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Lo sguardo di Ungaretti, di Carla Boroni
letteraturaecinema.blogspot.com di giovedě 26 maggio 2022
Reminiscenza scolastica di quasi tutti noi č la domanda studentesca sul valore artistico della poesia ermetica. Di fronte ad un frammento di verso libero che spesso non possiede nemmeno il lavorio metrico di un settenario o un endecasillabo, i versi principe della nostra poesia...

di Mario Turco
Reminiscenza scolastica di quasi tutti noi è la domanda studentesca sul valore artistico della poesia ermetica. Di fronte ad un frammento di verso libero che spesso non possiede nemmeno il lavorio metrico di un settenario o un endecasillabo, i versi principe della nostra poesia, il dileggiamento ironico compiuto attraverso la declamazione di alate poesie di poche righe è sempre stata attuata non solo dagli alunni di qualunque scuola d’ordine e grado ma anche da intellettuali come Benedetto Croce, ostinatamente contrario a queste nuove forme linguistiche. La parabola critica della ricezione di Giuseppe Ungaretti da parte del circuito accademico è emblematica di questa difficoltà ricettiva: da corpo alieno all’interno della nostra tradizione in pochi decenni ne è diventato il nume tutelare. 


Nella messe di elaborati saggistici sul poeta nato ad Alessandria d’Egitto segnaliamo questo “Lo sguardo di Ungaretti – Visività ed influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana”, di Carla Boroni pubblicato da Gammarò Edizioni che nelle sue quasi 200 pagine di lettura vuole offrire al lettore un’angolazione inedita di riflessione. Laureata in Pedagogia all'Università Cattolica di Brescia e in Lettere all'Università “La Sapienza” di Roma, Carla Boroni è professore associato di Letteratura Italiana Contemporanea della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica di Brescia e Milano e nel corso di tutta la sua carriera si è occupata a più riprese dell’autore de Soldati. Così, consapevole di dover fornire un qualche tipo di originalità a questo suo ultimo lavoro l’autrice argomenta lucidamente nell’introduzione che “In questo libro si cerca di non limitare troppo il campo, di non confinare il dato poetico ed esistenziale all’esclusivo punto di vista letterario. Un approccio esclusivamente letterario rischierebbe infatti di lasciare sullo sfondo proprio l’aspetto più caratteristico del rapporto di Ungaretti con le arti figurative. Rischierebbe di non cogliere tutti i diversi punti di vista che concorrono a fare di tale rapporto un elemento essenziale per il formarsi della poesia ungarettiana, una poesia che si è sempre chiaramente proposta come poesia che nasce dalla vita, dal dato esistenziale”. Ecco allora che Boroni ricorda che le rinomate frequentazioni parigine con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Amedeo Modigliani e Georges Braque non furono solo importanti dal punto di vista biografico ma fornirono ad Ungaretti un solido ed eterogeneo humus culturale sul quale innestare la propria poesia. 


Il problema principale però de “Lo sguardo di Ungaretti” è che a quest’interessante premessa l’autrice non faccia seguire le dovute conseguenze. Il libro infatti soltanto in alcune parti del primo capitolo prova a tracciare qualche parallelismo estetico con la lunga sfilza di pittori amati ed omaggiati in alcuni suoi scritti (variamente raccolti in “Vita d'un uomo. Saggi e interventi”), per poi tornare nelle acque più sicure della classica esegesi letteraria. Manca insomma quell’approccio comparativo e figurativo che sarebbe stato lecito aspettarsi tra rimandi di dipinti famosi a cui ascrivere alcuni passi usati da Ungaretti nel suo forte linguaggio “fisico” e la stessa esperienza da pittore del poeta, recentemente omaggiata in alcune mostre e oramai con una solida bibliografia alle spalle. Il libro di Boroni va insomma per un’altra strada rispetto a quella dichiarata, il che non è un male perché la competenza dello ricercatrice bresciana è indiscutibile. L’analisi particolareggiata del percorso che va dal fluire mitopoietico della lirica I fiumi, si snoda attraverso alcune composizioni dell’imprescindibile raccolta Il porto sepolto per poi terminare nel più pacificato Sentimento del tempo è compiuto attraverso una ricca scrittura che unisce continuamente ricorsi stilistici, stralci dell’autocommento dello stesso Ungaretti e un dialogo costruttivo verso i più importanti studi critici (naturalmente Leone Piccioni e Carlo Ossola). Le continue citazioni dei componimenti ungarettiani ed in alcuni casi perfino il ritorno agli stessi versi dopo il completamento di un discorso teorico fatto con limpidezza pedagogica rendono “Lo sguardo di Ungaretti” un libro apprezzabile sia dagli studiosi che da chiunque voglia tornare semplicemente ad “illuminarsi d’immenso”.

