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La poesia di Giorgio Caproni per imparare litaliano e per conoscere lItalia
Giusy Capone Blog di domenica 30 ottobre 2022
Intervista all'autrice Maria Teresa Caprile

Professoressa Caprile, Lei si richiama costantemente alle parole ed alle rime “chiare” ed “elementari” di Giorgio Caproni. Qual è il suo scopo? A chi lancia il guanto di sfida?

Le rime “chiare” ed “elementari” formate da analoghe parole sono alla base della poesia di Caproni e proprio dell’ampio uso di “lessico domestico” – dunque di un vocabolario concreto, come espressione della vita quotidiana – parlo diffusamente in un mio recente libro (La poesia di Giorgio Caproni per imparare l’italiano e per conoscere l’Italia, Sestri Levante, Gammarò, 2022), dimostrando, con una sorta di “censimento” delle parole da lui più usate, che la sua poesia è ordita con un linguaggio “pratico” e non aulico, distanziante e inaccessibile. Egli resterà comprensibile anche quando adotterà una forma metrica spezzata, con versi che sembrano perdersi nella vastità della pagina bianca, per esprimere la sua angoscia di trovarsi alle prese con una realtà intimamente inconoscibile e che dunque, inevitabilmente, sfugge al linguaggio e tuttavia continuerà a scrivere, contraddicendo dunque la sua tentazione al silenzio, il rischio dell’afasia. Con una lingua “quotidiana” – senza per questo rinunciare alla creazione di estrosi e comunque ben comprensibili neologismi – Caproni, come tutti i grandi poeti (e come i grandi cuochi, che dagli ingredienti più semplici preparano i piatti più prelibati e sorprendenti), ottiene un linguaggio poetico, insomma, sa declinare in poesia anche la lingua di tutti i giorni. Però, ben più persuasive e “chiare” delle mie osservazioni, ci sono le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Caproni nel suo intervento all’Università di Urbino del 1° dicembre 1984, quando fu insignito della laurea ad honorem in Lettere e Filosofia:

«Linguaggio pratico e linguaggio poetico usano lo stesso codice di convenuti segnali […]. Ma mentre nel linguaggio pratico il segnale acustico o grafico della parola resta stretto alla pura e semplice informazione, nel linguaggio poetico la parola stessa conserva, sì, il proprio senso letterale, ma anche si carica di una serie pressoché infinita di significati armonici che ne forma sua peculiare forza espressiva. Farò un esempio molto grossolano. Mi trovo in una caserma, dove ancora i segnali vengono trasmessi da una cornetta. La cornetta squilla il segnale del rancio, e il marmittone che conosce il codice prende la gavetta e si allinea nel cortile per ricevere la “sbobba”. Ma supponiamo che un estroso ufficiale, invece dalla solita cornetta, faccia suonare quello stesso segnale da un virtuoso di flauto. Il soldato, sì, capisce che quello è il segnale del rancio, ma anche sente qualcosa d’altro (il valore musicale di quel segnale: il significante, si direbbe oggi), e certamente resterà interdetto (incantato ad ascoltarlo), anziché precipitarsi alla chiamata».

La produzione letteraria caproniana, sia in poesia che in prosa, riflette appieno la realtà italiana del Novecento. Qual è stato il suo sguardo sulla cultura e sulla società rispetto ad un’evoluzione soventemente sconfortante?

 

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Caproni, consapevole del male insito nell’esistere e anche di quello operato dagli essere umani, non era sostenuto da una fede religiosa, dunque il suo sguardo sulla realtà era privo di un conforto e di una speranza di risarcimento in alcun aldilà. Fece comunque la sua parte nel mondo, contribuendo come poteva secondo i suoi valori (il suo contributo alla Resistenza fu quello di riaprire la scuola per i figli dei contadini, quello alla società fu di curare le nuove generazioni con il suo lavoro di maestro), ma con il disincanto di chi appunto non si aspetta un senso ultraterreno al vivere, né di poter attribuire un senso alla vita terrena. Per dirla con le belle parole di Calvino, forse si dedicò a “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

La natia Livorno, gli anni Trenta a Genova, la seconda metà della vita vissuta a Roma. Qual è stato l’apporto dei luoghi nella formazione di Giorgio Caproni?

