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La visione č poesia. Appunti su Lo sguardo di Ungaretti
Limina di martedě 7 dicembre 2021
Il libro affronta il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti e la propria esperienza visiva cercando innanzitutto di dar conto di una frequentazione artistica e di modalitŕ espressive che trovano la propria ragion d’essere in una particolare sensibilitŕ estetica e religiosa. La pittura, la scultura e l’architettura, le arti visive in genere, hanno rappresentato, per Ungaretti, per la sua poetica, non semplici campi di studio e di riflessione, ma veri e propri strumenti per l’elaborazione di una visione del mondo, di una concezione sia tecnica che esistenziale della letteratura, di una pratica poetica che ha costituito le proprie immagini attingendo in primo luogo all’ambito dell’esperienza visiva...

di Carla Boroni

Il libro affronta il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti e la propria esperienza visiva cercando innanzitutto di dar conto di una frequentazione artistica e di modalità espressive che trovano la propria ragion d’essere in una particolare sensibilità estetica e religiosa. La pittura, la scultura e l’architettura, le arti visive in genere, hanno rappresentato, per Ungaretti, per la sua poetica, non semplici campi di studio e di riflessione, ma veri e propri strumenti per l’elaborazione di una visione del mondo, di una concezione sia tecnica che esistenziale della letteratura, di una pratica poetica che ha costituito le proprie immagini attingendo in primo luogo all’ambito dell’esperienza visiva.

La poesia di Ungaretti è depositaria di una quantità enorme di immagini. Di immagini provenienti dalla storia dell’arte, sia antica che contemporanea, oppure dal paesaggio naturale, come il deserto, le zone di guerra, la campagna romana, ma anche di immagini mentali. Immagini che in molti casi evocano sentimenti, sensazioni impalpabili e, di contro, immagini che si delineano in modo netto e preciso, in una forma chiara e definita.
Lo sguardo ungarettiano – la sua attitudine per le arti visive, il senso dello spazio e le caratteristiche visive della sua poesia (il miraggio, la visionarietà, la luce), la funzione del vedere e del guardare nel suo lessico e nella sua poetica – cerca fin dalla prima raccolta, attraverso le liriche di Il Porto Sepolto, una dimensione di innocenza, una rinascita poetica e visiva. Le immagini che Ungaretti propone nei suoi primi versi (ma si tratta di versi già maturi, già levigati da una poetica originale e nuova, che si è già lasciata alle spalle le sperimentazioni lessicali) sono immagini che cercano la luce, che si modellano nella luce.
La visività della poesia ungarettiana nasce dall’esperienza esistenziale e religiosa, da uno sguardo estatico che si trasfigura in sguardo estetico. Trova origine nell’assenza di luce, nell’accecamento, ed espressione nel tentativo di far luce sul mistero della condizione umana.

Ungaretti

La presenza dell’influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana sottolinea che il rapporto intercorso tra Ungaretti e le arti visive è frutto di una frequentazione non solo d’occasione. L’intrecciarsi di letteratura e correnti artistiche, poesia e pittura, è in Ungaretti un elemento tutt’altro che secondario ed è importante riuscire a delineare tale elemento con una certa accuratezza per poter comprendere appieno il suo itinerario poetico. Pur non rifacendosi direttamente alla concezione umanistica dell’ut pictura poesis, ormai consegnata alla Storia dell’Arte e alla tradizione, il rapporto poesia/pittura ha trovato in Ungaretti una rinnovata vitalità, nel giusto (classico) equilibrio tra ciò che potremmo definire come la memoria del passato e l’innocenza della contemporaneità, con una formula che avvicina due termini imprescindibili della poetica ungarettiana. Pensiamo sia quindi importante prendere in considerazione la figura e la poesia di Giuseppe Ungaretti dal punto di vista del loro rapporto con le arti figurative, sia di quelle del passato che di quelle a lui contemporanee, ma altrettanto importante indagare il rapporto tra il poeta e la propria sensibilità visiva, così presente nella sua espressione lirica.