Laureata in Pedagogia all’Università Cattolica di Brescia e in lettere all’Università “La sapienza” di Roma, Carla Boroni è professore associato alla cattedra di Letteratura italiana contemporanea
(Scienze della formazione) presso l’Università Cattolica di Brescia. Ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e diversi libri tra i quali: Dall’Innocenza alla Memoria: Giuseppe Ungaretti (1992); Tra Sette e Ottocento. Momenti di critica e letteratura bresciana (1999) e Giuseppe Ungaretti. Amore e Morte, un percorso lirico (1999). Ha curato la raccolta Le parole legate al dito, i racconti di Enrico Morovich, in due volumi pubblicati nel 2009 (anni 1949-1970) e 2010 (anni 1971-1978). sul rapporto tra sport e letteratura ha scritto Lo sport nella letteratura del novecento. Il mondo dello sport raccontato dagli scrittori (2005) e Gli scrittori italiani e lo sport (2012). studiosa di fiabe e favole ha prodotto numerosi volumi fra cui Favoleggiando (2006), Fiabe & favole golose (2009), I mestieri delle favole (2010). Per Vannini editore ha diretto la collana “Didattica e letteratura”. Negli ultimi anni ha pubblicato Paralipomeni (2016), Appunti per il mio novecento. Figure, percorsi e temi della lettera- tura italiana (2016) e Scuola e letteratura (2017). Per la casa editrice Gammarò, nella collana “Maestri e altre storie” diretta con francesco De Nicola, sono usciti Letteratura fra i banchi di scuola (2018); Figure bresciane nella letteratura tra Otto e Novecento (2019) e Le nostre Favole (2020).


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Reminiscenza scolastica di quasi tutti noi č la domanda studentesca sul valore artistico della poesia ermetica. Di fronte ad un frammento di verso libero che spesso non possiede nemmeno il lavorio metrico di un settenario o un endecasillabo, i versi principe della nostra poesia...

di Mario Turco
Reminiscenza scolastica di quasi tutti noi è la domanda studentesca sul valore artistico della poesia ermetica. Di fronte ad un frammento di verso libero che spesso non possiede nemmeno il lavorio metrico di un settenario o un endecasillabo, i versi principe della nostra poesia, il dileggiamento ironico compiuto attraverso la declamazione di alate poesie di poche righe è sempre stata attuata non solo dagli alunni di qualunque scuola d’ordine e grado ma anche da intellettuali come Benedetto Croce, ostinatamente contrario a queste nuove forme linguistiche. La parabola critica della ricezione di Giuseppe Ungaretti da parte del circuito accademico è emblematica di questa difficoltà ricettiva: da corpo alieno all’interno della nostra tradizione in pochi decenni ne è diventato il nume tutelare. 


Nella messe di elaborati saggistici sul poeta nato ad Alessandria d’Egitto segnaliamo questo “Lo sguardo di Ungaretti – Visività ed influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana”, di Carla Boroni pubblicato da Gammarò Edizioni che nelle sue quasi 200 pagine di lettura vuole offrire al lettore un’angolazione inedita di riflessione. Laureata in Pedagogia all'Università Cattolica di Brescia e in Lettere all'Università “La Sapienza” di Roma, Carla Boroni è professore associato di Letteratura Italiana Contemporanea della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica di Brescia e Milano e nel corso di tutta la sua carriera si è occupata a più riprese dell’autore de Soldati. Così, consapevole di dover fornire un qualche tipo di originalità a questo suo ultimo lavoro l’autrice argomenta lucidamente nell’introduzione che “In questo libro si cerca di non limitare troppo il campo, di non confinare il dato poetico ed esistenziale all’esclusivo punto di vista letterario. Un approccio esclusivamente letterario rischierebbe infatti di lasciare sullo sfondo proprio l’aspetto più caratteristico del rapporto di Ungaretti con le arti figurative. Rischierebbe di non cogliere tutti i diversi punti di vista che concorrono a fare di tale rapporto un elemento essenziale per il formarsi della poesia ungarettiana, una poesia che si è sempre chiaramente proposta come poesia che nasce dalla vita, dal dato esistenziale”. Ecco allora che Boroni ricorda che le rinomate frequentazioni parigine con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Amedeo Modigliani e Georges Braque non furono solo importanti dal punto di vista biografico ma fornirono ad Ungaretti un solido ed eterogeneo humus culturale sul quale innestare la propria poesia. 


