Germania, 1958. Nelle strade campeggiano cartelloni colorati col ritratto a mezzo busto di Adolf Hitler. Le sue foto si affacciano dalle vetrine di tutti i negozi. Nei primi costosi televisori, i telegiornali non fanno che mostrare il fuhrer e farlo parlare. Avete letto bene, i nazisti hanno vinto la Seconda guerra mondiale, nel romanzo L’ultimo ebreo di Ivo Scanner, pubblicato da Oltre Edizioni (febbraio 2021, 338 pagine), nella collana I Gialli Oltre, diretta da un cacciatore di talenti come Diego Zandel.
Scanner, fondatore del movimento neonoir e autore di fantapolitica, propone questa volta un romanzo di genere ucronico: “la storia che non è stata mai, ma che avrebbe potuto essere”.
Sull’ucronia si sofferma Fabio Giovannini nella postfazione. È un gioco intellettuale in cui le vicende si svolgono secondo una sequenza causa-effetto diversa da quella reale. Storia alternativa, storia immaginaria, storia virtuale, controstoria, altra storia, quanto sarebbe potuto accadere se un evento chiave del passato si fosse sviluppato in maniera diversa da come si è svolto. In effetti, nell’immaginazione dello scrittore l’esito del conflitto di metà Novecento è stato opposto alla vittoria alleata sul III Reich e questo cambiamento modifica la serie causale di tutte le vicende successive, cambiando il corso della storia.
Gli scenari ucronici sono infiniti, quanti ne possono concepire gli autori. Quello di Scanner ha visto il successo delle armate naziste. Hitler, Mussolini e gli eserciti europei hanno combattuto a lungo contro la Russia, rimasta sola dopo la pace tra Germania e Stati Uniti. Nel 1943, Mosca è stata colpita da una testata atomica, spinta da un missile progettato dal geniale Werner von Braun. Dopo la sconfitta dell’URSS, Stalin è stato deposto nel 1947 da un colpo di stato ordito da Berija, ma il comunismo non è sopravvissuto al ridimensionamento del territorio sovietico.
Oltre alle gigantografie di Hitler, le strade di Berlino espongono pubblicità contro il fumo. Sotto la sagoma riconoscibile di un israelita, avvolta dalla nuvola biancastra di un sigaro, una scritta a caratteri gotici ammonisce a non imitare gli ebrei, “tanto schiavi del fumo”, slogan che allude a una diceria diffusa sulla sorte ignota degli ebrei. Ma nel Reich è proibito credere a quelle voci, che il regime non conferma.
In una Germania grigio-nera e autoritaria, i leader nazisti sono tutti vivi, vegeti e al potere. Tra gli emergenti, si fa notare la figura da perfetto combattente ariano del maggiore Kurt Konig, comandante dell’Einsatzgrupppe Fanger, composto da fanatici cacciatori di tutti gli ebrei del mondo. Tutti, tanto che in Germania è in atto una campagna d’indagine sui sospetti superstiti, una serie di visite psicofisiche e anagrafiche (si scandagliano in profondità gli alberi genealogici), per individuare l’ultimo degli ebrei in vita.
Konig non si fermerà fino a quando non l’avrà eliminato, identificandolo attraverso la tortura e altri metodi brutali, che il capo del nazismo trova sconvenienti, sul piano della politica internazionale. Non apprezza la pratica di filmare gli interrogatori feroci, che ha indignato l’opinione pubblica in America. In quel Paese si indignano facilmente, sebbene le autorità statunitensi si siano dimostrate zelanti nel consegnare alla Germania fino al più piccolo semita.
A proposito di voci, raccontano che la bellissima moglie tradisse Konig con un circonciso. Pare siano state le SS a informare il maggiore. Due giorni dopo è morta, di morte violenta. Il vedovo conserva un calco in cera della testa della giovane, una riproduzione perfetta, impressionante, anche macabra.
L’ultimo ebreo esiste davvero. È l’io narrante del romanzo. Riesce a fuggire dalla Germania con l’aiuto dei comunisti clandestini, i pochi rimasti. Raggiunge Roma, che scopriamo trasformata dal Duce. L’urbanistica littoria ha continuato a sbancare vecchi quartieri e liberare grandi spazi, per la maggior gloria della capitale e del fascismo. Mussolini è anziano, non ricorre più alla luce sempre accesa nello studio di Palazzo Venezia per mostrarsi infaticabile, ma la mania di grandezza è la stessa.
Sulla via Ardeatina, nei pressi delle catacombe di San Callisto, ha fatto realizzare il più grande parco pubblico di Roma, un prato enorme sopra le cave Ardeatine di pozzolana. Si dice che sotto siano sepolti centinaia di ebrei e di antifascisti, uccisi con un colpo alla nuca. Crolli provocati da esplosioni avrebbero occultato tutto.
Del ghetto ebraico nel centro non è rimasto nulla. I vecchi palazzi sono stati abbattuti, anche la Sinagoga. Al loro posto, un enorme piazzale, Largo dell’amicizia italo-tedesca, dal Tevere alla fontana delle tartarughe, dietro il Teatro Marcello.
Eccidi nascosti e spazi vuoti al posto della storia, una prospettiva terrificante, un vero incubo.
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