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“Carne e sangue” di Nicola Manicardi: una lettura
Alibi Online di mercoledģ 15 dicembre 2021
Nicola Manicardi in questa sua ultima raccolta (“Carne e sangue”, OLTRE Edizioni, 2021) si sposta, lento e cauto, per restare nel centro delle cose, nella costola del respiro.
Fatte salve alcune poesie che suggeriscono un viaggio...

di Elena Cattaneo

Nicola Manicardi in questa sua ultima raccolta (“Carne e sangue”, OLTRE Edizioni, 2021) si sposta, lento e cauto, per restare nel centro delle cose, nella costola del respiro.

Fatte salve alcune poesie che suggeriscono un viaggio in Salento, siamo a Modena, sui suoi viali, nella periferia, dentro le case, dentro le persone, camminando.

Le sei sezioni in cui è diviso il libro (Storie sui viali di Modena, Con Sancho dove finisce Modena, Si spengono le luci nei padiglioni, Via Firenze 3 leggendo Brodskij, E tu, il dipinto più bello, La casa del disagio) sono accenni al reale che mai si sostituisce allo sguardo del poeta, al suo bisturi. Il rimando a Celan e ai suoi Microliti è esplicito nella citazione iniziale: “La poesia che viene al mondo vi giunge carica di mondo”.

“Carne e sangue” però trova il suo passo proprio dove evoca la mancanza e l’assenza, di una persona, di un gesto, del rispetto, dell’equilibrio e della lentezza.

Il verso è libero e accarezza la prosa, dove serve, sostenuto da scelte lessicali precise, sensoriali.

Gli aironi sono radunati
nel campo di fronte alla porcilaia.
C’è semina, il sole è ancora caldo
E l’acqua scorre nei canali.
Lo vedrò oggi poi non so.
[…]
L’odore è acre e il caldo lo trattiene
i maiali domani partiranno.

Questo l’incipit del primo testo della prima sezione. La morte non è scritta ma è ovunque, la intrappola il caldo e la ingentiliscono gli aironi, portatori, nella loro etimologia, di leggerezza.

E ancora, da Via Firenze 3 leggendo Brodskij:

A Modena non c’è il mare
ma (più o meno) stretti corsi d’acqua
dove canneti, ortiche e fiori bastardi
crescono sui lati.

La realtà si ricuce sul vuoto, inesorabile e pietosa nella sua assenza di alternative emotive. La realtà è cura nella misura in cui le sue infinite variabili non saranno mai l’amore indefinito e atrocemente unico.

Così l’ultima poesia della raccolta (dalla sezione La casa del disagio):

Nel grande vaso i rami ornamentali
hanno preso il posto della poltrona
per la cura.
Le uniche orme visibili
le ha lasciate il cane
che si trascina muovendo la testa
in cerca dei suoi luoghi ma
né lui né lei sono qui
in questa casa dove tutto dorme.

Lo spostarsi lento di un uomo con il suo cane, su una retta infinita da cui osservare altre linee senza incontro solo con tracce di riconoscibilità, anche inaspettate.

Da Si spengono le luci nei padiglioni

Si spengono le luci nei padiglioni
la squadra delle pulizie inizia a passare la lavasciuga.
Marco prima aveva un’edicola
ora chiude i sacchi sporchi.
È l’ora del cambio di turno.

Dopo Macello di Ivano Ferrari, non c’è lordura, fetore o disgusto che la poesia non possa accogliere, ovviamente nel nostro moderno Inferno, ma le vie della pietas sono infinite come ad essere senza limite è l’occhio del poeta che baratta la propria vita con un senso perduto nelle vite altrui.

Ci sono notti in cui mi capita di iniziare la frase
toccando la mano al malato
la seconda frase è guardarlo negli occhi
la terza a dire “a breve farà un bel sonno”.

Quel dormire che è una partenza, una vita che acquista senso, nel suo dolore, nella percezione acuita, mai deformante, di qualcuno che è costretto a trovare un modo per non farsi distruggere e annichilire dal sangue e dalla carne.

Un libro, si diceva, di assenza e mancanza ma non di disperazione. La luce filtra, polverosa e gialla, nel cuore lirico di “Carne e sangue”, in ogni verso di E tu, il dipinto più bello.

In ogni testo c’è una negazione, manca la voce, mancano i nomi e il sonno. Resta la contemplazione estatica di un lascito d’amore, di una promessa che si è mantenuta in una pulsazione, in quella risposta perpetua come l’onda del mare.

Non credo, potrei sbagliarmi, che le poesie dedicate al dono più bello (il refuso è voluto) siano non a chiusura del libro per un caso. La perfezione circolare dell’amore infinito disorienta, non ha coordinate, ci avvicina pericolosamente alla morte.
Meglio lasciare l’onore del saluto ai propri cari defunti.

Nicola Manicardi non solo è costantemente nella carne e nel sangue dei suoi giorni ma ci permette di farne parte a patto di avere coraggio e accettare che è nella fine che si perpetua la conoscenza.

“Ma soprattutto la poesia è lo scandalo che bisogna cucirsi addosso, è la carne che non può non sanguinare insieme alla parole che della vita raccontano i tagli e le ferite” (dalla Prefazione di Nicola Vacca).



