane, anche geograficamente, dal Kosovo e questo porta ad un non riconoscimento del loro operato.

In base alle sue ricerche, il loro operato può davvero portare ad una conciliazione, non raggiunta con il Tribunale Internazionale per l’ex-Jugoslavia?

Io credo che le KSC siano un passo in avanti rispetto al ICTY; nel libro il lettore vedrà che l’operato del tribunale internazionale nei confronti dell’Uçk è stato di fatto nullo . Sono stati processati 6 esponenti dell’Esercito di liberazione del Kosovo, poi assolti. Tra gli accusati vi è stato Ramush Haradinaj, ai tempi Presidente del Kosovo, che dopo la sua assoluzione ha ricoperto altre cariche politiche. Molti membri dell’Uçk hanno ricoperto diverse cariche politiche: la presenza più ingombrante è sicuramente quella di Hashim Thaçi, Presidente del Kosovo e ora tra gli accusati dalle Kosovo Specialist Chambers. Il lavoro delle KSC mette in luce i crimini commessi contro la comunità serba, gli albanesi ritenuti collaborazionisti e la comunità rom. Quindi di vittime ce ne sono state di diverse, ma questo è molto difficile da far comprendere perché c‘è ancora un forte scontro tra le due parti.

In conclusione del libro lancia una proposta: istituire in Kosovo delle Commissioni per la Verità...

Nell’ultimo capitolo si spiega la giustizia di transizione in Kosovo. La giustizia di transizione è il percorso che compie uno stato per affrontare i crimini commessi sul suo territorio, perché non ci sia una ripetizione di quanto avvenuto nel passato.

In tal senso io auspico, anche se alcuni mi accuseranno di idealismo, che non ci si fermi solo a un tribunale, ma che si inizi a parlare anche di Commissioni per la verità in cui fare incontrare due popoli, quello serbo e quello kosovaro, e farli dialogare su quanto accaduto.

Le Commissioni per la Verità sono state istituite in Sudafrica, in Argentina, in Sierra Leone e in Tunisia e, poiché ogni stato ha le sue peculiarità, non si può parlare di risultati positivi o negativi. In ogni caso mi sono interessata a questo modello di transizione perché mette da parte il concetto di pena e si concentra principalmente sulla conciliazione, ma soprattutto, sulla verità storica.

Credo che il Kosovo abbia bisogno più di questo, di uno spazio di incontro; è una terra vissuta da serbi e albanesi da secoli, è letteralmente in mezzo a due territori; pensiamo banalmente a quanto sta accadendo ora, con la questione delle targhe, la questione della polizia, il fatto che il nord del Kosovo mantenga comunque una maggioranza serba rilevante. Io credo che sia impensabile non dialogare. Quindi, la necessità di convivere ci sarà sempre e non basta un tribunale che stabilisca chi ha commesso cosa per elaborare le tensioni tra le due comunità.

Durante il lavoro di ricerca, qual è l’aspetto più interessante con cui si è dovuta confrontare?

Il fatto che mi sono dovuta occupare di uno stato che è ancora in via di costruzione e di un’ istituzione, quella delle Camere, che sta lavorando tutt’ora. Sto ancora osservando e seguendo la loro attività, e questo mi piace particolarmente.

Invece l’aspetto peculiare più interessante penso sia la questione del traffico illegale degli organi; è una questione su cui si sa poco, le indagini sono state iniziate da Carla Del Ponte, procuratrice generale dell’ICTY, per poi passare invece all’EULEX. Si parla di un crimine molto difficile da dimostrare, ci sono reperti di vent’anni fa, sono stati individuati dei siti dove si dice sarebbe stato perpetrato il crimine ma di difficile dimostrazione; è interessante anche perché si tratta di un crimine difficile da disciplinare, e chissà se sarà poi confermato, in quanto fino ad ora le KSC non hanno ancora accusato nessuno di traffico illegale di organi.



leggi l'articolo integrale su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
SCHEDA LIBRO   |   Segnala  |  Ufficio Stampa


CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa - mercoled 1 dicembre 2021
In un recente saggio pubblicato da Oltre Edizioni si approfondisce la storia ed il presente delle Kosovo Specialist Chambers, nate per non lasciare impuniti i crimini commessi in Kosovo durante il conflitto 1998-1999. Abbiamo intervistato l'autrice Benedetta Arrighini

di Fiorella Bredariol

“Kosovo tra guerra e crimini”, pubblicato da Oltre Edizioni la scorsa primavera, è un saggio che analizza le Kosovo Specialist Chambers, camere speciali istituite nel 2016 con il mandato di affrontare i reati commessi durante la guerra in Kosovo rimasti impuniti dal processo di giustizia intrapreso dall’ICTY. 

La giustizia di transizione in Kosovo è un argomento complesso e generalmente poco affrontato, ma dell’importanza di raccontarlo è convinta l’autrice del libro, Benedetta Arrighini, che attraverso il suo saggio ci fornisce un’immagine dettagliata di ciò che ha portato all’istituzione di queste camere, delineando le cause e lo svolgimento del conflitto, il lavoro svolto dall’ICTY e da EULEX prima del 2016, e raccontando poi le peculiarità, criticità e prospettive future di questo nuovo tribunale. Rimanendo legata a un aspetto per lei fondamentale, che delinea fin dal sottotitolo del suo libro: l'importanza dell'affrontare il passato per affrontare il presente. 

Kosovo tra guerra e crimini: come nasce l’idea per la scrittura di questo testo?

Questo libro è tratto dalla mia tesi di laurea; durante la stesura ho avuto la fortuna di collaborare con Osservatorio Balcani e Caucaso, che l’ha poi pubblicata sul proprio sito; grazie a questo, e alla loro rilevanza per chiunque si occupi di Balcani, il mio lavoro ha raggiunto Diego Zandel, della Grammarò Edizioni (Gruppo Oltre Edizioni), che mi ha proposto di pubblicarla in forma di saggio.

Alla tematica del diritto penale internazionale mi sono appassionata durante i miei studi all’Università di Trento. Per la tesi, sul Tribunale penale per la ex Jugoslavia già c’erano diversi lavori. Ho deciso allora di analizzare un tribunale appena istituito, le Kosovo Specialist Chambers; da lì (parliamo dell’estate del 2018) ho iniziato a informarmi meglio sulle Camere e sulla storia del Kosovo. La scrittura effettiva in realtà è iniziata verso aprile maggio del 2020. Il primo capitolo, sulla storia del Kosovo, è stato tra i più complessi: quel conflitto è raccontato da un lato, quello serbo e dall’altro, quello kosovaro, ed è davvero difficile risultare imparziali. Ovviamente ci si concentra esclusivamente gli eventi rilevanti per le Camere Specialistiche del Kosovo.

Entrando nel merito del testo, parliamo di questa forma recente e poco conosciuta di tribunale che ha analizzato: le Kosovo Specialist Chambers. Perché si parla di “tribunale misto”?

Innanzitutto, chiariamo il concetto di Tribunale Misto: si tratta di quei tribunali che individuano una cooperazione tra la comunità internazionale e lo stato interessato. Un esempio è quello della Sierra Leone. L’idea è innovativa: vi è la volontà di non agire come i tribunali ad hoc in cui la Comunità internazionale giudicava principalmente con una finalità retributiva e in cui allo stato non veniva data possibilità di intervento, principalmente per la condizione politica in cui si trovava. Le Kosovo Specialist Chambers sono state quindi istituite di concerto tra Unione Europea, Stati Uniti e Kosovo. Il parlamento kosovaro, infatti, ha scritto lo statuto e modificato la costituzione riconoscendo la giurisdizione delle KSC per i crimini internazionali di cui è accusato l’Uçk. Dall’altro lato, le Kosovo Specialist Chambers hanno sede a L’Aja e il loro staff è composto di giudici e procuratori internazionali. Il concetto di “misto” è stato molto criticato, perché in realtà la partecipazione delle istituzioni kosovare è minima, le Camere rimangono comunque lontane, anche geograficamente, dal Kosovo e questo porta ad un non riconoscimento del loro operato.