Nel prendere in considerazione il tema dell’influenza dell’arte figurativa nella visività ungarettiana si è cercato di non limitare troppo il campo, di non confinare il dato poetico ed esistenziale all’esclusivo punto di vista letterario. Un approccio esclusivamente letterario rischia infatti di lasciare sullo sfondo proprio l’aspetto più caratteristico del rapporto di Ungaretti con la propria visività e con le arti figurative. Rischia di non cogliere tutti i diversi punti di vista che concorrono a fare di tale rapporto un elemento essenziale per il formarsi della sua poesia, una poesia che si è sempre chiaramente proposta come poesia che nasce dalla vita, dal dato esistenziale.
Fin dal suo primo nascere la poesia di Ungaretti ha avuto subito chiara la nozione di quali fossero le strade da seguire per ricondurre la lirica italiana nell’ambito di un’esigenza esistenziale. Innanzitutto l’aderenza alla vita, perché la poesia come letteratura trova giustificazione in Ungaretti solo come espressione che affonda le sue radici nel dato esistenziale, come espressione di vita; quindi la scelta morale, mai disgiunta dalla pura vitalità, nemmeno dove non esplicita, sempre presente nella poesia ungarettiana come elemento motivante, perlomeno a livello di poetica; e da ultimo l’esperienza religiosa, inizialmente cosmica e naturale, sentita come anelito verso l’eterno e il trascendente, ma non ancora accettata pienamente, ancora problematica, per divenire via via più meditata, più sofferta, più consapevole, ed arrivare, a conclusione di un itinerario religioso mai quieto nemmeno dopo la dichiarata conversione, all’accettazione e all’esaltazione anche teologica di Dio, alla fine non più indistinto ma colto nella persona di Cristo.

Lo stesso sviluppo, lo stesso itinerario, che potrebbe essere definito, semplificando, come un itinerario dal valore semplice al complesso, dalla percezione alla meditazione (tutto raccolto, inizio e fine, nelle riunificante figura di Cristo «pensoso palpito»), Ungaretti lo compie nel linguaggio esaltando inizialmente la parola singola sia nei suoi valori di sonorità e di ritmo che nei suoi valori di intensità emotiva e di significato, e ricostruendo poi «a modo suo» il verso e la sintassi, nell’intenzione di rinnovare, per via originale, il «canto della lingua italiana». Andando oltre, Ungaretti arriverà anche alla rivalutazione della poesia attraverso la pura componente tecnica, delineando in tal modo una traiettoria poetica che, se considerata come frutto di uno sviluppo lirico ininterrotto, può apparire persino contraddittoria nei suoi estremi.
In realtà anche qui, analogamente allo sviluppo umano e religioso, non ci sono soluzioni di continuità; l’estrema coerenza dello svolgersi della poesia ungarettiana risulta infatti evidente considerando la reciproca influenza tra dato esistenziale e dati linguistici, visivi e letterari, sempre presenti in Ungaretti come componenti interagenti, in una visione olistica, mai come elementi separati. È evidente, quindi, che il distinguere un itinerario poetico da un itinerario umano e religioso dev’essere accompagnato dalla consapevolezza che ciò può valere solo come schematizzazione interpretativa; introdurre tale distinzione significa infatti considerare una separazione fittizia, che non esiste né nell’intenzione del poeta (che proprio per tale motivo volle come titolo dell’intera sua opera Vita d’un uomo), né nella reale esperienza ungarettiana, unica e particolarissima proprio per l’indissolubilità delle sue componenti.

La visività della poesia ungarettiana nata con le immagini di guerra di Il Porto Sepolto, germinata nell’aspirazione religiosa originata dall’esperienza di trincea, vero motore spirituale dello sguardo estatico, mistico, che si tramuterà in sguardo estetico, sensibile, e, alla fine, con Il Dolore, in certezza religiosa incarnata nella figura di Cristo «pensoso palpito», trova la sua origine (insieme biografica e letteraria) nella privazione della luce, nell’accecamento, e sviluppo ed espressione nel tentativo di uscire dalle tenebre, dal «buio della carne».


