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In tela d’imperatore
Sololibri.net di lunedģ 2 gennaio 2023
Il dubbio: due facce dello stesso problema si specchiano in un lavoro tra romanzo storico e riflessione filosofica e in un percorso alla ricerca della veritą, a rimando tra due tempi, il XVIII secolo e il nostro

di Felice Laudadio

La ricerca della verità è l’unica cosa che rende liberi gli uomini, conferma Mino Lorusso nel suo In tela d’imperatore (Oltre Edizioni, Sestri Levante, agosto 2021, collana Narrazioni, 172 pagine). Verità nella fede, verità della scienza: due percorsi diversi per raggiungere lo stesso obiettivo, spesso irraggiungibile. Spiritualità e agnosticismo. Credere, non credere: in un romanzo storico a rimando tra due tempi - che si alternano nei capitoli, il XVIII secolo e il nostro - si specchiano due facce dell’eterna disciplina del dubbio. Il confronto tra religione e ateismo, tra il trascendente e l’immanente. Più che narrativa si direbbe una riflessione filosofica sulla verità, sempre sfuggente, in particolare nell’attuale presente.

Esperto d’arte contemporanea, Lorusso è giornalista di lungo corso della RAI in Umbria. Da scrittore, è autore di saggi di politica ed economia.
In questo testo a soggetto, ma con tanto spazio per il pensiero dei grandi e con frequenti dialoghi di natura teologica al limite del contraddittorio, mette allo specchio un inquisitore in Umbria nel 1789 e uno storico dell’arte ateo del 2018. Senza incontrarsi, a distanza di 250 anni, si ritrovano ad avere seriamente a che fare con la stessa vicenda, in cui non sembra facile separare la verità dalla superstizione e dal fanatismo religioso, soprattutto per quanto riguarda il settecentesco padre Gian Maria Crivelli di Milano, della Compagnia di Gesù. Inquisitore vicario a Perugia, indaga con severità sui presunti eventi prodigiosi legati a tre monache mistiche nel territorio diocesano perugino.

Il professore contemporaneo si ritrova a effettuare ricerche sul manufatto bisecolare rinvenuto durante lavori nella cripta della cattedrale di Narni: uno stendardo processionale che misura un metro per oltre un metro, il formato che nel Seicento veniva chiamato tela d’imperatore. Vi è ritratto un miracolo.
Entrambi, gesuita e professore, coltivano il dubbio, percorso obbligato secondo Sant’Agostino per raggiungere la verità. Anche per Socrate è un metodo di conoscenza, in quanto espressione della verità, che considera tale proprio perché capace di sottrarsi al dubbio. Questo vale per padre Crivelli, dal momento che il dubbio del moderno è più simile a quello cartesiano: la verità di per sé non può essere conosciuta se non si riesce a escludere l’errore e a confutarlo.
Quel gesuita inquisitore in Umbria è esistito davvero, come le tre professe soggette a fenomeni - anche le stigmate - alla verifica dei quali si è dedicato. Di fantasia invece lo storico dell’arte di origini pugliesi, fortemente attratto dal miracolo rappresentato sul telo alla sua attenzione, relativo alla Beata Lucia Broccadelli, nobile narnese vissuta tra il XV e il XVI secolo. Terziaria domenicana, ha ricevuto in vita i segni della Passione ed è stata beatificata nel 1710, da papa Clemente XI. L’iconografia la mostra segnata dalle stimmate, con il Bambinello tra le braccia, sospeso nell’aria.
Quello stesso miracolo mette in movimento padre Crivelli. Il 29 luglio 1739, qualcosa di straordinario, inverosimile e forse soprannaturale è accaduto a Annuccia, bimba di cinque anni, di una modesta famiglia di Narni. Nata “stroppia”, affetta da paralisi agli arti inferiori, non aveva mai camminato, finché non l’è apparsa una bella giovane, vestita da monaca, con un bambino in braccio, nei pressi della Chiesa del Suffragio, all’ombra di un grande gelso dove un fratello ha lasciato sola la piccola, allontanandosi a giocare.
Secondo la versione ecclesiastica ufficiale, approvata dal Sant’Uffizio, la domenicana col pargoletto era la beata Broccadelli. Al sentire che la piccola non poteva reggersi in piedi, le aveva toccato ginocchia e gambe, invitandola a camminare. Annuccia aveva sentito gli arti rinvigorire mentre l’apparizione spariva, dopo averle raccomandato “non ti scordare di me”.
Uno degli autori della relazione è l’inquisitore di Narni padre Palma da Civitavecchia, che il vescovo mons. Terzago mette a confronto con l’inquisitore convocato da Perugia, padre Crivelli. Dio non necessita di miracoli, sostiene il domenicano, richiamando le leggi naturali che regolano il mondo e sulle quali si fonda la missione di difensore della dottrina cristiana, controllore del volgo e cacciatore di eretici.

