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#1Libroin5W.: Melina Scalise, “Favole della notte”, Topffer
l'Estroverso di martedģ 10 maggio 2022
I protagonisti di questo libro siamo noi e il nostro immaginario. Ogni fiaba permette al lettore di avere un suo spazio personale di relazione e proiezione. In ogni racconto si esplora il possibile e, in quanto tale, il futuro, ovvero...


CHI?

I protagonisti di questo libro siamo noi e il nostro immaginario. Ogni fiaba permette al lettore di avere un suo spazio personale di relazione e proiezione. In ogni racconto si esplora il possibile e, in quanto tale, il futuro, ovvero la possibilità stessa che possa esserci una dimensione altra. La fiaba offre la completa libertà di trasformazione del mondo: le cose si animano, gli animali parlano, l’uomo si muove insieme al “suo mondo di cose”. Il libro offre all’adulto un’occasione per ritrovare la magia del mondo ed esplorarne il mistero.

COSA?

Cosa rimane del mondo quando all’improvviso non è più quello di prima? Il desiderio. “Favole della notte” parla del desiderio di cercare un senso alle cose partendo anche da una finestra, attraverso la quale la dimensione magica si raggiunge semplicemente guardando con più attenzione e libertà ciò che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. Il libro vuole portare con leggerezza il lettore a sperimentare la propria capacità immaginativa attraverso lo stimolo del testo e delle immagini che non sono concepite come semplici illustrazioni, ma come nuovi livelli di racconto possibili grazie al lavoro dell’artista Francesca Magro.

QUANDO?

Questo libro è nato proprio quando tutto il mondo è stato travolto dalla pandemia da Covid dandoci la sensazione di vivere una “non realtà”. Emilio Tadini, pittore e scrittore milanese (1927-2002) di cui sono studiosa e curatore dell’archivio, ricordava, nei suoi scritti, lo stretto legame tra il mito e la fiaba conferendo a quest’ultima il potere di poter ricreare i miti quando crollano i riferimenti del passato. Così ho iniziato a scrivere le favole della notte. Ogni sera, per circa un mese e mezzo, ho scritto prima di andare a dormire, una favola da condividere con i miei amici sui social offrendo a tutti una “coccola”, come si fa con i bambini prima di affrontare la notte. La notte era attorno a noi e noi dovevamo pur poter immaginare la luce. Un appuntamento a cui in molti si erano affezionati e così è nata l’idea di raccoglierle in un libro e di scriverne altre ancora perché ho scoperto quanto i grandi abbiano bisogno di favole.

DOVE?

La favola è ovunque, in un cesto di frutta, in un calzino, in un pezzo di pane, in un ranocchio o una formica, in un filo d’erba o nella tasca di un cappotto, nello specchio o sotto il letto, persino in un abbraccio. Anche se non si va da nessuna parte tutto può succedere: ovunque. Il mondo delle cose apre le sue porte con le chiavi della propria fantasia si può accedere senza avere paura del buio.

PERCHÉ?

Esiste un’età evolutiva dell’individuo che si chiama dei “perché”. Crescendo scopriamo che la ragione e la scienza riescono a dare quasi sempre una spiegazione al mondo, ma restiamo a guardare per tutta la vita quella fetta che non riusciamo a spiegarci. La pandemia mondiale del Covid ci ha costretto a guardare di nuovo il limite e sperimentarlo disilludendoci dalla possibilità di controllare tutto con la tecnica e la tecnologia. A questo caos invisibile si è aggiunto quello plateale della guerra tra la Russia e l’Ucraina riaprendo vecchie ferite, riscoprendo scheletri nascosti negli armadi, liberando fantasmi tant’è che tutti abbiamo la sensazione di un “ritorno al passato”. Il caos, la Natura, il limite della tecnologia e del controllo razionale hanno aperto un nuovo dibattito sulla verità e la parola: la narrazione, ha preso il sopravvento sull’immagine (pensiamo a Putin che vieta l’uso del termine guerra per modificare l’interpretazione dei fatti). Ovvero la parola ha perso il corpo, ovvero il riferimento all’oggetto reale e, paradossalmente, proprio quando, grazie alla tecnologia, siamo riusciti a raggiungere livelli di riproduzione del mondo molto verosimili questi sono percepiti sempre più come “incredibili” e quindi falsi (pensiamo alle tesi complottiste). La favola, per paradosso, come una parabola, ci aiuta a portarci fuori dal mondo, ma anche a ritornare diventando una sorta di esercizio. Questo non avviene quando si insinua il dubbio che ci lascia spesso senza risposta e possibilità di ritorno, ovvero in un limbo. Ebbene vorrei che tutti ritornassimo a vedere il mondo con occhi nuovi e per questo abbiamo bisogno delle favole: al termine di ogni fiaba c’è una revisione dei propri valori e riferimenti.