Per rispondere nel modo più adeguato lascio la parola allo stesso Caproni, citandone una lettera inedita del 1979 – e parzialmente pubblicata su “la Repubblica” del 6/10/2002 – scritta ad Attilio Bertolucci in occasione della pubblicazione, da parte di quest’ultimo, di Viaggio d’inverno

«La tua poesia, come una terra, come un’aria, come un paese antico e sempre nuovo della terra, non si legge, non è fatta di parole, si cammina, si respira, si guarda, si tocca, come una pietra della campagna, come una cupola della città o una ragazza o un bosco troppo profondo (troppo tremendamente vero […]) per poterlo “ridire”, perché si possa dire il perché di tanta naturale e mozione e verità. È come se dovessi dirti perché mi piace un albero o una marina o il pensiero di un antico saggio […]».

Credo che altrettanto Caproni avrebbe potuto dire della sua poesia, nella quale il paesaggio – e non solo le sue “città del cuore” (Genova e Livorno, a cui aggiungerei il borgo di Loco in cui ha scelto di essere sepolto) e la “necessaria” Roma, ma il mare, i paesi dell’entroterra ligure, i boschi… – entra sempre, come dato terreno in cui cercare ancoraggio al reale anche quando è in realtà metaforico (come le lande in cui si svolge la caccia alla fantomatica Bestia delle sue ultime produzioni). Lo sguardo di Caproni si sofferma sulla realtà e la appunta nei suoi versi, in modo più spiccatamente sensoriale nella sua prima produzione, ma comunque anche – pur se trasfigurata – nelle ultime raccolte. La conoscenza diretta, di impatto sensoriale, della vita, è stata fondamentale per tessere i suoi versi e non a caso, nel suo lessico, il campo semantico della percezione della realtà attraverso la vista è ampiamente rappresentato, con il ricorrere spesso ai verbi “guardare” e “vedere”, al vocabolo “occhi” e ai colori.

Lei reputa che chiunque, anche uno studente italiano, attingendo dal denso vocabolario caproniano, possa intraprendere ed ampliare la sua conoscenza della lingua italiana. Ebbene, qual è lo specifico linguistico di Giorgio Caproni?

 

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Caproni, soprattutto dopo il “primo tempo” della sua produzione poetica, ha indagato in particolare i temi del lutto, della negatività, del male e dunque ha sviluppato tutto un linguaggio – in termini di vocabolario e metafore – per esprimerli. In certe sue poesie si assiste ad un’evidente complicazione sintattica – e sono questi i temi proponibili a studenti madrelingua, assai adatti per chi desidera approfondire questa tematica, per verificare quanto la creatività di un poeta possa non discostarsi dal linguaggio quotidiano (per quanto riguarda sia il lessico, sia la costruzione dei periodi). Per quanto riguarda invece l’opportunità di usare testi di Caproni, opportunamente selezionati e “guidati”, agli studenti stranieri, soprattutto a questo argomento è dedicato il terzo capitolo del mio più recente libro, dove ho indicato alcuni esempi di suoi testi poetici utilizzabili per una specifica didattica rivolta a chi vuole imparare l’italiano (e conoscere l’Italia), non essendo questa la sua lingua madre.

Maria Teresa Caprile è stata professore a contratto di Letteratura italiana per stranieri dal 2011 al 2021 presso l’Università di Genova, dove pure è docente dal 2006 nei corsi di Lingua italiana per stranieri, ed è studiosa della Letteratura Italiana, materia nella quale ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l’Università di Granada. È autrice, in collaborazione con Francesco De Nicola, dei saggi-antologia “Italia chiamò”. 150 anni di storia italiana nelle pagine degli scrittori liguri (De Ferrari, 2010), Gli scrittori italiani e il Risorgimento (Ghenomena, 2011), Gli scrittori italiani e la Grande Guerra (ivi, 2014) e della monografia Giorgio Caproni (“Dante Alighieri”, 2012). Ha curato la ristampa dei romanzi La prova della fame (Gammarò, 2016) di Carlo Pastorino e Sissignora di Flavia Steno (De Ferrari, 2017) e l’edizione delle poesie di Riccardo Mannerini (ispiratore di alcune canzoni di Fabrizio De André) in Il viaggio e l’avventura (Liberodiscrivere, 2009). Per l’insegnamento dell’italiano a stranieri è autrice dei volumi Attraversiamo l’Italia! I nostri poeti per imparare l’italiano e amare l’Italia (Vannini, 2015) e In viaggio con i poeti (Gammarò, 2018) e, in collaborazione con Emanuela Cotroneo e Alessandra Giglio, Lezzioni di itagliano (ivi, 2012).



