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«Viaggio di ritorno - Firenze si racconta» di Ilaria Guidantoni
INFIRENZEWEB.IT di sabato 12 dicembre 2015


Viaggio di ritorno Firenze si racconta di e con Ilaria Guidantoni
Firenze, sabato 12 dicembre 2015 ore 16.30
Hotel Golden Tower Piazza degli Strozzi 11 r
Introduce il giornalista Maurizio Filippini

Firenze, da cuore del Rinascimento a città chiusa su se stessa, con lo sguardo rivolto al passato, alla gloria nascosta nei musei e nei palazzi, oggi abitata da turisti più che da cittadini, nutrita da una dialettica talora esacerbata... e la voglia di tornare ad essere capitale, chiasmo di incontri di genti e culture.
Ce la racconta una scrittrice nata a Firenze e "strappata" troppo presto alla sua città. Il suo viaggio di ritorno, dopo essersi "persa" nel Mediterraneo.

La mia Firenze Così Ilaria Guiodantoni ci presenta il suo volume:
Questo libro è un viaggio sulla mappa della città di oggi e di ieri, attraverso una serie di istantanee scattate in un percorso singolare, individuando, di volta in volta, un indirizzo, un monumento, un luogo da dove partire per fare una sosta lungo il percorso. A ogni nome e, in generale, indirizzo corrisponde una porta che si apre su un racconto, per un’emozione, una suggestione, un’associazione di idee o per un fatto realmente accaduto in quel dato luogo. L’intento è di restituire la città nel vissuto emozionale, soprattutto legato al raccontare e alla scoperta del valore imperdibile della tradizione orale, dell’incontro tra le genti. La voce è d’altronde l’espressione umana che unisce la parte più spirituale e carnale ad un tempo e svela chi siamo, come il singolare accento che connota la nostra origine e, quando manca l’inflessione locale, porta in emersione una perfezione un po’ fredda, una professionalizzazione del nostro abitare il mondo.
Firenze è la mia origine, la culla nella quale sono stata coccolata, i miei primi ricordi nonché l’imprinting all’apprendimento; e ancora, i primi passi verso la curiosità, la smania di conoscenza che per chi viene dal cuore del Rinascimento non può essere secondaria. Firenze è al contempo il pungolo di una città troppo stretta, sempre con lo sguardo rivolto al passato, alla gloria cristallizzata nei musei e nei suoi palazzi, oggi un po’ imbastardita e impoverita, abitata da turisti più che da cittadini, nutrita da una dialettica sconnessa tra bottegai, una sinistra dalla cultura un po’ polverosa e intirizzita nel passato e una borghesia seduta sulle glorie che furono, chiusa, quasi arricciata su se stessa. I fiorentini che tutti conoscono nel mondo, quelli che hanno reso illustre la patria – perché Firenze non è solo una città, è un luogo dell’anima, un continente culturale – hanno smesso di viaggiare e sono troppo innamorati di loro stessi e del loro piccolo mondo antico, da aver perso quella vitalità che nasce dalla contaminazione con quello che sta fuori, seppur meno bello.
