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I guardiani di Wirikuta – Giancarlo Narciso
The Blog Around The Corner di venerdģ 29 aprile 2022
I guardiani di Wirikuta č stato primo titolo di Giancarlo Narciso, alias Jack Morisco, pubblicato all’epoca dalla mitica casa editrice Granata Press di Luigi Bernardi. Un romanzo ispirato da una ghost town sulla Sierra Madre messicana...

di Patrizia Debicke

I guardiani di Wirikuta è stato primo titolo di Giancarlo Narciso, alias Jack Morisco, pubblicato all’epoca dalla mitica casa editrice Granata Press di Luigi Bernardi. Un romanzo ispirato da una ghost town sulla Sierra Madre messicana, visitata dall’autore. Un posto che sembrava uscito da un classico western di Sergio Leone e in cui continuavano a girare leggende di fantasmi e tesori nascosti.
I guardiani di Wirikuta ha il sapore cinematografico di Il tesoro della Sierra Madre ma con vasti spunti esoterici connessi a spiriti indios arcaici. Secondo le dichiarazioni dell’autore «Con il passare del tempo ho cominciato a sentire che, al momento in cui era uscito, …era ancora in gestazione e ad accarezzare il sogno di rimetterci mano. Così, quando Oltre Edizioni me ne ha offerto la possibilità, non ho esitato un secondo». E detto fatto l’ha ripreso in mano.
Il prologo immerge subito il lettore nella squallida realtà del deserto messicano, un deserto screpolato. Attorno solo polvere. Una piccola carovana di indios Huichol si reca in pellegrinaggio a Wirikuta, la terra del Grande Cervo Tmarz Kallaumari. Undici uomini dai grandi cappelli bianchi piumati in marcia da giorni, bevendo solo acqua e nutrendosi di mais, sotto gli implacabili raggi del sole cocente nella loro annuale ricerca della memoria del passato e dei loro grandi spiriti guida. Alla testa della carovana c’è il “maracamè”, lo sciamano della tribù, Aik Tevillare. Questo è il suo trentasettesimo pellegrinaggio verso la sacra terra di Wirikuta, meta della carovana. Il cammino è arido, polveroso, soffocante, dopo l’altopiano sulla Sierra che porta a Leunar, ribattezzato Quemado dai gringos, e dove terminerà il pellegrinaggio, un agglomerato di case perso tra le sabbie sui cui svetta una grande cattedrale, la cittadina mineraria di Real de Catorce.
Con lo sciamano c’è anche Samuravi, il nipote sedicenne che ha fatto il viaggio di iniziazione con gli occhi coperti. Solo ora potrà togliere la benda per iniziare con i compagni la raccolta del sacro cactus. Samuravi accoglierà e rispetterà il volere espresso al nonno dallo spirito del Grande cervo. Loro due si trasformeranno nei guardiani dell’oro della montagna. Quell’oro che per troppi anni ha scatenato la cupidigia dei bianchi. Quattordici crudeli banditi, quattordici assassini imperversavano taglieggiando e uccidendo i cercatori d’oro e accumulando un tesoro grondante sangue. Aik e suo nipote dovranno restare fino a quando una volpe scenderà dai monti…
Ma la trama del romanzo comincia quando Antonio Balestrieri, un avventuriero italiano, al volante della sua jeep arriva sotto la pioggia in una Real de Catorce semi abbandonata e prende alloggio al Real, unico albergo decente rimasto nella cittadina. In passato Real de Catorce è stata il più importante centro di attività minerarie della zona. L’oro e l’argento, estratti dalle miniere delle montagne vicine, venivano trasformati in monete e lingotti nella Casa della Moneda per poi essere caricati sulle navi alla fonda nel porto di Vera Cruz. Ma ora Real Catorce, dopo essere arrivata a contare quarantamila abitanti, si è ridotta ad ospitarne poche centinaia e richiama i visitatori solo in occasione della Festa di San Francesco, al quale è intitolata la cattedrale.

Balestrieri, che arriva da San Cristobal de las Casas nel Chapas, segue una labile traccia ed è in caccia di qualcuno e qualcosa che ignoriamo. Dovrà confrontarsi con il muro di indifferenza, ignoranza e diffidenza degli abitanti e della polizia. Otterrà solo vaghe risposte negative persino dal parroco della cattedrale, che fin dall’inizio gli suggerisce di andarsene.
L’unica persona che gli offre confidenza e compagnia è Amanda, una giovane e bella donna che ha incontrato nei corridoio dell’albergo, una cliente come lui? Balestrieri porta con sé un handicap, era un alcolizzato. Era riuscito a restare completamente sobrio per un mese, ma sotto la spinta della frustrazione, insofferente e innervosito, sta rischiando di mollare e ricadere nel vizio.
A dargli finalmente corda sarà l’ubriacone del paese, Francisco Coronado detto Pancho che, davanti a una bottiglia piena di tequila, gli racconterà una lunga storia. Una storia incredibile, una specie di caccia al tesoro in cui lui, Pancho, esperto minatore, è stato assunto da due speleologi – l’uomo più giovane, la donna più grande ma splendida e intrigante – per guidarli all’interno della galleria mineraria di Santa Ana. Ha accettato, pur ignorando i loro reali intenti, convinto dal grosso premio promesso e ha intrapreso con loro una lunga, rischiosa e soprattutto misteriosa avventura nella miniera.
Ma quel era il vero scopo del viaggio dei due speleologi? E come si collega la strana storia narrata da Pancho con la disperata ricerca di Balestrieri? E, soprattutto, come arriverà a riallacciarsi alla magica Wirikuta che abbiamo incontrato nel prologo?
Un romanzo coinvolgente, denso di azione e dannazione umana che rimanda alla migliore tradizione narrativa thriller (del secolo scorso) di Bruno Traven e Desmond Bagley.
E, benché nei romanzi di Giancarlo Narciso spesso appaia difficile distinguere il confine fra realtà e fantasia, sappiamo che la sua vera vita si rispecchia nelle sue storie.