Nisi videritis signa, non creditis, "Se non vedete segni e prodigi voi non credete”

ribatte il gesuita. Sa che il popolo, rassegnato a ogni tipo di miseria, ricorre al divino e ai santi ausiliatori non per fede, quanto per la necessità di chiedere intercessioni e guarigioni.

Nulla è più oscuro della volontà di Dio e dei suoi disegni. Solo Lui può operare fuori dall’ordine stabilito, insiste Crivelli. Palma replica, sporgendosi da un pulpito immaginario, che non tutto ciò che desta meraviglia ed è straordinario può definirsi miracolo: le guarigioni non lo sono, nemmeno la creazione, né la resurrezione dei morti o il regno che verrà.
Queste discussioni e colte confutazioni sono totalmente scomparse nei tempi moderni, secondo Mino Lorusso. L’uomo non aspira più alla verità. Per secoli l’ha cercata nel passato, l’ha prevista nel futuro e si è sforzato di praticarla nel presente, ma oggi nessuno si nutre di curiosità fondamentali, non ci si domanda più niente, convinti che non servano risposte.



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Il dubbio: due facce dello stesso problema si specchiano in un lavoro tra romanzo storico e riflessione filosofica e in un percorso alla ricerca della veritą, a rimando tra due tempi, il XVIII secolo e il nostro

di Felice Laudadio

La ricerca della verità è l’unica cosa che rende liberi gli uomini, conferma Mino Lorusso nel suo In tela d’imperatore (Oltre Edizioni, Sestri Levante, agosto 2021, collana Narrazioni, 172 pagine). Verità nella fede, verità della scienza: due percorsi diversi per raggiungere lo stesso obiettivo, spesso irraggiungibile. Spiritualità e agnosticismo. Credere, non credere: in un romanzo storico a rimando tra due tempi - che si alternano nei capitoli, il XVIII secolo e il nostro - si specchiano due facce dell’eterna disciplina del dubbio. Il confronto tra religione e ateismo, tra il trascendente e l’immanente. Più che narrativa si direbbe una riflessione filosofica sulla verità, sempre sfuggente, in particolare nell’attuale presente.

Esperto d’arte contemporanea, Lorusso è giornalista di lungo corso della RAI in Umbria. Da scrittore, è autore di saggi di politica ed economia.
In questo testo a soggetto, ma con tanto spazio per il pensiero dei grandi e con frequenti dialoghi di natura teologica al limite del contraddittorio, mette allo specchio un inquisitore in Umbria nel 1789 e uno storico dell’arte ateo del 2018. Senza incontrarsi, a distanza di 250 anni, si ritrovano ad avere seriamente a che fare con la stessa vicenda, in cui non sembra facile separare la verità dalla superstizione e dal fanatismo religioso, soprattutto per quanto riguarda il settecentesco padre Gian Maria Crivelli di Milano, della Compagnia di Gesù. Inquisitore vicario a Perugia, indaga con severità sui presunti eventi prodigiosi legati a tre monache mistiche nel territorio diocesano perugino.

