I guardiani di Wirikuta è stato primo titolo di Giancarlo Narciso, alias Jack Morisco, pubblicato all’epoca dalla mitica casa editrice Granata Press di Luigi Bernardi. Un romanzo ispirato da una ghost town sulla Sierra Madre messicana, visitata dall’autore. Un posto che sembrava uscito da un classico western di Sergio Leone e in cui continuavano a girare leggende di fantasmi e tesori nascosti.
I guardiani di Wirikuta ha il sapore cinematografico di Il tesoro della Sierra Madre ma con vasti spunti esoterici connessi a spiriti indios arcaici. Secondo le dichiarazioni dell’autore «Con il passare del tempo ho cominciato a sentire che, al momento in cui era uscito, …era ancora in gestazione e ad accarezzare il sogno di rimetterci mano. Così, quando Oltre Edizioni me ne ha offerto la possibilità, non ho esitato un secondo». E detto fatto l’ha ripreso in mano.
Il prologo immerge subito il lettore nella squallida realtà del deserto messicano, un deserto screpolato. Attorno solo polvere. Una piccola carovana di indios Huichol si reca in pellegrinaggio a Wirikuta, la terra del Grande Cervo Tmarz Kallaumari. Undici uomini dai grandi cappelli bianchi piumati in marcia da giorni, bevendo solo acqua e nutrendosi di mais, sotto gli implacabili raggi del sole cocente nella loro annuale ricerca della memoria del passato e dei loro grandi spiriti guida. Alla testa della carovana c’è il “maracamè”, lo sciamano della tribù, Aik Tevillare. Questo è il suo trentasettesimo pellegrinaggio verso la sacra terra di Wirikuta, meta della carovana. Il cammino è arido, polveroso, soffocante, dopo l’altopiano sulla Sierra che porta a Leunar, ribattezzato Quemado dai gringos, e dove terminerà il pellegrinaggio, un agglomerato di case perso tra le sabbie sui cui svetta una grande cattedrale, la cittadina mineraria di Real de Catorce.
Con lo sciamano c’è anche Samuravi, il nipote sedicenne che ha fatto il viaggio di iniziazione con gli occhi coperti. Solo ora potrà togliere la benda per iniziare con i compagni la raccolta del sacro cactus. Samuravi accoglierà e rispetterà il volere espresso al nonno dallo spirito del Grande cervo. Loro due si trasformeranno nei guardiani dell’oro della montagna. Quell’oro che per troppi anni ha scatenato la cupidigia dei bianchi. Quattordici crudeli banditi, quattordici assassini imperversavano taglieggiando e uccidendo i cercatori d’oro e accumulando un tesoro grondante sangue. Aik e suo nipote dovranno restare fino a quando una volpe scenderà dai monti…
Ma la trama del romanzo comincia quando Antonio Balestrieri, un avventuriero italiano, al volante della sua jeep arriva sotto la pioggia in una Real de Catorce semi abbandonata e prende alloggio al Real, unico albergo decente rimasto nella cittadina. In passato Real de Catorce è stata il più importante centro di attività minerarie della zona. L’oro e l’argento, estratti dalle miniere delle montagne vicine, venivano trasformati in monete e lingotti nella Casa della Moneda per poi essere caricati sulle navi alla fonda nel porto di Vera Cruz. Ma ora Real Catorce, dopo essere arrivata a contare quarantamila abitanti, si è ridotta ad ospitarne poche centinaia e richiama i visitatori solo in occasione della Festa di San Francesco, al quale è intitolata la cattedrale.
Balestrieri, che arriva da San Cristobal de las Casas nel Chapas, segue una labile traccia ed è in caccia di qualcuno e qualcosa che ignoriamo. Dovrà confrontarsi con il muro di indifferenza, ignoranza e diffidenza degli abitanti e della polizia. Otterrà solo vaghe risposte negative persino dal parroco della cattedrale, che fin dall’inizio gli suggerisce di andarsene.
L’unica persona che gli offre confidenza e compagnia è Amanda, una giovane e bella donna che ha incontrato nei corridoio dell’albergo, una cliente come lui? Balestrieri porta con sé un handicap, era un alcolizzato. Era riuscito a restare completamente sobrio per un mese, ma sotto la spinta della frustrazione, insofferente e innervosito, sta rischiando di mollare e ricadere nel vizio.
A dargli finalmente corda sarà l’ubriacone del paese, Francisco Coronado detto Pancho che, davanti a una bottiglia piena di tequila, gli racconterà una lunga storia. Una storia incredibile, una specie di caccia al tesoro in cui lui, Pancho, esperto minatore, è stato assunto da due speleologi – l’uomo più giovane, la donna più grande ma splendida e intrigante – per guidarli all’interno della galleria mineraria di Santa Ana. Ha accettato, pur ignorando i loro reali intenti, convinto dal grosso premio promesso e ha intrapreso con loro una lunga, rischiosa e soprattutto misteriosa avventura nella miniera.
Ma quel era il vero scopo del viaggio dei due speleologi? E come si collega la strana storia narrata da Pancho con la disperata ricerca di Balestrieri? E, soprattutto, come arriverà a riallacciarsi alla magica Wirikuta che abbiamo incontrato nel prologo?
Un romanzo coinvolgente, denso di azione e dannazione umana che rimanda alla migliore tradizione narrativa thriller (del secolo scorso) di Bruno Traven e Desmond Bagley.
E, benché nei romanzi di Giancarlo Narciso spesso appaia difficile distinguere il confine fra realtà e fantasia, sappiamo che la sua vera vita si rispecchia nelle sue storie.
Giancarlo Narciso ha scritto i romanzi I guardiani di Wirikuta, Sankhara (finalista premio Scerbanenco), Le zanzare di Zanzibar, Singapore Sling (vincitore premio Tedeschi e soggetto del film Rai “Belgrado Sling”) e Otherside. A questi si affiancano il dramma horror Eclissi e numerosi racconti. Con lo pseudonimo di Jack Morisco firma per Mondadori una fortunata serie di romanzi di spionaggio ambientati a Singapore e dintorni, di imminente ristampa in un rigoroso author’s cut per Alacran.
Note storiche ambientali: Wirikuta è la parte di deserto a nord dello stato di San Luis Potosi.
La parte desertica finisce dove inizia la montagna del “cerro del quemado” montagna sacra per l’etnia wixarika, meglio conosciuta come huichol. Per loro questa zona rappresenta quello che rappresenta la mecca per i musulmani: il luogo di pellegrinaggio per eccellenza. Talvolta gli huicholes impiegano addirittura due mesi di cammino per lasciare le loro offerte nella collinetta del “vernalejo”. Attualmente sia loro che una parte della società messicana cercano di difendere il loro luogo sacro dagli interessi di industrie minerarie statunitensi e canadesi. Queste, oltre che trivellare la montagna, priverebbero dell’acqua uno dei deserti più vitali del Messico: un deserto, sacro per gli Huicholes, una popolazione nota per fare uso del peyote come tramite per arrivare alla conoscenza divina nelle alte montagne del Messico centrale, tra le catene montuose della Sierra Madre Orientale e Zacatecas, vicino a Real de Catorce.
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