Giancarlo Narciso ha scritto i romanzi I guardiani di Wirikuta, Sankhara (finalista premio Scerbanenco), Le zanzare di Zanzibar, Singapore Sling (vincitore premio Tedeschi e soggetto del film Rai “Belgrado Sling”) e Otherside. A questi si affiancano il dramma horror Eclissi e numerosi racconti. Con lo pseudonimo di Jack Morisco firma per Mondadori una fortunata serie di romanzi di spionaggio ambientati a Singapore e dintorni, di imminente ristampa in un rigoroso author’s cut per Alacran.

Note storiche ambientali: Wirikuta è la parte di deserto a nord dello stato di San Luis Potosi.
La parte desertica finisce dove inizia la montagna del “cerro del quemado” montagna sacra per l’etnia wixarika, meglio conosciuta come huichol. Per loro questa zona rappresenta quello che rappresenta la mecca per i musulmani: il luogo di pellegrinaggio per eccellenza. Talvolta gli huicholes impiegano addirittura due mesi di cammino per lasciare le loro offerte nella collinetta del “vernalejo”. Attualmente sia loro che una parte della società messicana cercano di difendere il loro luogo sacro dagli interessi di industrie minerarie statunitensi e canadesi. Queste, oltre che trivellare la montagna, priverebbero dell’acqua uno dei deserti più vitali del Messico: un deserto, sacro per gli Huicholes, una popolazione nota per fare uso del peyote come tramite per arrivare alla conoscenza divina nelle alte montagne del Messico centrale, tra le catene montuose della Sierra Madre Orientale e Zacatecas, vicino a Real de Catorce.



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I guardiani di Wirikuta č stato primo titolo di Giancarlo Narciso, alias Jack Morisco, pubblicato all’epoca dalla mitica casa editrice Granata Press di Luigi Bernardi. Un romanzo ispirato da una ghost town sulla Sierra Madre messicana...

di Patrizia Debicke

I guardiani di Wirikuta è stato primo titolo di Giancarlo Narciso, alias Jack Morisco, pubblicato all’epoca dalla mitica casa editrice Granata Press di Luigi Bernardi. Un romanzo ispirato da una ghost town sulla Sierra Madre messicana, visitata dall’autore. Un posto che sembrava uscito da un classico western di Sergio Leone e in cui continuavano a girare leggende di fantasmi e tesori nascosti.
I guardiani di Wirikuta ha il sapore cinematografico di Il tesoro della Sierra Madre ma con vasti spunti esoterici connessi a spiriti indios arcaici. Secondo le dichiarazioni dell’autore «Con il passare del tempo ho cominciato a sentire che, al momento in cui era uscito, …era ancora in gestazione e ad accarezzare il sogno di rimetterci mano. Così, quando Oltre Edizioni me ne ha offerto la possibilità, non ho esitato un secondo». E detto fatto l’ha ripreso in mano.
Il prologo immerge subito il lettore nella squallida realtà del deserto messicano, un deserto screpolato. Attorno solo polvere. Una piccola carovana di indios Huichol si reca in pellegrinaggio a Wirikuta, la terra del Grande Cervo Tmarz Kallaumari. Undici uomini dai grandi cappelli bianchi piumati in marcia da giorni, bevendo solo acqua e nutrendosi di mais, sotto gli implacabili raggi del sole cocente nella loro annuale ricerca della memoria del passato e dei loro grandi spiriti guida. Alla testa della carovana c’è il “maracamè”, lo sciamano della tribù, Aik Tevillare. Questo è il suo trentasettesimo pellegrinaggio verso la sacra terra di Wirikuta, meta della carovana. Il cammino è arido, polveroso, soffocante, dopo l’altopiano sulla Sierra che porta a Leunar, ribattezzato Quemado dai gringos, e dove terminerà il pellegrinaggio, un agglomerato di case perso tra le sabbie sui cui svetta una grande cattedrale, la cittadina mineraria di Real de Catorce.
Con lo sciamano c’è anche Samuravi, il nipote sedicenne che ha fatto il viaggio di iniziazione con gli occhi coperti. Solo ora potrà togliere la benda per iniziare con i compagni la raccolta del sacro cactus. Samuravi accoglierà e rispetterà il volere espresso al nonno dallo spirito del Grande cervo. Loro due si trasformeranno nei guardiani dell’oro della montagna. Quell’oro che per troppi anni ha scatenato la cupidigia dei bianchi. Quattordici crudeli banditi, quattordici assassini imperversavano taglieggiando e uccidendo i cercatori d’oro e accumulando un tesoro grondante sangue. Aik e suo nipote dovranno restare fino a quando una volpe scenderà dai monti…
Ma la trama del romanzo comincia quando Antonio Balestrieri, un avventuriero italiano, al volante della sua jeep arriva sotto la pioggia in una Real de Catorce semi abbandonata e prende alloggio al Real, unico albergo decente rimasto nella cittadina. In passato Real de Catorce è stata il più importante centro di attività minerarie della zona. L’oro e l’argento, estratti dalle miniere delle montagne vicine, venivano trasformati in monete e lingotti nella Casa della Moneda per poi essere caricati sulle navi alla fonda nel porto di Vera Cruz. Ma ora Real Catorce, dopo essere arrivata a contare quarantamila abitanti, si è ridotta ad ospitarne poche centinaia e richiama i visitatori solo in occasione della Festa di San Francesco, al quale è intitolata la cattedrale.

