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«Storia di Azadeh» – Sabina Nurakmedova
le frasi piů belle dei libri di lunedě 14 marzo 2022
La tempistica con cui ho iniziato la lettura di questo libro č stata sconcertante. Pochi giorni prima dello scoppio del conflitto in Ucraina ho iniziato a leggere “Storia di Azadeh”, una storia incentrata sulla guerra tra Armenia e Azerbaigian, sviluppatasi nel periodo del crollo dell’Unione Sovietica...

di Sonia Paolorossi

Leggi le frasi che abbiamo scelto per te

Ma che l’azera Sabina Nurakhmedova in questo romanzo appassionato racconta con grande senso di equilibrio, denunciando nell’assurdità di una guerra, quella tra l’Azerbaigian e l’Armenia, l’assurdità di tutte le guerre per le conseguenze che provocano nei destini di tanta gente, come lei, costretti a lasciare il proprio Paese, la propria casa, la propria famiglia finendo inevitabilmente per far sentire gli esuli “cittadini in terra straniera e stranieri in patria”.


RECENSIONI

La tempistica con cui ho iniziato la lettura di questo libro è stata sconcertante.
Pochi giorni prima dello scoppio del conflitto in Ucraina ho iniziato a leggere
“Storia di Azadeh”, una storia incentrata sulla guerra tra Armenia e Azerbaigian, sviluppatasi nel periodo del crollo dell’Unione Sovietica.

Due popolazioni sorelle, geograficamente attaccate, che condividono usanze e costumi, si ritrovano a spararsi contro identificando l’altro come “nemico”.
In questo contesto, ci viene presentata la famiglia di Azadeh. Sua nonna, sua mamma, i suoi zii.
Azadeh cresce tra il tono burbero della madre, che a sua volta lo ha ereditato dalla nonna, e la mancanza della figura paterna. Entrambe le cose la temprano, rendendola forte e intraprendente, sfacciata verso la vita. Ha la passione per gli scacchi e la poca attitudine alle regole, che siano religiose o domestiche; ha la sua “banda”, in cui lei è l’unica ragazzina, e nessun modello da seguire.

In un giorno come tanti, farà una scoperta che cambierà totalmente il corso della sua vita e le restituirà la possibilità di modificarla totalmente. Ma da scacchista qual è, deve prevedere le mosse che la vita farà e anticiparla, portarsi un passo avanti e vivere di pancia proprio come ha sempre fatto, accettandone stoicamente le conseguenze.
Il libro si apre con una profonda riflessione sullo stato di “profugo”, che viene descritto come “cittadino in terra straniera e straniero in patria”.

Nel corso della storia ne sarà un esempio Sasha, zio di Azadeh, che a causa delle sue radici armene sarà costretto a lasciare la famiglia e spostarsi in Kazakhstan.

La guerra nel libro è raccontata, ma non è il tema centrale, come si potrebbe credere dal titolo. Descrittivo, dettagliato e (quasi sempre) interessante, sarà un fedele resoconto della vita nella città azera di Baku, perla di un paese martoriato da un conflitto senza fine.



leggi l'articolo integrale su le frasi piů belle dei libri
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le frasi piů belle dei libri - lunedě 14 marzo 2022
La tempistica con cui ho iniziato la lettura di questo libro č stata sconcertante. Pochi giorni prima dello scoppio del conflitto in Ucraina ho iniziato a leggere “Storia di Azadeh”, una storia incentrata sulla guerra tra Armenia e Azerbaigian, sviluppatasi nel periodo del crollo dell’Unione Sovietica...

di Sonia Paolorossi

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Ma che l’azera Sabina Nurakhmedova in questo romanzo appassionato racconta con grande senso di equilibrio, denunciando nell’assurdità di una guerra, quella tra l’Azerbaigian e l’Armenia, l’assurdità di tutte le guerre per le conseguenze che provocano nei destini di tanta gente, come lei, costretti a lasciare il proprio Paese, la propria casa, la propria famiglia finendo inevitabilmente per far sentire gli esuli “cittadini in terra straniera e stranieri in patria”.


RECENSIONI

La tempistica con cui ho iniziato la lettura di questo libro è stata sconcertante.
Pochi giorni prima dello scoppio del conflitto in Ucraina ho iniziato a leggere
“Storia di Azadeh”, una storia incentrata sulla guerra tra Armenia e Azerbaigian, sviluppatasi nel periodo del crollo dell’Unione Sovietica.

Due popolazioni sorelle, geograficamente attaccate, che condividono usanze e costumi, si ritrovano a spararsi contro identificando l’altro come “nemico”.
In questo contesto, ci viene presentata la famiglia di Azadeh. Sua nonna, sua mamma, i suoi zii.
Azadeh cresce tra il tono burbero della madre, che a sua volta lo ha ereditato dalla nonna, e la mancanza della figura paterna. Entrambe le cose la temprano, rendendola forte e intraprendente, sfacciata verso la vita. Ha la passione per gli scacchi e la poca attitudine alle regole, che siano religiose o domestiche; ha la sua “banda”, in cui lei è l’unica ragazzina, e nessun modello da seguire.

In un giorno come tanti, farà una scoperta che cambierà totalmente il corso della sua vita e le restituirà la possibilità di modificarla totalmente. Ma da scacchista qual è, deve prevedere le mosse che la vita farà e anticiparla, portarsi un passo avanti e vivere di pancia proprio come ha sempre fatto, accettandone stoicamente le conseguenze.
Il libro si apre con una profonda riflessione sullo stato di “profugo”, che viene descritto come “cittadino in terra straniera e straniero in patria”.

Nel corso della storia ne sarà un esempio Sasha, zio di Azadeh, che a causa delle sue radici armene sarà costretto a lasciare la famiglia e spostarsi in Kazakhstan.

La guerra nel libro è raccontata, ma non è il tema centrale, come si potrebbe credere dal titolo. Descrittivo, dettagliato e (quasi sempre) interessante, sarà un fedele resoconto della vita nella città azera di Baku, perla di un paese martoriato da un conflitto senza fine.



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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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