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Professoressa Caprile, Lei si richiama costantemente alle parole ed alle rime “chiare” ed “elementari” di Giorgio Caproni. Qual è il suo scopo? A chi lancia il guanto di sfida?

Le rime “chiare” ed “elementari” formate da analoghe parole sono alla base della poesia di Caproni e proprio dell’ampio uso di “lessico domestico” – dunque di un vocabolario concreto, come espressione della vita quotidiana – parlo diffusamente in un mio recente libro (La poesia di Giorgio Caproni per imparare l’italiano e per conoscere l’Italia, Sestri Levante, Gammarò, 2022), dimostrando, con una sorta di “censimento” delle parole da lui più usate, che la sua poesia è ordita con un linguaggio “pratico” e non aulico, distanziante e inaccessibile. Egli resterà comprensibile anche quando adotterà una forma metrica spezzata, con versi che sembrano perdersi nella vastità della pagina bianca, per esprimere la sua angoscia di trovarsi alle prese con una realtà intimamente inconoscibile e che dunque, inevitabilmente, sfugge al linguaggio e tuttavia continuerà a scrivere, contraddicendo dunque la sua tentazione al silenzio, il rischio dell’afasia. Con una lingua “quotidiana” – senza per questo rinunciare alla creazione di estrosi e comunque ben comprensibili neologismi – Caproni, come tutti i grandi poeti (e come i grandi cuochi, che dagli ingredienti più semplici preparano i piatti più prelibati e sorprendenti), ottiene un linguaggio poetico, insomma, sa declinare in poesia anche la lingua di tutti i giorni. Però, ben più persuasive e “chiare” delle mie osservazioni, ci sono le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Caproni nel suo intervento all’Università di Urbino del 1° dicembre 1984, quando fu insignito della laurea ad honorem in Lettere e Filosofia:

«Linguaggio pratico e linguaggio poetico usano lo stesso codice di convenuti segnali […]. Ma mentre nel linguaggio pratico il segnale acustico o grafico della parola resta stretto alla pura e semplice informazione, nel linguaggio poetico la parola stessa conserva, sì, il proprio senso letterale, ma anche si carica di una serie pressoché infinita di significati armonici che ne forma sua peculiare forza espressiva. Farò un esempio molto grossolano. Mi trovo in una caserma, dove ancora i segnali vengono trasmessi da una cornetta. La cornetta squilla il segnale del rancio, e il marmittone che conosce il codice prende la gavetta e si allinea nel cortile per ricevere la “sbobba”. Ma supponiamo che un estroso ufficiale, invece dalla solita cornetta, faccia suonare quello stesso segnale da un virtuoso di flauto. Il soldato, sì, capisce che quello è il segnale del rancio, ma anche sente qualcosa d’altro (il valore musicale di quel segnale: il significante, si direbbe oggi), e certamente resterà interdetto (incantato ad ascoltarlo), anziché precipitarsi alla chiamata».

La produzione letteraria caproniana, sia in poesia che in prosa, riflette appieno la realtà italiana del Novecento. Qual è stato il suo sguardo sulla cultura e sulla società rispetto ad un’evoluzione soventemente sconfortante?