In base alle sue ricerche, il loro operato può davvero portare ad una conciliazione, non raggiunta con il Tribunale Internazionale per l’ex-Jugoslavia?

Io credo che le KSC siano un passo in avanti rispetto al ICTY; nel libro il lettore vedrà che l’operato del tribunale internazionale nei confronti dell’Uçk è stato di fatto nullo . Sono stati processati 6 esponenti dell’Esercito di liberazione del Kosovo, poi assolti. Tra gli accusati vi è stato Ramush Haradinaj, ai tempi Presidente del Kosovo, che dopo la sua assoluzione ha ricoperto altre cariche politiche. Molti membri dell’Uçk hanno ricoperto diverse cariche politiche: la presenza più ingombrante è sicuramente quella di Hashim Thaçi, Presidente del Kosovo e ora tra gli accusati dalle Kosovo Specialist Chambers. Il lavoro delle KSC mette in luce i crimini commessi contro la comunità serba, gli albanesi ritenuti collaborazionisti e la comunità rom. Quindi di vittime ce ne sono state di diverse, ma questo è molto difficile da far comprendere perché c‘è ancora un forte scontro tra le due parti.

In conclusione del libro lancia una proposta: istituire in Kosovo delle Commissioni per la Verità...

Nell’ultimo capitolo si spiega la giustizia di transizione in Kosovo. La giustizia di transizione è il percorso che compie uno stato per affrontare i crimini commessi sul suo territorio, perché non ci sia una ripetizione di quanto avvenuto nel passato.

In tal senso io auspico, anche se alcuni mi accuseranno di idealismo, che non ci si fermi solo a un tribunale, ma che si inizi a parlare anche di Commissioni per la verità in cui fare incontrare due popoli, quello serbo e quello kosovaro, e farli dialogare su quanto accaduto.

Le Commissioni per la Verità sono state istituite in Sudafrica, in Argentina, in Sierra Leone e in Tunisia e, poiché ogni stato ha le sue peculiarità, non si può parlare di risultati positivi o negativi. In ogni caso mi sono interessata a questo modello di transizione perché mette da parte il concetto di pena e si concentra principalmente sulla conciliazione, ma soprattutto, sulla verità storica.

Credo che il Kosovo abbia bisogno più di questo, di uno spazio di incontro; è una terra vissuta da serbi e albanesi da secoli, è letteralmente in mezzo a due territori; pensiamo banalmente a quanto sta accadendo ora, con la questione delle targhe, la questione della polizia, il fatto che il nord del Kosovo mantenga comunque una maggioranza serba rilevante. Io credo che sia impensabile non dialogare. Quindi, la necessità di convivere ci sarà sempre e non basta un tribunale che stabilisca chi ha commesso cosa per elaborare le tensioni tra le due comunità.

Durante il lavoro di ricerca, qual è l’aspetto più interessante con cui si è dovuta confrontare?

Il fatto che mi sono dovuta occupare di uno stato che è ancora in via di costruzione e di un’ istituzione, quella delle Camere, che sta lavorando tutt’ora. Sto ancora osservando e seguendo la loro attività, e questo mi piace particolarmente.

Invece l’aspetto peculiare più interessante penso sia la questione del traffico illegale degli organi; è una questione su cui si sa poco, le indagini sono state iniziate da Carla Del Ponte, procuratrice generale dell’ICTY, per poi passare invece all’EULEX. Si parla di un crimine molto difficile da dimostrare, ci sono reperti di vent’anni fa, sono stati individuati dei siti dove si dice sarebbe stato perpetrato il crimine ma di difficile dimostrazione; è interessante anche perché si tratta di un crimine difficile da disciplinare, e chissà se sarà poi confermato, in quanto fino ad ora le KSC non hanno ancora accusato nessuno di traffico illegale di organi.



leggi l'articolo integrale su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
SCHEDA LIBRO   |   Stampa   |   Segnala  |  Ufficio Stampa

TUTTI GLI EVENTI

OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

LEGGI TUTTO