Il professore contemporaneo si ritrova a effettuare ricerche sul manufatto bisecolare rinvenuto durante lavori nella cripta della cattedrale di Narni: uno stendardo processionale che misura un metro per oltre un metro, il formato che nel Seicento veniva chiamato tela d’imperatore. Vi è ritratto un miracolo.
Entrambi, gesuita e professore, coltivano il dubbio, percorso obbligato secondo Sant’Agostino per raggiungere la verità. Anche per Socrate è un metodo di conoscenza, in quanto espressione della verità, che considera tale proprio perché capace di sottrarsi al dubbio. Questo vale per padre Crivelli, dal momento che il dubbio del moderno è più simile a quello cartesiano: la verità di per sé non può essere conosciuta se non si riesce a escludere l’errore e a confutarlo.
Quel gesuita inquisitore in Umbria è esistito davvero, come le tre professe soggette a fenomeni - anche le stigmate - alla verifica dei quali si è dedicato. Di fantasia invece lo storico dell’arte di origini pugliesi, fortemente attratto dal miracolo rappresentato sul telo alla sua attenzione, relativo alla Beata Lucia Broccadelli, nobile narnese vissuta tra il XV e il XVI secolo. Terziaria domenicana, ha ricevuto in vita i segni della Passione ed è stata beatificata nel 1710, da papa Clemente XI. L’iconografia la mostra segnata dalle stimmate, con il Bambinello tra le braccia, sospeso nell’aria.
Quello stesso miracolo mette in movimento padre Crivelli. Il 29 luglio 1739, qualcosa di straordinario, inverosimile e forse soprannaturale è accaduto a Annuccia, bimba di cinque anni, di una modesta famiglia di Narni. Nata “stroppia”, affetta da paralisi agli arti inferiori, non aveva mai camminato, finché non l’è apparsa una bella giovane, vestita da monaca, con un bambino in braccio, nei pressi della Chiesa del Suffragio, all’ombra di un grande gelso dove un fratello ha lasciato sola la piccola, allontanandosi a giocare.
Secondo la versione ecclesiastica ufficiale, approvata dal Sant’Uffizio, la domenicana col pargoletto era la beata Broccadelli. Al sentire che la piccola non poteva reggersi in piedi, le aveva toccato ginocchia e gambe, invitandola a camminare. Annuccia aveva sentito gli arti rinvigorire mentre l’apparizione spariva, dopo averle raccomandato “non ti scordare di me”.
Uno degli autori della relazione è l’inquisitore di Narni padre Palma da Civitavecchia, che il vescovo mons. Terzago mette a confronto con l’inquisitore convocato da Perugia, padre Crivelli. Dio non necessita di miracoli, sostiene il domenicano, richiamando le leggi naturali che regolano il mondo e sulle quali si fonda la missione di difensore della dottrina cristiana, controllore del volgo e cacciatore di eretici.

Nisi videritis signa, non creditis, "Se non vedete segni e prodigi voi non credete”

ribatte il gesuita. Sa che il popolo, rassegnato a ogni tipo di miseria, ricorre al divino e ai santi ausiliatori non per fede, quanto per la necessità di chiedere intercessioni e guarigioni.

Nulla è più oscuro della volontà di Dio e dei suoi disegni. Solo Lui può operare fuori dall’ordine stabilito, insiste Crivelli. Palma replica, sporgendosi da un pulpito immaginario, che non tutto ciò che desta meraviglia ed è straordinario può definirsi miracolo: le guarigioni non lo sono, nemmeno la creazione, né la resurrezione dei morti o il regno che verrà.
Queste discussioni e colte confutazioni sono totalmente scomparse nei tempi moderni, secondo Mino Lorusso. L’uomo non aspira più alla verità. Per secoli l’ha cercata nel passato, l’ha prevista nel futuro e si è sforzato di praticarla nel presente, ma oggi nessuno si nutre di curiosità fondamentali, non ci si domanda più niente, convinti che non servano risposte.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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