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Limina - martedě 7 dicembre 2021
Il libro affronta il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti e la propria esperienza visiva cercando innanzitutto di dar conto di una frequentazione artistica e di modalitŕ espressive che trovano la propria ragion d’essere in una particolare sensibilitŕ estetica e religiosa. La pittura, la scultura e l’architettura, le arti visive in genere, hanno rappresentato, per Ungaretti, per la sua poetica, non semplici campi di studio e di riflessione, ma veri e propri strumenti per l’elaborazione di una visione del mondo, di una concezione sia tecnica che esistenziale della letteratura, di una pratica poetica che ha costituito le proprie immagini attingendo in primo luogo all’ambito dell’esperienza visiva...

di Carla Boroni

Il libro affronta il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti e la propria esperienza visiva cercando innanzitutto di dar conto di una frequentazione artistica e di modalità espressive che trovano la propria ragion d’essere in una particolare sensibilità estetica e religiosa. La pittura, la scultura e l’architettura, le arti visive in genere, hanno rappresentato, per Ungaretti, per la sua poetica, non semplici campi di studio e di riflessione, ma veri e propri strumenti per l’elaborazione di una visione del mondo, di una concezione sia tecnica che esistenziale della letteratura, di una pratica poetica che ha costituito le proprie immagini attingendo in primo luogo all’ambito dell’esperienza visiva.

La poesia di Ungaretti è depositaria di una quantità enorme di immagini. Di immagini provenienti dalla storia dell’arte, sia antica che contemporanea, oppure dal paesaggio naturale, come il deserto, le zone di guerra, la campagna romana, ma anche di immagini mentali. Immagini che in molti casi evocano sentimenti, sensazioni impalpabili e, di contro, immagini che si delineano in modo netto e preciso, in una forma chiara e definita.
Lo sguardo ungarettiano – la sua attitudine per le arti visive, il senso dello spazio e le caratteristiche visive della sua poesia (il miraggio, la visionarietà, la luce), la funzione del vedere e del guardare nel suo lessico e nella sua poetica – cerca fin dalla prima raccolta, attraverso le liriche di Il Porto Sepolto, una dimensione di innocenza, una rinascita poetica e visiva. Le immagini che Ungaretti propone nei suoi primi versi (ma si tratta di versi già maturi, già levigati da una poetica originale e nuova, che si è già lasciata alle spalle le sperimentazioni lessicali) sono immagini che cercano la luce, che si modellano nella luce.
La visività della poesia ungarettiana nasce dall’esperienza esistenziale e religiosa, da uno sguardo estatico che si trasfigura in sguardo estetico. Trova origine nell’assenza di luce, nell’accecamento, ed espressione nel tentativo di far luce sul mistero della condizione umana.

Ungaretti

La presenza dell’influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana sottolinea che il rapporto intercorso tra Ungaretti e le arti visive è frutto di una frequentazione non solo d’occasione. L’intrecciarsi di letteratura e correnti artistiche, poesia e pittura, è in Ungaretti un elemento tutt’altro che secondario ed è importante riuscire a delineare tale elemento con una certa accuratezza per poter comprendere appieno il suo itinerario poetico. Pur non rifacendosi direttamente alla concezione umanistica dell’ut pictura poesis, ormai consegnata alla Storia dell’Arte e alla tradizione, il rapporto poesia/pittura ha trovato in Ungaretti una rinnovata vitalità, nel giusto (classico) equilibrio tra ciò che potremmo definire come la memoria del passato e l’innocenza della contemporaneità, con una formula che avvicina due termini imprescindibili della poetica ungarettiana. Pensiamo sia quindi importante prendere in considerazione la figura e la poesia di Giuseppe Ungaretti dal punto di vista del loro rapporto con le arti figurative, sia di quelle del passato che di quelle a lui contemporanee, ma altrettanto importante indagare il rapporto tra il poeta e la propria sensibilità visiva, così presente nella sua espressione lirica.