scelti per voi 

 

 

La vita delle cose

 “(…) C’è qualcosa che in fondo tiene insieme le cose e noi non lo sappiamo. Non si sa quando scivolerà la sottoveste, quando prenderemo in mano un piatto per mangiare da soli, quando ci sederemo su una panchina o ci toglieremo le scarpe stanchi per aver camminato troppo. Non sappiamo quando la bellezza entrerà nelle nostre vite, quando raccoglieremo i cocci, quando ci sentiremo feriti, guariti, protetti, abbandonati o amati, ma sappiamo che tutte queste cose accadranno. Forse, da qualche parte, le cose, le nostre cose, conservano le nostre storie, ci creano delle mappe in cui non perderci e ci riservano la possibilità di concludere i gesti incompiuti, le scelte mancate, le vite interrotte (.)”.

La barca e la farfalla

(…) Un giorno un bambino raggiunse le sue rive attraversando il prato e pose sulle sue acque una barchetta di carta.

(..) Dopo aver fatto una giravolta tra i sassi la vide allontanarsi ed esclamò: “Guarda papà come sto andando lontano!”.

(..) Il torrente era felice di giocare con il bambino e si sentì impegnato ad assecondare il suo sogno.

(…) Una farfalla attratta ed incantata dalla leggerezza di quell’esile barca, così simile alla sua natura, la intravvide tra gli alberi e ci saltò su. 

(…) Appena fuori dal paese le acque del torrente però, diventarono più scure, la sua voce più bassa e la sua forza meno impetuosa. La farfalla allora le chiese. “Che fai torrente? Perchè non corri più come prima”. E il torrente le rispose: “Perché presto mi perderò in un abbraccio inevitabile che segnerà la mia fine”.

(…) “Io ho rinunciato a me stessa, intendo ho rinunciato a volare, per andare su questa barca – disse la farfalla – tu non hai rinunciato a nulla hai solo inseguito il sogno di qualcun altro”.

(…) Il torrente tornò solo con la piccola barchetta che lentamente, da lì a poco, si inabissò salvando il sogno di andare lontano, ma non quello dell’eternità. Circa i sogni beh… non tutti inseguono i propri, ma tutti portano da qualche parte.

Il grillo

(…) A quel punto la formica prese la parola: “Vuoi dire che chi lavora ha più diritti di chi dorme e canta?”

Il cane non fece in tempo a replicare che arrivò il fattore. Il gatto subito corse a strusciarsi tra le sue gambe ricevendo una carezza, il cane si mise a scodinzolare ricevendo un osso e la formica entrò velocemente nel buco della sua tana. Rimase sul muro il grillo che con un balzo saltò fuori dalla finestra e salì sul ramo di una quercia.

Il fattore andò a dormire ignaro che, quella notte, aveva scongiurato una rivoluzione. Sarebbe bastato il canto di un grillo per mettere in dubbio alla formica che quella non era la sua vita.

Il grillo cantò tutta la notte e lo sentì persino la formica nei cunicoli della sua città interrata. A udirlo ricordò che quel canto non era di felicità e si sentì sicura e felice tra le sue sorelle.

Il cane, finito di sgranocchiare l’osso nella cuccia, si sentì rassicurato dalla presenza del gatto che gli teneva lontano il topo. 

La figlia del fattore dormì serena quella notte, perché, in quel canto, sentiva la vita là fuori che l’aspettava e il grillo non poteva chiedere di meglio che attendere l’amore in compagnia cantando.

*

Melina Scalise (all’anagrafe Carmela) – nella foto in copertina di Francesco Tadini -, è giornalista professionista, psicologa, curatore d’arte, scrittrice. È fondatrice, con Francesco Tadini, della Casa Museo Spazio Tadini luogo culturale milanese in memoria di Emilio Tadini (Milano 1927-2002, pittore scrittore, saggista) del quale, oggi, cura l’archivio. Presso la Casa Museo milanese ha curato centinaia di eventi artistici e culturali e svolge visite guidate e approfondimenti sull’arte. Per anni, è stata cronista per il “Il Giorno” e altri periodici, ha diretto uffici stampa e comunicazione anche di importanti società del settore ambientale ideando le prime campagne di educazione ambientale in Italia.  Oggi continua a svolgere l’attività museale e scrive.



