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Vincenzo Gueglio: Lorenzino e l’Apologia del tirannicidio
Horizonte di lunedì 14 novembre 2022
Ai visitatori della Galleria del Bargello di Firenze, guardando il busto del Bruto di Michelangelo, si ricorda che la scultura in realtà commemora Lorenzino de' Medici, una figura ormai molto dimenticata. Nelle parole di Horst Bredekamp

di Franca Janowski
Ai visitatori della Galleria del Bargello di Firenze, guardando il busto del Bruto di Michelangelo, si ricorda che la scultura in realtà commemora Lorenzino de' Medici, una figura ormai molto dimenticata. Nelle parole di Horst Bredekamp:

    "Michelangelo eresse un monumento a Bruto, difensore della Repubblica, ma instillò in lui, con le sembianze di Caracalla, i caratteri di quel potere contro cui era diretta l'azione di Bruto. Nel suo Bruto, che doveva servire da portatore di speranza, non si formulano certezze ma contraddizioni».1

L'opera d'arte di Michelangelo non va quindi intesa come un invito a uccidere un tiranno, ma come una riflessione sulla sua tragedia. Questo problema fa da sfondo al volume di Vincenzo Gueglio, che invita il lettore a interpretare un personaggio storico in modo non unidimensionale.

Già il lungo titolo richiama l'attenzione sulla rete di relazioni nella paternità e nella composizione di questo straordinario volume: autore, curatore, commentatore, testimonianze, documenti letterari e storici - come dovrebbe orientarsi il lettore nel labirinto di questo scritto, chi è chi : Teseo, Arianna, Minotauro o anche Minosse?

Alla magia accademica dell'opera si aggiunge la presenza in tutto il libro dell'autore Vincenzo Gueglio2, che non compare né in un'introduzione né in una postfazione, i cui compiti sono affidati al «saggio introduttivo di Francesca Russo». Come un capitano di mare, naviga astutamente tra le scogliere e, con numerose annotazioni e soprattutto con la magistrale selezione dei documenti, conduce il lettore sano e salvo nel porto della storia. In quest'opera Gueglio mostra la sua profonda conoscenza del materiale storico, filosofico e letterario e si mostra non come un editore nel senso consueto, ma come un vero e proprio autore. Nel ricostruire l'atto di Lorenzino de' Medici si tratta di un palinsesto che conserva tutti gli strati dell'esistenza, un metatesto complesso da cogliere come entità romanzata.

La domanda che il libro pone è scottante: chi uccide un tiranno è un eroe o un assassino? Da Bruto a Stauffenberg, non c'è consenso su questo. Nell'immaginario degli italiani la contesa si snoda intorno a due figure letterarie. Da una parte Bruto, l'assassino di Cesare, bandito da Dante come traditore nel più profondo cerchio dell'inferno, e dall'altra lo stesso Bruto come eroe malinconico nel poema Bruto minore di Giacomo Leopardi. Eccolo il rappresentante virtuoso dei valori repubblicani traditi dagli dei. Questo libro non prende posizione, eppure non rimane neutrale. Pertanto, la figura di Lorenzino de' Medici, la cui scrittura "Apologia del tirannicidio" costituisce il fulcro del volume, si presenta soprattutto come la creazione intellettuale dell'autore caratterizza le persone.

La lettura inizia con una sofisticata Premessa: Leopardis scambio epistolare con Pietro Giordani.3 Si deve allo scrittore e amico dei Recanati la riscoperta della scrittura di Lorenzino dopo secoli di oblio. Tale corrispondenza è di particolare importanza perché contiene un ingegnoso impegno per la forma autobiografica: una prima indicazione del rapporto ambiguo tra identità e alterità del personaggio letterario. Perché una scrittura autobiografica - lo sanno i lettori di Gueglio - è una "forma ambigua", mostra "lo spazio del possibile che non si è attuato".4

Le numerose fonti storiche utilizzate sono sempre basate su un documento storico, ma mirano a creare un personaggio letterario che sia 'più vero' di qualsiasi immagine fissa. Come spiega Francesca Russo nell'introduzione: "Gueglio intende oltrepassare i canoni della narrazione storica per restituire tutti gli effetti fondativi dell'ambivalente mito del 'Bruto toscano'" (p. 45).