 

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Caproni, consapevole del male insito nell’esistere e anche di quello operato dagli essere umani, non era sostenuto da una fede religiosa, dunque il suo sguardo sulla realtà era privo di un conforto e di una speranza di risarcimento in alcun aldilà. Fece comunque la sua parte nel mondo, contribuendo come poteva secondo i suoi valori (il suo contributo alla Resistenza fu quello di riaprire la scuola per i figli dei contadini, quello alla società fu di curare le nuove generazioni con il suo lavoro di maestro), ma con il disincanto di chi appunto non si aspetta un senso ultraterreno al vivere, né di poter attribuire un senso alla vita terrena. Per dirla con le belle parole di Calvino, forse si dedicò a “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

La natia Livorno, gli anni Trenta a Genova, la seconda metà della vita vissuta a Roma. Qual è stato l’apporto dei luoghi nella formazione di Giorgio Caproni?

Per rispondere nel modo più adeguato lascio la parola allo stesso Caproni, citandone una lettera inedita del 1979 – e parzialmente pubblicata su “la Repubblica” del 6/10/2002 – scritta ad Attilio Bertolucci in occasione della pubblicazione, da parte di quest’ultimo, di Viaggio d’inverno

«La tua poesia, come una terra, come un’aria, come un paese antico e sempre nuovo della terra, non si legge, non è fatta di parole, si cammina, si respira, si guarda, si tocca, come una pietra della campagna, come una cupola della città o una ragazza o un bosco troppo profondo (troppo tremendamente vero […]) per poterlo “ridire”, perché si possa dire il perché di tanta naturale e mozione e verità. È come se dovessi dirti perché mi piace un albero o una marina o il pensiero di un antico saggio […]».

Credo che altrettanto Caproni avrebbe potuto dire della sua poesia, nella quale il paesaggio – e non solo le sue “città del cuore” (Genova e Livorno, a cui aggiungerei il borgo di Loco in cui ha scelto di essere sepolto) e la “necessaria” Roma, ma il mare, i paesi dell’entroterra ligure, i boschi… – entra sempre, come dato terreno in cui cercare ancoraggio al reale anche quando è in realtà metaforico (come le lande in cui si svolge la caccia alla fantomatica Bestia delle sue ultime produzioni). Lo sguardo di Caproni si sofferma sulla realtà e la appunta nei suoi versi, in modo più spiccatamente sensoriale nella sua prima produzione, ma comunque anche – pur se trasfigurata – nelle ultime raccolte. La conoscenza diretta, di impatto sensoriale, della vita, è stata fondamentale per tessere i suoi versi e non a caso, nel suo lessico, il campo semantico della percezione della realtà attraverso la vista è ampiamente rappresentato, con il ricorrere spesso ai verbi “guardare” e “vedere”, al vocabolo “occhi” e ai colori.

Lei reputa che chiunque, anche uno studente italiano, attingendo dal denso vocabolario caproniano, possa intraprendere ed ampliare la sua conoscenza della lingua italiana. Ebbene, qual è lo specifico linguistico di Giorgio Caproni?

 

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Maria Teresa Caprile è stata professore a contratto di Letteratura italiana per stranieri dal 2011 al 2021 presso l’Università di Genova, dove pure è docente dal 2006 nei corsi di Lingua italiana per stranieri, ed è studiosa della Letteratura Italiana, materia nella quale ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l’Università di Granada. È autrice, in collaborazione con Francesco De Nicola, dei saggi-antologia “Italia chiamò”. 150 anni di storia italiana nelle pagine degli scrittori liguri (De Ferrari, 2010), Gli scrittori italiani e il Risorgimento (Ghenomena, 2011), Gli scrittori italiani e la Grande Guerra (ivi, 2014) e della monografia Giorgio Caproni (“Dante Alighieri”, 2012). Ha curato la ristampa dei romanzi La prova della fame (Gammarò, 2016) di Carlo Pastorino e Sissignora di Flavia Steno (De Ferrari, 2017) e l’edizione delle poesie di Riccardo Mannerini (ispiratore di alcune canzoni di Fabrizio De André) in Il viaggio e l’avventura (Liberodiscrivere, 2009). Per l’insegnamento dell’italiano a stranieri è autrice dei volumi Attraversiamo l’Italia! I nostri poeti per imparare l’italiano e amare l’Italia (Vannini, 2015) e In viaggio con i poeti (Gammarò, 2018) e, in collaborazione con Emanuela Cotroneo e Alessandra Giglio, Lezzioni di itagliano (ivi, 2012).



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