La ricerca della verità è l’unica cosa che rende liberi gli uomini, conferma Mino Lorusso nel suo In tela d’imperatore (Oltre Edizioni, Sestri Levante, agosto 2021, collana Narrazioni, 172 pagine). Verità nella fede, verità della scienza: due percorsi diversi per raggiungere lo stesso obiettivo, spesso irraggiungibile. Spiritualità e agnosticismo. Credere, non credere: in un romanzo storico a rimando tra due tempi - che si alternano nei capitoli, il XVIII secolo e il nostro - si specchiano due facce dell’eterna disciplina del dubbio. Il confronto tra religione e ateismo, tra il trascendente e l’immanente. Più che narrativa si direbbe una riflessione filosofica sulla verità, sempre sfuggente, in particolare nell’attuale presente.
Esperto d’arte contemporanea, Lorusso è giornalista di lungo corso della RAI in Umbria. Da scrittore, è autore di saggi di politica ed economia.
In questo testo a soggetto, ma con tanto spazio per il pensiero dei grandi e con frequenti dialoghi di natura teologica al limite del contraddittorio, mette allo specchio un inquisitore in Umbria nel 1789 e uno storico dell’arte ateo del 2018. Senza incontrarsi, a distanza di 250 anni, si ritrovano ad avere seriamente a che fare con la stessa vicenda, in cui non sembra facile separare la verità dalla superstizione e dal fanatismo religioso, soprattutto per quanto riguarda il settecentesco padre Gian Maria Crivelli di Milano, della Compagnia di Gesù. Inquisitore vicario a Perugia, indaga con severità sui presunti eventi prodigiosi legati a tre monache mistiche nel territorio diocesano perugino.
Il professore contemporaneo si ritrova a effettuare ricerche sul manufatto bisecolare rinvenuto durante lavori nella cripta della cattedrale di Narni: uno stendardo processionale che misura un metro per oltre un metro, il formato che nel Seicento veniva chiamato tela d’imperatore. Vi è ritratto un miracolo.
Entrambi, gesuita e professore, coltivano il dubbio, percorso obbligato secondo Sant’Agostino per raggiungere la verità. Anche per Socrate è un metodo di conoscenza, in quanto espressione della verità, che considera tale proprio perché capace di sottrarsi al dubbio. Questo vale per padre Crivelli, dal momento che il dubbio del moderno è più simile a quello cartesiano: la verità di per sé non può essere conosciuta se non si riesce a escludere l’errore e a confutarlo.
Quel gesuita inquisitore in Umbria è esistito davvero, come le tre professe soggette a fenomeni - anche le stigmate - alla verifica dei quali si è dedicato. Di fantasia invece lo storico dell’arte di origini pugliesi, fortemente attratto dal miracolo rappresentato sul telo alla sua attenzione, relativo alla Beata Lucia Broccadelli, nobile narnese vissuta tra il XV e il XVI secolo. Terziaria domenicana, ha ricevuto in vita i segni della Passione ed è stata beatificata nel 1710, da papa Clemente XI. L’iconografia la mostra segnata dalle stimmate, con il Bambinello tra le braccia, sospeso nell’aria.
Quello stesso miracolo mette in movimento padre Crivelli. Il 29 luglio 1739, qualcosa di straordinario, inverosimile e forse soprannaturale è accaduto a Annuccia, bimba di cinque anni, di una modesta famiglia di Narni. Nata “stroppia”, affetta da paralisi agli arti inferiori, non aveva mai camminato, finché non l’è apparsa una bella giovane, vestita da monaca, con un bambino in braccio, nei pressi della Chiesa del Suffragio, all’ombra di un grande gelso dove un fratello ha lasciato sola la piccola, allontanandosi a giocare.
Secondo la versione ecclesiastica ufficiale, approvata dal Sant’Uffizio, la domenicana col pargoletto era la beata Broccadelli. Al sentire che la piccola non poteva reggersi in piedi, le aveva toccato ginocchia e gambe, invitandola a camminare. Annuccia aveva sentito gli arti rinvigorire mentre l’apparizione spariva, dopo averle raccomandato “non ti scordare di me”.
Uno degli autori della relazione è l’inquisitore di Narni padre Palma da Civitavecchia, che il vescovo mons. Terzago mette a confronto con l’inquisitore convocato da Perugia, padre Crivelli. Dio non necessita di miracoli, sostiene il domenicano, richiamando le leggi naturali che regolano il mondo e sulle quali si fonda la missione di difensore della dottrina cristiana, controllore del volgo e cacciatore di eretici.
Nisi videritis signa, non creditis, "Se non vedete segni e prodigi voi non credete”
ribatte il gesuita. Sa che il popolo, rassegnato a ogni tipo di miseria, ricorre al divino e ai santi ausiliatori non per fede, quanto per la necessità di chiedere intercessioni e guarigioni.
Nulla è più oscuro della volontà di Dio e dei suoi disegni. Solo Lui può operare fuori dall’ordine stabilito, insiste Crivelli. Palma replica, sporgendosi da un pulpito immaginario, che non tutto ciò che desta meraviglia ed è straordinario può definirsi miracolo: le guarigioni non lo sono, nemmeno la creazione, né la resurrezione dei morti o il regno che verrà.
Queste discussioni e colte confutazioni sono totalmente scomparse nei tempi moderni, secondo Mino Lorusso. L’uomo non aspira più alla verità. Per secoli l’ha cercata nel passato, l’ha prevista nel futuro e si è sforzato di praticarla nel presente, ma oggi nessuno si nutre di curiosità fondamentali, non ci si domanda più niente, convinti che non servano risposte.
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