Il mio è un viaggio di ritorno, alla città alla quale mi sono sentita “strappata” troppo presto e che mi ha segnata nella malinconia come un sentimento dell’inquietudine e quindi dell’erranza del vivere. Dopo essermi “persa” nel Mediterraneo vi torno per riannodare i fili di un mosaico le cui tessere sono andate alla deriva. Sono tornata per ripartire ma, sulle orme di Caterina de’ Medici, per raccontare e portare in giro le preziosità della mia culla.
Il mio percorso in queste pagine è legato a un filo conduttore che si snoda nel tempo e nello spazio lungo un secolo e tre generazioni, dal 1913, anno della nascita dello scrittore Vasco Pratolini e, a pochi giorni di distanza, di una bambina, Milena, mia nonna materna, all’origine di tante storie del libro, fino al 2013 e agli albori di una nuova stagione fiorentina, quella aperta con la squadra politica dei toscani, dai toni pop che in ogni caso stanno rompendo quel guscio provinciale, dal quale da troppo tempo la città si era lasciata avvolgere.
Firenze nel 2014 sembra infatti essere tornata in qualche modo la capitale d’Italia, almeno politica; mentre Roma è in preda alla deriva, sfilacciata dall’erosione morale del tempo.
Il 2015 è l’anno dei festeggiamenti dei 150 anni da Firenze capitale. La storia vuole, infatti, che la sera del 3 febbraio 1865 re Vittorio Emanuele II, in una città illuminata a giorno e gremita, con una folla di senatori, deputati, autorità civili, militari e comuni cittadini, facesse il suo ingresso a Firenze, appena proclamata nuova capitale del giovanissimo Regno d'Italia. La città ebbe questo ruolo per soli cinque anni, sino al 1870. Il protocollo del 150° anniversario di Firenze capitale ha previsto l'apertura della commemorazione nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio – detto così per distinguerlo dall’allora nuova residenza dei Medici, Palazzo Pitti – lo stesso giorno del giuramento del neoeletto presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Sullo sfondo di questo libro, racconti, episodi, qualche volta più inclini alla cronaca giornalistica, che seguono anche le vicende di una famiglia – la mia, per tre, quasi quattro generazioni – che potrebbero però appartenere a cognomi diversi.
Alcune pagine sono ispirate a quelle che mia nonna mi leggeva, tratte dal quotidiano locale La Nazione e firmate da Luigi Maria Personè, maestro del bello scrivere, dal gusto ironico, raccoglitore di storielle, aneddoti, episodi; curioso autentico della vita e della gente, esperto di teatro, costume e letteratura.
Su tutte le pagine, come sulla città e sui fiorentini regna sovrana un’idea platonica che ha nome armonia, un misto di eleganza, raffinatezza, gusto del vivere che è difficile da descrivere. Come disse una donna estrosa, di fine cultura e ingegno, l’antiquaria milanese Adriana Levi a mia madre, titolare del negozio “Il Cenacolo”, molti anni fa, chi ha i propri natali a Firenze ha il senso del bello innato e non ne può fare a meno.
Gli resta per sempre cucita addosso un’eredità ricca quanto impegnativa.