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I protagonisti di questo libro siamo noi e il nostro immaginario. Ogni fiaba permette al lettore di avere un suo spazio personale di relazione e proiezione. In ogni racconto si esplora il possibile e, in quanto tale, il futuro, ovvero...


CHI?

I protagonisti di questo libro siamo noi e il nostro immaginario. Ogni fiaba permette al lettore di avere un suo spazio personale di relazione e proiezione. In ogni racconto si esplora il possibile e, in quanto tale, il futuro, ovvero la possibilità stessa che possa esserci una dimensione altra. La fiaba offre la completa libertà di trasformazione del mondo: le cose si animano, gli animali parlano, l’uomo si muove insieme al “suo mondo di cose”. Il libro offre all’adulto un’occasione per ritrovare la magia del mondo ed esplorarne il mistero.

COSA?

Cosa rimane del mondo quando all’improvviso non è più quello di prima? Il desiderio. “Favole della notte” parla del desiderio di cercare un senso alle cose partendo anche da una finestra, attraverso la quale la dimensione magica si raggiunge semplicemente guardando con più attenzione e libertà ciò che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. Il libro vuole portare con leggerezza il lettore a sperimentare la propria capacità immaginativa attraverso lo stimolo del testo e delle immagini che non sono concepite come semplici illustrazioni, ma come nuovi livelli di racconto possibili grazie al lavoro dell’artista Francesca Magro.

QUANDO?

Questo libro è nato proprio quando tutto il mondo è stato travolto dalla pandemia da Covid dandoci la sensazione di vivere una “non realtà”. Emilio Tadini, pittore e scrittore milanese (1927-2002) di cui sono studiosa e curatore dell’archivio, ricordava, nei suoi scritti, lo stretto legame tra il mito e la fiaba conferendo a quest’ultima il potere di poter ricreare i miti quando crollano i riferimenti del passato. Così ho iniziato a scrivere le favole della notte. Ogni sera, per circa un mese e mezzo, ho scritto prima di andare a dormire, una favola da condividere con i miei amici sui social offrendo a tutti una “coccola”, come si fa con i bambini prima di affrontare la notte. La notte era attorno a noi e noi dovevamo pur poter immaginare la luce. Un appuntamento a cui in molti si erano affezionati e così è nata l’idea di raccoglierle in un libro e di scriverne altre ancora perché ho scoperto quanto i grandi abbiano bisogno di favole.

DOVE?

La favola è ovunque, in un cesto di frutta, in un calzino, in un pezzo di pane, in un ranocchio o una formica, in un filo d’erba o nella tasca di un cappotto, nello specchio o sotto il letto, persino in un abbraccio. Anche se non si va da nessuna parte tutto può succedere: ovunque. Il mondo delle cose apre le sue porte con le chiavi della propria fantasia si può accedere senza avere paura del buio.

PERCHÉ?

Esiste un’età evolutiva dell’individuo che si chiama dei “perché”. Crescendo scopriamo che la ragione e la scienza riescono a dare quasi sempre una spiegazione al mondo, ma restiamo a guardare per tutta la vita quella fetta che non riusciamo a spiegarci. La pandemia mondiale del Covid ci ha costretto a guardare di nuovo il limite e sperimentarlo disilludendoci dalla possibilità di controllare tutto con la tecnica e la tecnologia. A questo caos invisibile si è aggiunto quello plateale della guerra tra la Russia e l’Ucraina riaprendo vecchie ferite, riscoprendo scheletri nascosti negli armadi, liberando fantasmi tant’è che tutti abbiamo la sensazione di un “ritorno al passato”. Il caos, la Natura, il limite della tecnologia e del controllo razionale hanno aperto un nuovo dibattito sulla verità e la parola: la narrazione, ha preso il sopravvento sull’immagine (pensiamo a Putin che vieta l’uso del termine guerra per modificare l’interpretazione dei fatti). Ovvero la parola ha perso il corpo, ovvero il riferimento all’oggetto reale e, paradossalmente, proprio quando, grazie alla tecnologia, siamo riusciti a raggiungere livelli di riproduzione del mondo molto verosimili questi sono percepiti sempre più come “incredibili” e quindi falsi (pensiamo alle tesi complottiste). La favola, per paradosso, come una parabola, ci aiuta a portarci fuori dal mondo, ma anche a ritornare diventando una sorta di esercizio. Questo non avviene quando si insinua il dubbio che ci lascia spesso senza risposta e possibilità di ritorno, ovvero in un limbo. Ebbene vorrei che tutti ritornassimo a vedere il mondo con occhi nuovi e per questo abbiamo bisogno delle favole: al termine di ogni fiaba c’è una revisione dei propri valori e riferimenti.

