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«Lo sguardo di Ungaretti»
Civiltà bresciana di venerdì 12 agosto 2022
Le intelligenze più vive, più impegnate civilmente, non si limitano a coltivare discipline e interessi privati ma si mettono in gioco, concorrono alla vita culturale della città, non esitano a entrare nel vivo del dibattito (e delle polemiche, quando occorre). Carla Boroni è l'esempio vivente...

di Massimo Tedeschi
Le intelligenze più vive, più impegnate civilmente, non si limitano a coltivare discipline e interessi privati ma si mettono in gioco, concorrono alla vita culturale della città, non esitano a entrare nel vivo del dibattito (e delle polemiche, quando occorre). Carla Boroni è l'esempio vivente di questo atteggiamento. Docente alla Cattolica, è fresca di nomina come presidente del Comitato scientifico della Fondazione Civiltà Bresciana, incarico nel quale ha portato la sua passione, la sua competenza, la sua esperienza nell'organizzazione di eventi culturali (dalla presidenza del Ctb al Festival del giallo). Tutto questo si innesta su una messe di studi di Letteratura italiana contemporanea, la materie che Carla Boroni insegna all'Università Cattolica di Brescia. Il piu recente frutto della produzio e scientifica di Carla Boroni è il volume Lo sguardo di Ungaretti.
Quella di Ungaretti è una poesia fortemente visiva. Lui così preciso, così chirurgico nel descrivere l'animo contemporaneo, i suoi smarrimenti e le sue accensioni, le sue angosce e le sue illuminazioni, non ci ha lasciato poesie intimiste, umbratili, sentimentali. Lo "sfumato" non gli appartiene, l'indefinito neppure. La sua è una poesia che procede per immagini, spesso molto concrete: il fiume, l'albero, il sasso, la luna, le foglie. In questo il poeta è debitore - fra l'altro - delle arti figurative per le suggestioni che gli offrono, le immagini che gli regalano. Il rapporto fra Ungaretti e la pittura era stato scandagliato in un convegno del 1979, ma viene affrontato da Boroni con nuovi accenti e nuova sensibilità. li viaggio della studiosa bresciana attorno al pianeta-Ungaretti data ormai un trentennio, a partire dal suo "Dall'Innocenza alla memoria: Giuseppe Ungaretti" che è del 1992.
Per Ungaretti la poesia è arte totale: "Poesia/è il mondo l'umanità/la propria vita/ fioriti dalla parola". Questa arte totale si alimenta anche con l'incontro con altre arti, a cominciare da quelle visive. Il poeta 24enne sbarca a Brindisi nel 1912. Il suo è uno sguardo vergine, alle spalle ha il deserto e una città caotica, Alessandria d'Egitto. A Firenze si innamora di Masaccio, a Roma di Bernini e Borromini. Ricorda Carla Boroni: "Partendo dalla luce accecante del deserto, attraversando la luce intrisa di grigi del periodo parigino e quella mistico- cristallina del periodo di guerra, Ungaretti approda alla luce barocca che 'il vecchio Travertino e la torbida acqua del Tevere ingoiavano negli estivi tramonti di Roma'".
A Parigi il poeta frequenta Picasso, Modigliani, De Chirico, Savinio, Severini oltre che Apollinaire; in Italia intesse dialoghi con Carrà, Soffici, Rosai, Morandi, Viani, Martini. La sua penna di critico è talmente raffinata che la Rizzoli, per i Grandi Classici dell'arte, gli affida il saggio su Vermeer, l'artista della luce da lui prediletto. Muovendo da queste premesse Carla Boroni analizza, nei capitoli centrali del libro, tre poesie-cardine di Ugaretti: I fiumi (del 1916, in "Porto sepolto"), Girovago (1918, in "Allegria di naufragi") e Mio fiume anche tu (1947, "Il dolore"). Nella prima, scritta in piena guerra e pervasa di sentimento religioso, il poeta si riconosce pascalianamente "docile fibra dell'universo". Nella seconda il nomadismo è visto come paradigma della condizione umana. Nella terza, scritta dopo una nuova guerra, il bilancio esistenziale si apre all'approdo religioso:
"È il culmine di un itinerario cominciato 'col canto guerriero sulle rive dell'Isonzo' e terminato, ventisette anni dopo, 'col canto religioso sulle rive del Tevere'". Boroni, in serrato dialogo con i grandi interpreti ungarettiani, da Folco Portinari a Leone Piccioni, conduce su queste liriche analisi stilistiche e storico-critiche in cui è maestra. Ne esce un percorso catartico, personale e generazionale, un itinerario dal buio alla luce al termine del quale il poeta può rivelare: "Vedo ora chiaro nella notte triste". Solo il pennello di Magritte saprebbe dipingere un'immagine simile.