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Nicola Manicardi in questa sua ultima raccolta (“Carne e sangue”, OLTRE Edizioni, 2021) si sposta, lento e cauto, per restare nel centro delle cose, nella costola del respiro.
Fatte salve alcune poesie che suggeriscono un viaggio...

di Elena Cattaneo

Nicola Manicardi in questa sua ultima raccolta (“Carne e sangue”, OLTRE Edizioni, 2021) si sposta, lento e cauto, per restare nel centro delle cose, nella costola del respiro.

Fatte salve alcune poesie che suggeriscono un viaggio in Salento, siamo a Modena, sui suoi viali, nella periferia, dentro le case, dentro le persone, camminando.

Le sei sezioni in cui è diviso il libro (Storie sui viali di Modena, Con Sancho dove finisce Modena, Si spengono le luci nei padiglioni, Via Firenze 3 leggendo Brodskij, E tu, il dipinto più bello, La casa del disagio) sono accenni al reale che mai si sostituisce allo sguardo del poeta, al suo bisturi. Il rimando a Celan e ai suoi Microliti è esplicito nella citazione iniziale: “La poesia che viene al mondo vi giunge carica di mondo”.

“Carne e sangue” però trova il suo passo proprio dove evoca la mancanza e l’assenza, di una persona, di un gesto, del rispetto, dell’equilibrio e della lentezza.

Il verso è libero e accarezza la prosa, dove serve, sostenuto da scelte lessicali precise, sensoriali.

Gli aironi sono radunati
nel campo di fronte alla porcilaia.
C’è semina, il sole è ancora caldo
E l’acqua scorre nei canali.
Lo vedrò oggi poi non so.
[…]
L’odore è acre e il caldo lo trattiene
i maiali domani partiranno.

Questo l’incipit del primo testo della prima sezione. La morte non è scritta ma è ovunque, la intrappola il caldo e la ingentiliscono gli aironi, portatori, nella loro etimologia, di leggerezza.

E ancora, da Via Firenze 3 leggendo Brodskij:

A Modena non c’è il mare
ma (più o meno) stretti corsi d’acqua
dove canneti, ortiche e fiori bastardi
crescono sui lati.

La realtà si ricuce sul vuoto, inesorabile e pietosa nella sua assenza di alternative emotive. La realtà è cura nella misura in cui le sue infinite variabili non saranno mai l’amore indefinito e atrocemente unico.

Così l’ultima poesia della raccolta (dalla sezione La casa del disagio):

Nel grande vaso i rami ornamentali
hanno preso il posto della poltrona
per la cura.
Le uniche orme visibili
le ha lasciate il cane
che si trascina muovendo la testa
in cerca dei suoi luoghi ma
né lui né lei sono qui
in questa casa dove tutto dorme.

Lo spostarsi lento di un uomo con il suo cane, su una retta infinita da cui osservare altre linee senza incontro solo con tracce di riconoscibilità, anche inaspettate.

Da Si spengono le luci nei padiglioni

Si spengono le luci nei padiglioni
la squadra delle pulizie inizia a passare la lavasciuga.
Marco prima aveva un’edicola
ora chiude i sacchi sporchi.
È l’ora del cambio di turno.

Dopo Macello di Ivano Ferrari, non c’è lordura, fetore o disgusto che la poesia non possa accogliere, ovviamente nel nostro moderno Inferno, ma le vie della pietas sono infinite come ad essere senza limite è l’occhio del poeta che baratta la propria vita con un senso perduto nelle vite altrui.

Ci sono notti in cui mi capita di iniziare la frase
toccando la mano al malato
la seconda frase è guardarlo negli occhi
la terza a dire “a breve farà un bel sonno”.

Quel dormire che è una partenza, una vita che acquista senso, nel suo dolore, nella percezione acuita, mai deformante, di qualcuno che è costretto a trovare un modo per non farsi distruggere e annichilire dal sangue e dalla carne.

Un libro, si diceva, di assenza e mancanza ma non di disperazione. La luce filtra, polverosa e gialla, nel cuore lirico di “Carne e sangue”, in ogni verso di E tu, il dipinto più bello.

In ogni testo c’è una negazione, manca la voce, mancano i nomi e il sonno. Resta la contemplazione estatica di un lascito d’amore, di una promessa che si è mantenuta in una pulsazione, in quella risposta perpetua come l’onda del mare.

Non credo, potrei sbagliarmi, che le poesie dedicate al dono più bello (il refuso è voluto) siano non a chiusura del libro per un caso. La perfezione circolare dell’amore infinito disorienta, non ha coordinate, ci avvicina pericolosamente alla morte.
Meglio lasciare l’onore del saluto ai propri cari defunti.

Nicola Manicardi non solo è costantemente nella carne e nel sangue dei suoi giorni ma ci permette di farne parte a patto di avere coraggio e accettare che è nella fine che si perpetua la conoscenza.

“Ma soprattutto la poesia è lo scandalo che bisogna cucirsi addosso, è la carne che non può non sanguinare insieme alla parole che della vita raccontano i tagli e le ferite” (dalla Prefazione di Nicola Vacca).



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