scelti per voi 

 

 

La vita delle cose

 “(…) C’è qualcosa che in fondo tiene insieme le cose e noi non lo sappiamo. Non si sa quando scivolerà la sottoveste, quando prenderemo in mano un piatto per mangiare da soli, quando ci sederemo su una panchina o ci toglieremo le scarpe stanchi per aver camminato troppo. Non sappiamo quando la bellezza entrerà nelle nostre vite, quando raccoglieremo i cocci, quando ci sentiremo feriti, guariti, protetti, abbandonati o amati, ma sappiamo che tutte queste cose accadranno. Forse, da qualche parte, le cose, le nostre cose, conservano le nostre storie, ci creano delle mappe in cui non perderci e ci riservano la possibilità di concludere i gesti incompiuti, le scelte mancate, le vite interrotte (.)”.

La barca e la farfalla

(…) Un giorno un bambino raggiunse le sue rive attraversando il prato e pose sulle sue acque una barchetta di carta.

(..) Dopo aver fatto una giravolta tra i sassi la vide allontanarsi ed esclamò: “Guarda papà come sto andando lontano!”.

(..) Il torrente era felice di giocare con il bambino e si sentì impegnato ad assecondare il suo sogno.

(…) Una farfalla attratta ed incantata dalla leggerezza di quell’esile barca, così simile alla sua natura, la intravvide tra gli alberi e ci saltò su. 

(…) Appena fuori dal paese le acque del torrente però, diventarono più scure, la sua voce più bassa e la sua forza meno impetuosa. La farfalla allora le chiese. “Che fai torrente? Perchè non corri più come prima”. E il torrente le rispose: “Perché presto mi perderò in un abbraccio inevitabile che segnerà la mia fine”.

(…) “Io ho rinunciato a me stessa, intendo ho rinunciato a volare, per andare su questa barca – disse la farfalla – tu non hai rinunciato a nulla hai solo inseguito il sogno di qualcun altro”.

(…) Il torrente tornò solo con la piccola barchetta che lentamente, da lì a poco, si inabissò salvando il sogno di andare lontano, ma non quello dell’eternità. Circa i sogni beh… non tutti inseguono i propri, ma tutti portano da qualche parte.

Il grillo

(…) A quel punto la formica prese la parola: “Vuoi dire che chi lavora ha più diritti di chi dorme e canta?”

Il cane non fece in tempo a replicare che arrivò il fattore. Il gatto subito corse a strusciarsi tra le sue gambe ricevendo una carezza, il cane si mise a scodinzolare ricevendo un osso e la formica entrò velocemente nel buco della sua tana. Rimase sul muro il grillo che con un balzo saltò fuori dalla finestra e salì sul ramo di una quercia.

Il fattore andò a dormire ignaro che, quella notte, aveva scongiurato una rivoluzione. Sarebbe bastato il canto di un grillo per mettere in dubbio alla formica che quella non era la sua vita.

Il grillo cantò tutta la notte e lo sentì persino la formica nei cunicoli della sua città interrata. A udirlo ricordò che quel canto non era di felicità e si sentì sicura e felice tra le sue sorelle.

Il cane, finito di sgranocchiare l’osso nella cuccia, si sentì rassicurato dalla presenza del gatto che gli teneva lontano il topo. 

La figlia del fattore dormì serena quella notte, perché, in quel canto, sentiva la vita là fuori che l’aspettava e il grillo non poteva chiedere di meglio che attendere l’amore in compagnia cantando.

*

Melina Scalise (all’anagrafe Carmela) – nella foto in copertina di Francesco Tadini -, è giornalista professionista, psicologa, curatore d’arte, scrittrice. È fondatrice, con Francesco Tadini, della Casa Museo Spazio Tadini luogo culturale milanese in memoria di Emilio Tadini (Milano 1927-2002, pittore scrittore, saggista) del quale, oggi, cura l’archivio. Presso la Casa Museo milanese ha curato centinaia di eventi artistici e culturali e svolge visite guidate e approfondimenti sull’arte. Per anni, è stata cronista per il “Il Giorno” e altri periodici, ha diretto uffici stampa e comunicazione anche di importanti società del settore ambientale ideando le prime campagne di educazione ambientale in Italia.  Oggi continua a svolgere l’attività museale e scrive.



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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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