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Civiltà bresciana - venerdì 12 agosto 2022
Le intelligenze più vive, più impegnate civilmente, non si limitano a coltivare discipline e interessi privati ma si mettono in gioco, concorrono alla vita culturale della città, non esitano a entrare nel vivo del dibattito (e delle polemiche, quando occorre). Carla Boroni è l'esempio vivente...

di Massimo Tedeschi
Le intelligenze più vive, più impegnate civilmente, non si limitano a coltivare discipline e interessi privati ma si mettono in gioco, concorrono alla vita culturale della città, non esitano a entrare nel vivo del dibattito (e delle polemiche, quando occorre). Carla Boroni è l'esempio vivente di questo atteggiamento. Docente alla Cattolica, è fresca di nomina come presidente del Comitato scientifico della Fondazione Civiltà Bresciana, incarico nel quale ha portato la sua passione, la sua competenza, la sua esperienza nell'organizzazione di eventi culturali (dalla presidenza del Ctb al Festival del giallo). Tutto questo si innesta su una messe di studi di Letteratura italiana contemporanea, la materie che Carla Boroni insegna all'Università Cattolica di Brescia. Il piu recente frutto della produzio e scientifica di Carla Boroni è il volume Lo sguardo di Ungaretti.
Quella di Ungaretti è una poesia fortemente visiva. Lui così preciso, così chirurgico nel descrivere l'animo contemporaneo, i suoi smarrimenti e le sue accensioni, le sue angosce e le sue illuminazioni, non ci ha lasciato poesie intimiste, umbratili, sentimentali. Lo "sfumato" non gli appartiene, l'indefinito neppure. La sua è una poesia che procede per immagini, spesso molto concrete: il fiume, l'albero, il sasso, la luna, le foglie. In questo il poeta è debitore - fra l'altro - delle arti figurative per le suggestioni che gli offrono, le immagini che gli regalano. Il rapporto fra Ungaretti e la pittura era stato scandagliato in un convegno del 1979, ma viene affrontato da Boroni con nuovi accenti e nuova sensibilità. li viaggio della studiosa bresciana attorno al pianeta-Ungaretti data ormai un trentennio, a partire dal suo "Dall'Innocenza alla memoria: Giuseppe Ungaretti" che è del 1992.
Per Ungaretti la poesia è arte totale: "Poesia/è il mondo l'umanità/la propria vita/ fioriti dalla parola". Questa arte totale si alimenta anche con l'incontro con altre arti, a cominciare da quelle visive. Il poeta 24enne sbarca a Brindisi nel 1912. Il suo è uno sguardo vergine, alle spalle ha il deserto e una città caotica, Alessandria d'Egitto. A Firenze si innamora di Masaccio, a Roma di Bernini e Borromini. Ricorda Carla Boroni: "Partendo dalla luce accecante del deserto, attraversando la luce intrisa di grigi del periodo parigino e quella mistico- cristallina del periodo di guerra, Ungaretti approda alla luce barocca che 'il vecchio Travertino e la torbida acqua del Tevere ingoiavano negli estivi tramonti di Roma'".
A Parigi il poeta frequenta Picasso, Modigliani, De Chirico, Savinio, Severini oltre che Apollinaire; in Italia intesse dialoghi con Carrà, Soffici, Rosai, Morandi, Viani, Martini. La sua penna di critico è talmente raffinata che la Rizzoli, per i Grandi Classici dell'arte, gli affida il saggio su Vermeer, l'artista della luce da lui prediletto. Muovendo da queste premesse Carla Boroni analizza, nei capitoli centrali del libro, tre poesie-cardine di Ugaretti: I fiumi (del 1916, in "Porto sepolto"), Girovago (1918, in "Allegria di naufragi") e Mio fiume anche tu (1947, "Il dolore"). Nella prima, scritta in piena guerra e pervasa di sentimento religioso, il poeta si riconosce pascalianamente "docile fibra dell'universo". Nella seconda il nomadismo è visto come paradigma della condizione umana. Nella terza, scritta dopo una nuova guerra, il bilancio esistenziale si apre all'approdo religioso:
"È il culmine di un itinerario cominciato 'col canto guerriero sulle rive dell'Isonzo' e terminato, ventisette anni dopo, 'col canto religioso sulle rive del Tevere'". Boroni, in serrato dialogo con i grandi interpreti ungarettiani, da Folco Portinari a Leone Piccioni, conduce su queste liriche analisi stilistiche e storico-critiche in cui è maestra. Ne esce un percorso catartico, personale e generazionale, un itinerario dal buio alla luce al termine del quale il poeta può rivelare: "Vedo ora chiaro nella notte triste". Solo il pennello di Magritte saprebbe dipingere un'immagine simile.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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