Balestrieri, che arriva da San Cristobal de las Casas nel Chapas, segue una labile traccia ed è in caccia di qualcuno e qualcosa che ignoriamo. Dovrà confrontarsi con il muro di indifferenza, ignoranza e diffidenza degli abitanti e della polizia. Otterrà solo vaghe risposte negative persino dal parroco della cattedrale, che fin dall’inizio gli suggerisce di andarsene.
L’unica persona che gli offre confidenza e compagnia è Amanda, una giovane e bella donna che ha incontrato nei corridoio dell’albergo, una cliente come lui? Balestrieri porta con sé un handicap, era un alcolizzato. Era riuscito a restare completamente sobrio per un mese, ma sotto la spinta della frustrazione, insofferente e innervosito, sta rischiando di mollare e ricadere nel vizio.
A dargli finalmente corda sarà l’ubriacone del paese, Francisco Coronado detto Pancho che, davanti a una bottiglia piena di tequila, gli racconterà una lunga storia. Una storia incredibile, una specie di caccia al tesoro in cui lui, Pancho, esperto minatore, è stato assunto da due speleologi – l’uomo più giovane, la donna più grande ma splendida e intrigante – per guidarli all’interno della galleria mineraria di Santa Ana. Ha accettato, pur ignorando i loro reali intenti, convinto dal grosso premio promesso e ha intrapreso con loro una lunga, rischiosa e soprattutto misteriosa avventura nella miniera.
Ma quel era il vero scopo del viaggio dei due speleologi? E come si collega la strana storia narrata da Pancho con la disperata ricerca di Balestrieri? E, soprattutto, come arriverà a riallacciarsi alla magica Wirikuta che abbiamo incontrato nel prologo?
Un romanzo coinvolgente, denso di azione e dannazione umana che rimanda alla migliore tradizione narrativa thriller (del secolo scorso) di Bruno Traven e Desmond Bagley.
E, benché nei romanzi di Giancarlo Narciso spesso appaia difficile distinguere il confine fra realtà e fantasia, sappiamo che la sua vera vita si rispecchia nelle sue storie.

Giancarlo Narciso ha scritto i romanzi I guardiani di Wirikuta, Sankhara (finalista premio Scerbanenco), Le zanzare di Zanzibar, Singapore Sling (vincitore premio Tedeschi e soggetto del film Rai “Belgrado Sling”) e Otherside. A questi si affiancano il dramma horror Eclissi e numerosi racconti. Con lo pseudonimo di Jack Morisco firma per Mondadori una fortunata serie di romanzi di spionaggio ambientati a Singapore e dintorni, di imminente ristampa in un rigoroso author’s cut per Alacran.

Note storiche ambientali: Wirikuta è la parte di deserto a nord dello stato di San Luis Potosi.
La parte desertica finisce dove inizia la montagna del “cerro del quemado” montagna sacra per l’etnia wixarika, meglio conosciuta come huichol. Per loro questa zona rappresenta quello che rappresenta la mecca per i musulmani: il luogo di pellegrinaggio per eccellenza. Talvolta gli huicholes impiegano addirittura due mesi di cammino per lasciare le loro offerte nella collinetta del “vernalejo”. Attualmente sia loro che una parte della società messicana cercano di difendere il loro luogo sacro dagli interessi di industrie minerarie statunitensi e canadesi. Queste, oltre che trivellare la montagna, priverebbero dell’acqua uno dei deserti più vitali del Messico: un deserto, sacro per gli Huicholes, una popolazione nota per fare uso del peyote come tramite per arrivare alla conoscenza divina nelle alte montagne del Messico centrale, tra le catene montuose della Sierra Madre Orientale e Zacatecas, vicino a Real de Catorce.



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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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