L'evento storico è rapidamente riassunto. La notte del 6 gennaio 1537 Lorenzino de' Medici uccise a Firenze suo cugino e compagno di bevute, il duca Alessandro de' Medici. Il sovrano era probabilmente figlio illegittimo di papa Clemente VII, che lo aveva aiutato a prendere il potere, e marito di Margherita, figlia dell'imperatore Carlo V. L'omicidio, compiuto secondo tutte le regole dell'arte machiavellica, successe, all'Un


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Horizonte - lunedì 14 novembre 2022
Ai visitatori della Galleria del Bargello di Firenze, guardando il busto del Bruto di Michelangelo, si ricorda che la scultura in realtà commemora Lorenzino de' Medici, una figura ormai molto dimenticata. Nelle parole di Horst Bredekamp

di Franca Janowski
Ai visitatori della Galleria del Bargello di Firenze, guardando il busto del Bruto di Michelangelo, si ricorda che la scultura in realtà commemora Lorenzino de' Medici, una figura ormai molto dimenticata. Nelle parole di Horst Bredekamp:

    "Michelangelo eresse un monumento a Bruto, difensore della Repubblica, ma instillò in lui, con le sembianze di Caracalla, i caratteri di quel potere contro cui era diretta l'azione di Bruto. Nel suo Bruto, che doveva servire da portatore di speranza, non si formulano certezze ma contraddizioni».1

L'opera d'arte di Michelangelo non va quindi intesa come un invito a uccidere un tiranno, ma come una riflessione sulla sua tragedia. Questo problema fa da sfondo al volume di Vincenzo Gueglio, che invita il lettore a interpretare un personaggio storico in modo non unidimensionale.

Già il lungo titolo richiama l'attenzione sulla rete di relazioni nella paternità e nella composizione di questo straordinario volume: autore, curatore, commentatore, testimonianze, documenti letterari e storici - come dovrebbe orientarsi il lettore nel labirinto di questo scritto, chi è chi : Teseo, Arianna, Minotauro o anche Minosse?

Alla magia accademica dell'opera si aggiunge la presenza in tutto il libro dell'autore Vincenzo Gueglio2, che non compare né in un'introduzione né in una postfazione, i cui compiti sono affidati al «saggio introduttivo di Francesca Russo». Come un capitano di mare, naviga astutamente tra le scogliere e, con numerose annotazioni e soprattutto con la magistrale selezione dei documenti, conduce il lettore sano e salvo nel porto della storia. In quest'opera Gueglio mostra la sua profonda conoscenza del materiale storico, filosofico e letterario e si mostra non come un editore nel senso consueto, ma come un vero e proprio autore. Nel ricostruire l'atto di Lorenzino de' Medici si tratta di un palinsesto che conserva tutti gli strati dell'esistenza, un metatesto complesso da cogliere come entità romanzata.

La domanda che il libro pone è scottante: chi uccide un tiranno è un eroe o un assassino? Da Bruto a Stauffenberg, non c'è consenso su questo. Nell'immaginario degli italiani la contesa si snoda intorno a due figure letterarie. Da una parte Bruto, l'assassino di Cesare, bandito da Dante come traditore nel più profondo cerchio dell'inferno, e dall'altra lo stesso Bruto come eroe malinconico nel poema Bruto minore di Giacomo Leopardi. Eccolo il rappresentante virtuoso dei valori repubblicani traditi dagli dei. Questo libro non prende posizione, eppure non rimane neutrale. Pertanto, la figura di Lorenzino de' Medici, la cui scrittura "Apologia del tirannicidio" costituisce il fulcro del volume, si presenta soprattutto come la creazione intellettuale dell'autore caratterizza le persone.

La lettura inizia con una sofisticata Premessa: Leopardis scambio epistolare con Pietro Giordani.3 Si deve allo scrittore e amico dei Recanati la riscoperta della scrittura di Lorenzino dopo secoli di oblio. Tale corrispondenza è di particolare importanza perché contiene un ingegnoso impegno per la forma autobiografica: una prima indicazione del rapporto ambiguo tra identità e alterità del personaggio letterario. Perché una scrittura autobiografica - lo sanno i lettori di Gueglio - è una "forma ambigua", mostra "lo spazio del possibile che non si è attuato".4

Le numerose fonti storiche utilizzate sono sempre basate su un documento storico, ma mirano a creare un personaggio letterario che sia 'più vero' di qualsiasi immagine fissa. Come spiega Francesca Russo nell'introduzione: "Gueglio intende oltrepassare i canoni della narrazione storica per restituire tutti gli effetti fondativi dell'ambivalente mito del 'Bruto toscano'" (p. 45).

L'evento storico è rapidamente riassunto. La notte del 6 gennaio 1537 Lorenzino de' Medici uccise a Firenze suo cugino e compagno di bevute, il duca Alessandro de' Medici. Il sovrano era probabilmente figlio illegittimo di papa Clemente VII, che lo aveva aiutato a prendere il potere, e marito di Margherita, figlia dell'imperatore Carlo V. L'omicidio, compiuto secondo tutte le regole dell'arte machiavellica, successe, all'Un


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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