Nicoletta Curradi [leggi il testo originale su inFirenzeweb.it]


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Viaggio di ritorno Firenze si racconta di e con Ilaria Guidantoni
Firenze, sabato 12 dicembre 2015 ore 16.30
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Introduce il giornalista Maurizio Filippini

Firenze, da cuore del Rinascimento a città chiusa su se stessa, con lo sguardo rivolto al passato, alla gloria nascosta nei musei e nei palazzi, oggi abitata da turisti più che da cittadini, nutrita da una dialettica talora esacerbata... e la voglia di tornare ad essere capitale, chiasmo di incontri di genti e culture.
Ce la racconta una scrittrice nata a Firenze e "strappata" troppo presto alla sua città. Il suo viaggio di ritorno, dopo essersi "persa" nel Mediterraneo.

La mia Firenze Così Ilaria Guiodantoni ci presenta il suo volume:
Questo libro è un viaggio sulla mappa della città di oggi e di ieri, attraverso una serie di istantanee scattate in un percorso singolare, individuando, di volta in volta, un indirizzo, un monumento, un luogo da dove partire per fare una sosta lungo il percorso. A ogni nome e, in generale, indirizzo corrisponde una porta che si apre su un racconto, per un’emozione, una suggestione, un’associazione di idee o per un fatto realmente accaduto in quel dato luogo. L’intento è di restituire la città nel vissuto emozionale, soprattutto legato al raccontare e alla scoperta del valore imperdibile della tradizione orale, dell’incontro tra le genti. La voce è d’altronde l’espressione umana che unisce la parte più spirituale e carnale ad un tempo e svela chi siamo, come il singolare accento che connota la nostra origine e, quando manca l’inflessione locale, porta in emersione una perfezione un po’ fredda, una professionalizzazione del nostro abitare il mondo.
Firenze è la mia origine, la culla nella quale sono stata coccolata, i miei primi ricordi nonché l’imprinting all’apprendimento; e ancora, i primi passi verso la curiosità, la smania di conoscenza che per chi viene dal cuore del Rinascimento non può essere secondaria. Firenze è al contempo il pungolo di una città troppo stretta, sempre con lo sguardo rivolto al passato, alla gloria cristallizzata nei musei e nei suoi palazzi, oggi un po’ imbastardita e impoverita, abitata da turisti più che da cittadini, nutrita da una dialettica sconnessa tra bottegai, una sinistra dalla cultura un po’ polverosa e intirizzita nel passato e una borghesia seduta sulle glorie che furono, chiusa, quasi arricciata su se stessa. I fiorentini che tutti conoscono nel mondo, quelli che hanno reso illustre la patria – perché Firenze non è solo una città, è un luogo dell’anima, un continente culturale – hanno smesso di viaggiare e sono troppo innamorati di loro stessi e del loro piccolo mondo antico, da aver perso quella vitalità che nasce dalla contaminazione con quello che sta fuori, seppur meno bello.
Il mio è un viaggio di ritorno, alla città alla quale mi sono sentita “strappata” troppo presto e che mi ha segnata nella malinconia come un sentimento dell’inquietudine e quindi dell’erranza del vivere. Dopo essermi “persa” nel Mediterraneo vi torno per riannodare i fili di un mosaico le cui tessere sono andate alla deriva. Sono tornata per ripartire ma, sulle orme di Caterina de’ Medici, per raccontare e portare in giro le preziosità della mia culla.
Il mio percorso in queste pagine è legato a un filo conduttore che si snoda nel tempo e nello spazio lungo un secolo e tre generazioni, dal 1913, anno della nascita dello scrittore Vasco Pratolini e, a pochi giorni di distanza, di una bambina, Milena, mia nonna materna, all’origine di tante storie del libro, fino al 2013 e agli albori di una nuova stagione fiorentina, quella aperta con la squadra politica dei toscani, dai toni pop che in ogni caso stanno rompendo quel guscio provinciale, dal quale da troppo tempo la città si era lasciata avvolgere.
Firenze nel 2014 sembra infatti essere tornata in qualche modo la capitale d’Italia, almeno politica; mentre Roma è in preda alla deriva, sfilacciata dall’erosione morale del tempo.
Il 2015 è l’anno dei festeggiamenti dei 150 anni da Firenze capitale. La storia vuole, infatti, che la sera del 3 febbraio 1865 re Vittorio Emanuele II, in una città illuminata a giorno e gremita, con una folla di senatori, deputati, autorità civili, militari e comuni cittadini, facesse il suo ingresso a Firenze, appena proclamata nuova capitale del giovanissimo Regno d'Italia. La città ebbe questo ruolo per soli cinque anni, sino al 1870. Il protocollo del 150° anniversario di Firenze capitale ha previsto l'apertura della commemorazione nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio – detto così per distinguerlo dall’allora nuova residenza dei Medici, Palazzo Pitti – lo stesso giorno del giuramento del neoeletto presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Sullo sfondo di questo libro, racconti, episodi, qualche volta più inclini alla cronaca giornalistica, che seguono anche le vicende di una famiglia – la mia, per tre, quasi quattro generazioni – che potrebbero però appartenere a cognomi diversi.
Alcune pagine sono ispirate a quelle che mia nonna mi leggeva, tratte dal quotidiano locale La Nazione e firmate da Luigi Maria Personè, maestro del bello scrivere, dal gusto ironico, raccoglitore di storielle, aneddoti, episodi; curioso autentico della vita e della gente, esperto di teatro, costume e letteratura.
Su tutte le pagine, come sulla città e sui fiorentini regna sovrana un’idea platonica che ha nome armonia, un misto di eleganza, raffinatezza, gusto del vivere che è difficile da descrivere. Come disse una donna estrosa, di fine cultura e ingegno, l’antiquaria milanese Adriana Levi a mia madre, titolare del negozio “Il Cenacolo”, molti anni fa, chi ha i propri natali a Firenze ha il senso del bello innato e non ne può fare a meno.
Gli resta per sempre cucita addosso un’eredità ricca quanto impegnativa.

Nicoletta Curradi [leggi il testo originale su inFirenzeweb.it]


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02/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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