Il problema principale però de “Lo sguardo di Ungaretti” è che a quest’interessante premessa l’autrice non faccia seguire le dovute conseguenze. Il libro infatti soltanto in alcune parti del primo capitolo prova a tracciare qualche parallelismo estetico con la lunga sfilza di pittori amati ed omaggiati in alcuni suoi scritti (variamente raccolti in “Vita d'un uomo. Saggi e interventi”), per poi tornare nelle acque più sicure della classica esegesi letteraria. Manca insomma quell’approccio comparativo e figurativo che sarebbe stato lecito aspettarsi tra rimandi di dipinti famosi a cui ascrivere alcuni passi usati da Ungaretti nel suo forte linguaggio “fisico” e la stessa esperienza da pittore del poeta, recentemente omaggiata in alcune mostre e oramai con una solida bibliografia alle spalle. Il libro di Boroni va insomma per un’altra strada rispetto a quella dichiarata, il che non è un male perché la competenza dello ricercatrice bresciana è indiscutibile. L’analisi particolareggiata del percorso che va dal fluire mitopoietico della lirica I fiumi, si snoda attraverso alcune composizioni dell’imprescindibile raccolta Il porto sepolto per poi terminare nel più pacificato Sentimento del tempo è compiuto attraverso una ricca scrittura che unisce continuamente ricorsi stilistici, stralci dell’autocommento dello stesso Ungaretti e un dialogo costruttivo verso i più importanti studi critici (naturalmente Leone Piccioni e Carlo Ossola). Le continue citazioni dei componimenti ungarettiani ed in alcuni casi perfino il ritorno agli stessi versi dopo il completamento di un discorso teorico fatto con limpidezza pedagogica rendono “Lo sguardo di Ungaretti” un libro apprezzabile sia dagli studiosi che da chiunque voglia tornare semplicemente ad “illuminarsi d’immenso”.

Laureata in Pedagogia all’Università Cattolica di Brescia e in lettere all’Università “La sapienza” di Roma, Carla Boroni è professore associato alla cattedra di Letteratura italiana contemporanea
(Scienze della formazione) presso l’Università Cattolica di Brescia. Ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e diversi libri tra i quali: Dall’Innocenza alla Memoria: Giuseppe Ungaretti (1992); Tra Sette e Ottocento. Momenti di critica e letteratura bresciana (1999) e Giuseppe Ungaretti. Amore e Morte, un percorso lirico (1999). Ha curato la raccolta Le parole legate al dito, i racconti di Enrico Morovich, in due volumi pubblicati nel 2009 (anni 1949-1970) e 2010 (anni 1971-1978). sul rapporto tra sport e letteratura ha scritto Lo sport nella letteratura del novecento. Il mondo dello sport raccontato dagli scrittori (2005) e Gli scrittori italiani e lo sport (2012). studiosa di fiabe e favole ha prodotto numerosi volumi fra cui Favoleggiando (2006), Fiabe & favole golose (2009), I mestieri delle favole (2010). Per Vannini editore ha diretto la collana “Didattica e letteratura”. Negli ultimi anni ha pubblicato Paralipomeni (2016), Appunti per il mio novecento. Figure, percorsi e temi della lettera- tura italiana (2016) e Scuola e letteratura (2017). Per la casa editrice Gammarò, nella collana “Maestri e altre storie” diretta con francesco De Nicola, sono usciti Letteratura fra i banchi di scuola (2018); Figure bresciane nella letteratura tra Otto e Novecento (2019) e Le nostre Favole (2020).


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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