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Ritorno a Terra, un autore fuori dalle ‘mafie letterarie’
Il fatto quotidiano di venerdģ 2 settembre 2022
L'occhiello:
Pseudonimo di Giulio Tavernari, il giornalista e scrittore antifascista
Verrą prossimamente ripubblicato: č uscito “Alessandra”, vincitore del Campiello nel 1974



di Massimo Novelli
Da tempo i libri di Stefano Terra (Torino, 1917- Roma, 1986), al secolo Giulio Tavernari, non vengono ristampati. Sola eccezione, nel 2006, i romanzi La generazione che non perdona e Il ritorno del prigioniero, editi da un piccolo editore. A ribaltare la sorte del narratore e giornalista, apprezzato da Lawrence Durrell e che Michele Prisco giudicò come il “più europe o” dei nostri romanzieri, è lo scrittore Diego Zandel, che gli fu amico. Per Oltre Edizioni ritornerà in libreria Alessandra, del ’74, vincitore del Campiello; dovrebbero seguire altre opere. Terra aveva esordito a Il Cairo, nel 1942, quando per le edizioni di Giustizia e Libertà uscì La generazione che non perdona, storia di una cospirazione di alcuni giovani contro il regime fascista e contro la guerra nella Torino del 1939-40. Una delle poche opere narrative dichiaratamente antifasciste pubblicate, all’estero, prima della Liberazione. Nel 1946, quando La generazione che non perdona venne edito da Einaudi col titolo Rancore, il critico Geno Pampaloni sottolineò che, dopo i libri di Ignazio Silone, fu “il primo racconto che abbia tentato un giudizio diretto, di natura politico-sentimentale, sulla società italiana cresciuta sotto il fascismo”.
Anche per avere fatto i conti con il fascismo, fu emarginato. Era troppo refrattario alle ideologie, sospettato di trotskismo, lontano dalle “ma - fie letterarie”, come le chiamava. Per molti, invece, era meglio tacere le compromissioni, le viltà, le collaborazioni con il regime. Giornalista (Politecnico, Ansa, Rai, per anni a La Stampa), narratore di razza (La fortezza del Kalimegdan, Alessandra, Il Principe di Capodistria, Le Porte di Ferro), e poeta (L’avventuriero timido), si aggiudicò, oltre al Campiello, un Premio Viareggio.
Raccontò di sé: “Mobilitato per l’Albania, riuscii nel ’41 a raggiungere gli antifascisti al Cairo. Nel ’42 New Leader pubblicava Morte di Italiani, i miei primi racconti, e poi usciva il mio romanzo La generazione che non perdona, mentre Rommel si attestava a El Alamein e nel cortile dell ’Ambasciata britannica bruciavano i cifrari (...). Qualche stagione a Milano con l’Italia Libera di piazza Cavour, il Politecnico di viale Tunisia (...). Ma il conformismo stalinista e i professori che fanno fuori ‘Giustizia e Libertà’ dei fratelli Rosselli mi tengono lontano dal giro. Con la liquidazione del Politecnico di Vittorini decido di espatriare”.


leggi l'articolo integrale su Il fatto quotidiano
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di Massimo Novelli
Da tempo i libri di Stefano Terra (Torino, 1917- Roma, 1986), al secolo Giulio Tavernari, non vengono ristampati. Sola eccezione, nel 2006, i romanzi La generazione che non perdona e Il ritorno del prigioniero, editi da un piccolo editore. A ribaltare la sorte del narratore e giornalista, apprezzato da Lawrence Durrell e che Michele Prisco giudicò come il “più europe o” dei nostri romanzieri, è lo scrittore Diego Zandel, che gli fu amico. Per Oltre Edizioni ritornerà in libreria Alessandra, del ’74, vincitore del Campiello; dovrebbero seguire altre opere. Terra aveva esordito a Il Cairo, nel 1942, quando per le edizioni di Giustizia e Libertà uscì La generazione che non perdona, storia di una cospirazione di alcuni giovani contro il regime fascista e contro la guerra nella Torino del 1939-40. Una delle poche opere narrative dichiaratamente antifasciste pubblicate, all’estero, prima della Liberazione. Nel 1946, quando La generazione che non perdona venne edito da Einaudi col titolo Rancore, il critico Geno Pampaloni sottolineò che, dopo i libri di Ignazio Silone, fu “il primo racconto che abbia tentato un giudizio diretto, di natura politico-sentimentale, sulla società italiana cresciuta sotto il fascismo”.
Anche per avere fatto i conti con il fascismo, fu emarginato. Era troppo refrattario alle ideologie, sospettato di trotskismo, lontano dalle “ma - fie letterarie”, come le chiamava. Per molti, invece, era meglio tacere le compromissioni, le viltà, le collaborazioni con il regime. Giornalista (Politecnico, Ansa, Rai, per anni a La Stampa), narratore di razza (La fortezza del Kalimegdan, Alessandra, Il Principe di Capodistria, Le Porte di Ferro), e poeta (L’avventuriero timido), si aggiudicò, oltre al Campiello, un Premio Viareggio.
Raccontò di sé: “Mobilitato per l’Albania, riuscii nel ’41 a raggiungere gli antifascisti al Cairo. Nel ’42 New Leader pubblicava Morte di Italiani, i miei primi racconti, e poi usciva il mio romanzo La generazione che non perdona, mentre Rommel si attestava a El Alamein e nel cortile dell ’Ambasciata britannica bruciavano i cifrari (...). Qualche stagione a Milano con l’Italia Libera di piazza Cavour, il Politecnico di viale Tunisia (...). Ma il conformismo stalinista e i professori che fanno fuori ‘Giustizia e Libertà’ dei fratelli Rosselli mi tengono lontano dal giro. Con la liquidazione del Politecnico di Vittorini decido di espatriare”.


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