Nel prendere in considerazione il tema dell’influenza dell’arte figurativa nella visività ungarettiana si è cercato di non limitare troppo il campo, di non confinare il dato poetico ed esistenziale all’esclusivo punto di vista letterario. Un approccio esclusivamente letterario rischia infatti di lasciare sullo sfondo proprio l’aspetto più caratteristico del rapporto di Ungaretti con la propria visività e con le arti figurative. Rischia di non cogliere tutti i diversi punti di vista che concorrono a fare di tale rapporto un elemento essenziale per il formarsi della sua poesia, una poesia che si è sempre chiaramente proposta come poesia che nasce dalla vita, dal dato esistenziale.
Fin dal suo primo nascere la poesia di Ungaretti ha avuto subito chiara la nozione di quali fossero le strade da seguire per ricondurre la lirica italiana nell’ambito di un’esigenza esistenziale. Innanzitutto l’aderenza alla vita, perché la poesia come letteratura trova giustificazione in Ungaretti solo come espressione che affonda le sue radici nel dato esistenziale, come espressione di vita; quindi la scelta morale, mai disgiunta dalla pura vitalità, nemmeno dove non esplicita, sempre presente nella poesia ungarettiana come elemento motivante, perlomeno a livello di poetica; e da ultimo l’esperienza religiosa, inizialmente cosmica e naturale, sentita come anelito verso l’eterno e il trascendente, ma non ancora accettata pienamente, ancora problematica, per divenire via via più meditata, più sofferta, più consapevole, ed arrivare, a conclusione di un itinerario religioso mai quieto nemmeno dopo la dichiarata conversione, all’accettazione e all’esaltazione anche teologica di Dio, alla fine non più indistinto ma colto nella persona di Cristo.

Lo stesso sviluppo, lo stesso itinerario, che potrebbe essere definito, semplificando, come un itinerario dal valore semplice al complesso, dalla percezione alla meditazione (tutto raccolto, inizio e fine, nelle riunificante figura di Cristo «pensoso palpito»), Ungaretti lo compie nel linguaggio esaltando inizialmente la parola singola sia nei suoi valori di sonorità e di ritmo che nei suoi valori di intensità emotiva e di significato, e ricostruendo poi «a modo suo» il verso e la sintassi, nell’intenzione di rinnovare, per via originale, il «canto della lingua italiana». Andando oltre, Ungaretti arriverà anche alla rivalutazione della poesia attraverso la pura componente tecnica, delineando in tal modo una traiettoria poetica che, se considerata come frutto di uno sviluppo lirico ininterrotto, può apparire persino contraddittoria nei suoi estremi.
In realtà anche qui, analogamente allo sviluppo umano e religioso, non ci sono soluzioni di continuità; l’estrema coerenza dello svolgersi della poesia ungarettiana risulta infatti evidente considerando la reciproca influenza tra dato esistenziale e dati linguistici, visivi e letterari, sempre presenti in Ungaretti come componenti interagenti, in una visione olistica, mai come elementi separati. È evidente, quindi, che il distinguere un itinerario poetico da un itinerario umano e religioso dev’essere accompagnato dalla consapevolezza che ciò può valere solo come schematizzazione interpretativa; introdurre tale distinzione significa infatti considerare una separazione fittizia, che non esiste né nell’intenzione del poeta (che proprio per tale motivo volle come titolo dell’intera sua opera Vita d’un uomo), né nella reale esperienza ungarettiana, unica e particolarissima proprio per l’indissolubilità delle sue componenti.

La visività della poesia ungarettiana nata con le immagini di guerra di Il Porto Sepolto, germinata nell’aspirazione religiosa originata dall’esperienza di trincea, vero motore spirituale dello sguardo estatico, mistico, che si tramuterà in sguardo estetico, sensibile, e, alla fine, con Il Dolore, in certezza religiosa incarnata nella figura di Cristo «pensoso palpito», trova la sua origine (insieme biografica e letteraria) nella privazione della luce, nell’accecamento, e sviluppo ed espressione nel tentativo di uscire dalle tenebre, dal «buio della carne».


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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