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In libreria il “Diario Diplomatico” di Damir Grubiša
AISE di giovedě 23 giugno 2022
ROMA\ aise\ - Č da poche settimane nelle librerie italiane per Oltre edizioni il “Diario Diplomatico. Un fiumano a Roma” (pp.300, euro 21) di Damir Grubiša. Dal 2012 al 2017 ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubiša č professore universitario

di (aise)
ROMA\ aise\ - È da poche settimane nelle librerie italiane per Oltre edizioni il “Diario Diplomatico. Un fiumano a Roma” (pp.300, euro 21) di Damir Grubiša.
Dal 2012 al 2017 ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubiša è professore universitario con molte pubblicazioni alle spalle, studioso del Machiavelli, del quale ha tradotto in croato e commentato le opere scelte, con pregresse esperienze politiche (è stato, tra l’altro, dal 1986 al 1990 direttore del Centro di Cultura e Informazione della ex Jugoslavia a New York, capo di gabinetto del ministero degli esteri sempre nella ex Jugoslavia e altrettanto lo è stato presso il ministero degli esteri della Croazia, più altri incarichi di responsabilità). Figlio di madre italiana e padre croato, per le sue origini fiumane ha avuto la ventura di essere, al seguito della famiglia materna, esule giuliano-dalmata in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, per poi tornare a Fiume, dopo la dura esperienza del campo profughi e la liberazione del padre, condannato dal regime di Tito ai lavori forzati, dopo l’accertamento di alcuni fatti relativi alla fuga in Italia di un gruppo di dipendenti del Silurificio del quale erano dipendenti. Esperienze, queste, che gli hanno permesso di capire, più di altri, sulla propria pelle, le ragioni degli altri, e gli hanno conferito la tendenza a una rara obiettività nella visione politica e culturale, non senza diritto di critica e di opinioni, che ben risaltano in questo “Diario diplomatico” che ha il pregio di dire pane al pane e vino al vino, senza troppi giri di parole. Non a caso, come scrive Damir Grubiša nella premessa, confessando che aveva l’idea di scrivere e pubblicare questo libro già durante il suo incarico di ambasciatore a Roma, ma “ho ricevuto, al riguardo, l’esplicita proibizione dei miei superiori al Ministero per gli Affari Esteri e europei della Croazia”.
Damir Grubiša è nato a Fiume-Rijeka nel 1946, da madre fiumana-italiana e padre di sangue croato e sloveno. Politologo, ha insegnato scienze politiche negli atenei di Fiume e Zagabria concludendo la carriera universitaria come professore ordinario. Attualmente insegna, come professore aggiunto, all'American University di Roma. Arruolato nella diplomazia, prima jugoslava e poi in quella croata, ha fatto il direttore del Centro jugoslavo di cultura e informazione a New York ed è stato consigliere per i media della Delegazione jugoslava presso le Nazioni Unite, capo di Gabinetto del Ministro degli esteri jugoslavo e poi croato e, infine, ambasciatore croato in Italia, a Malta, San Marino e presso la FAO.
Ha curato le Opere scelte di Niccolò Machiavelli in croato (1985) e tradotto il suo Principe, ha scritto saggi sul pensiero politico del Rinascimento (su Tommaso More e Erasmo di Rotterdam) e sulla politica italiana, tra i quali spiccano i volumi Il pensiero politico del Rinascimento italiano (2000) e Berlusconismo. Dossier politico italiano (2007). Traduttore dall'inglese e dall'italiano, tra l'altro di Umberto Eco, Giuliano Procacci, Maurizio Viroli, Govanni Stelli ecc.


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AISE - giovedě 23 giugno 2022
ROMA\ aise\ - Č da poche settimane nelle librerie italiane per Oltre edizioni il “Diario Diplomatico. Un fiumano a Roma” (pp.300, euro 21) di Damir Grubiša. Dal 2012 al 2017 ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubiša č professore universitario

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ROMA\ aise\ - È da poche settimane nelle librerie italiane per Oltre edizioni il “Diario Diplomatico. Un fiumano a Roma” (pp.300, euro 21) di Damir Grubiša.
Dal 2012 al 2017 ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, Damir Grubiša è professore universitario con molte pubblicazioni alle spalle, studioso del Machiavelli, del quale ha tradotto in croato e commentato le opere scelte, con pregresse esperienze politiche (è stato, tra l’altro, dal 1986 al 1990 direttore del Centro di Cultura e Informazione della ex Jugoslavia a New York, capo di gabinetto del ministero degli esteri sempre nella ex Jugoslavia e altrettanto lo è stato presso il ministero degli esteri della Croazia, più altri incarichi di responsabilità). Figlio di madre italiana e padre croato, per le sue origini fiumane ha avuto la ventura di essere, al seguito della famiglia materna, esule giuliano-dalmata in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, per poi tornare a Fiume, dopo la dura esperienza del campo profughi e la liberazione del padre, condannato dal regime di Tito ai lavori forzati, dopo l’accertamento di alcuni fatti relativi alla fuga in Italia di un gruppo di dipendenti del Silurificio del quale erano dipendenti. Esperienze, queste, che gli hanno permesso di capire, più di altri, sulla propria pelle, le ragioni degli altri, e gli hanno conferito la tendenza a una rara obiettività nella visione politica e culturale, non senza diritto di critica e di opinioni, che ben risaltano in questo “Diario diplomatico” che ha il pregio di dire pane al pane e vino al vino, senza troppi giri di parole. Non a caso, come scrive Damir Grubiša nella premessa, confessando che aveva l’idea di scrivere e pubblicare questo libro già durante il suo incarico di ambasciatore a Roma, ma “ho ricevuto, al riguardo, l’esplicita proibizione dei miei superiori al Ministero per gli Affari Esteri e europei della Croazia”.
Damir Grubiša è nato a Fiume-Rijeka nel 1946, da madre fiumana-italiana e padre di sangue croato e sloveno. Politologo, ha insegnato scienze politiche negli atenei di Fiume e Zagabria concludendo la carriera universitaria come professore ordinario. Attualmente insegna, come professore aggiunto, all'American University di Roma. Arruolato nella diplomazia, prima jugoslava e poi in quella croata, ha fatto il direttore del Centro jugoslavo di cultura e informazione a New York ed è stato consigliere per i media della Delegazione jugoslava presso le Nazioni Unite, capo di Gabinetto del Ministro degli esteri jugoslavo e poi croato e, infine, ambasciatore croato in Italia, a Malta, San Marino e presso la FAO.
Ha curato le Opere scelte di Niccolò Machiavelli in croato (1985) e tradotto il suo Principe, ha scritto saggi sul pensiero politico del Rinascimento (su Tommaso More e Erasmo di Rotterdam) e sulla politica italiana, tra i quali spiccano i volumi Il pensiero politico del Rinascimento italiano (2000) e Berlusconismo. Dossier politico italiano (2007). Traduttore dall'inglese e dall'italiano, tra l'altro di Umberto Eco, Giuliano Procacci, Maurizio Viroli, Govanni Stelli ecc.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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