#IOnonESISTO è un progetto di fotografia, esperienza sanitaria, clinica, racconti di vite e di persone che ha ha lo scopo di far conoscere i Disturbi Alimentari, che interessano un numero sempre maggiore di ragazzi e adolescenti, coinvolgendo l’intera sfera familiare. Un viaggio emotivo attraverso la sofferenza e il dolore di chi ne soffre in prima persona e di coloro che ne vengono inevitabilmente coinvolti. Un messaggio forte che, mediante l’immagine e il racconto, possa far comprendere e far riflettere sulle difficoltà, la paura, l’angoscia, l’impotenza, il senso di colpa, la sensazione di inadeguatezza di chi vive o di chi è indirettamente coinvolto in queste malattie.
Il progetto è nato dall’idea di Marco Rilli e Cinzia Fumagalli: un fotografo e una mamma. Con Marco e Cinzia hanno collaborato fattivamente Davide Comotti, fotografo e Maria Grazia Piazza per i testi. Tutto lo staff di Villa Miralago e di Ananke di Villa Miralago, assieme a familiari, pazienti e politici è stato poi coinvolto nella realizzazione. Questo volume raccoglie l’esperienza del progetto #IOnonESISTO, in un viaggio emotivo attraverso il dolore di chi ne soffre in prima persona e di tutti coloro che ne sono inevitabilmente coinvolti. Spiega Alberto Simone Pozzoli, pesidente ANANKE di Villa Miralago, la comunità più grande in Europa per la cura dei disturbi alimentari: “Per molti mesi, sono state fotografate e intervistate persone che gravitano attorno al mondo dei disturbi alimentari: pazienti, ex pazienti, genitori, familiari e partner, medici, operatori socio sanitari, psicologi, nutrizionisti, personale di servizio, infermieri, politici. Attraverso la fotografia e le testimonianze si è inteso comunicare un forte messaggio che aiuti a riflettere sulle difficoltà, le paure, le angosce, il senso d’impotenza e di colpa e la sensazione di inadeguatezza di coloro che vivono direttamente o indirettamente queste patologie. Ritengo sia molto importante divulgare e sostenere il progetto #IOnonESISTO: per frenare la diffusione di questo fenomeno occorre infatti diffonderne la conoscenza, affinché sia più semplice intercettare precocemente i sintomi che indicano il malessere legato ai disturbi dell’alimentazione”.
Il libro racconta la storia di queste persone e dei loro incidenti di percorso. “Non intendiamo dare risposte, ma al contrario speriamo di generare domande. Il lettore, leggendo le interviste e guardando negli occhi i soggetti, deve poter comprendere la trasversalità della malattia, che coinvolge tutti con le nostre vulnerabilità”. #IONONESISTO a febbraio del 2022, grazie al sostegno della Regione Lombardia, è diventato una mostra fotografica allestita a Milano a Palazzo. Ora la mostra, racchiusa in edizione completa in questo volume, sta compiendo un viaggio itinerante in tutto il territorio nazionale toccando in maniera capillare sia le grandi città sia i paesi di provincia.
Spiega Cinzia Fumagalli: “Ho vissuto il disturbo alimentare sulla pelle di mia figlia, mi sono sentita inadeguata e impotente di fronte a questo demone che si era impossessato della sua mente consumando il suo corpo e il suo desiderio di vivere. Quando entrambe abbiamo cominciato a rivedere la luce ho pensato che fosse necessario elaborare e trasformare tutto quel dolore in qualcosa che potesse essere utile agli altri, era fondamentale dare un senso. Questo progetto nasce dalla volontà di comprendere realmente cosa accade quando si naufraga nel disturbo alimentare e dal desiderio di far capire che non si tratta di un capriccio ma di una malattia che trascina sull’orlo del baratro chi ne soffre e tutti coloro che semplicemente la sfiorano. Da qui l’idea di raccogliere frammenti di anima di coloro che stanno combattendo questa difficile battaglia, ascoltare racconti di guarigione di chi è riuscito a vincerla, dei genitori che come me si sono sentiti inutili e disperati ed anche di tutti coloro che con la loro professionalità hanno preso per mano noi e i nostri figli laddove non siamo stati in grado di aiutarli. In questa dimensione era necessario entrare in punta di piedi, stabilire un rapporto empatico e non giudicante; il mio intento non era quello di fare interviste ma di ascoltare in modo accogliente le loro storie, i loro turbamenti, le loro fragilità, la loro umana imperfezione. Ho voluto capire dai professionisti quanto fosse difficile e cosa significasse accompagnare i nostri figli in questo percorso di sofferenza, non tanto dal punto di vista clinico ma da quello umano. Ho cercato in qualche modo di restituire, di dar voce all’uomo, alla donna e al genitore; a quella parte intima che raramente viene presa in considerazione proprio perché medici “coloro che devono guarire”, ho voluto ascoltare le loro emozioni”.leggi l'articolo integrale su TuttoscuolA.com
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