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Il mostro di Sarzana: i cinque omicidi di Vizzardelli finiscono in un libro
La nazione di gioved 26 gennaio 2023
Il serial killer all'epoca dei due primi delitti aveva 14 anni

Vanessa Isoppo

La Spezia, 23 gennaio 2023 – Cinque omicidi compiuti da un ragazzino di quattordici anni sconvolsero la vita di Sarzana tra il 1937 e il 1939. Vanessa Isoppo ha scritto un libro 'G.W.Vizzardelli – Analisi psico-criminologica di un serial killer adolescente' – con la prefazione di Marco Buticchi – su questo incredibile fatto di cronaca che è stato presentato qualche giorno fa dall'autrice alla libreria Liberi tutti alla Spezia (e nei mesi scorsi a Vezzano e Ameglia, fra l'altro). I giornali di allora l'avevano soprannominato 'Il mostro di Sarzana'.

Un ragazzino, neanche maggiorenne, poco più che bambino al momento dei primi due delitti. L'autrice ha al merito di riportare alla luce un caso antico, con le lenti delle leggi e della psico-criminologia dei giorni nostri. Vizzardelli, condannato all'ergastolo con sentenza definitiva nel 1941, si suicidò l'11 agosto 1973, cinque anni dopo avere ottenuto la libertà condizionale nel luglio 1968.

“A 51 anni, nel giorno in cui gli comunicarono che finalmente era un uomo completamente libero – scrive l'autrice sarzanese, già docente di Psicologia generale all'Università di Genova e specializzata in Scienze Criminologico-Forensi - che aveva espiato la sua pena, che non doveva più firmare il registro in caserma ogni domenica, si uccise, tagliandosi ai polsi e al collo, senza disturbare nessuno, lasciando tutto pulito e ordinato, scusandosi ancora in un bigliettino con la sorella per quell'ultimo disturbo”. Ottenne la grazia dal Presidente della Repubblica Saragat nel 1968 e si suicidò a Carrara nel 1973.

In carcere  imparò perfettamente l'inglese al punto da leggere Shakespeare in lingua originale. “Shakespeare – scrisse Vizzardelli al criminologo Franchini – mi ha avvinto sin dalla prima volta che ho letto le sue opere, il che avvenne nel 1941 e più lo leggo e più mi piace. Shakespeare, contrariamente a quanto i critici vogliono asserire, in tutte le sue tragedie imposta dei problemi psicologici che sono di imperituro interesse appunto perché riguardano l'animo umano nei suoi più profondi recessi, e l'animo umano rimane oggi quello che era un tempo”.

Proprio il criminologo Franchini si chiese dieci anni dopo i delitti: "Come è possibile che un ragazzo che a 18 anni era apparso freddo, egocentrico, privo di sentimenti morali, di compassione per le vittime, di capacità empatiche, a 26 anni fosse così cambiato, presentando un importante movimento della sfera emotivo-affettiva, uno spiccato sentimento di aspirazione all'elevamento culturale, una capacità di districare dalla confusione iniziale sentimenti familiari e amicali così profondi?". Franchini ipotizzò che "la passione per lo studio e per la lettura fosse alla base della sua importante evoluzione".

Oggi al minorenne Vizzardelli sarebbe stato impossibile comminare la pena dell'egastolo. Isoppo dà la parola al magistrato Maurizio Caporuscio: “Fino al 1994 poteva accadere che il minore venisse condannato alla pena perpetua sia, come Vizzardelli, in caso di imputazione plurime, sia anche per un singolo omicidio pluriaggravato. La Corte Costituzionale, con la storica sentenza 168 del 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli del codice di procedura penale nella parte in cui tali norme non escludono l'applicazione della pena dell'ergastolo al minore imputabile. A seguito di tale pronuncia, il minore, pur se ritenuto responsabile, come nel caso del Vizzardelli, di una pluralità di efferati omicidi, non può in nessun caso essere condannato alla pena perpetua”.

Alla luce della scienza psico-criminologica odierna, Vanessa Isoppo conclude così l'analisi del caso Vizzardelli: “Vizzardelli ha ucciso alla stessa età in cui oggi i ragazzini imbracciano un'arma solo nei videogiochi e mi è venuto spontaneo pensare a lui come alla sesta vittima. Vittima della violenza che conobbe nell'infanzia. Infatti è bastato che in carcere imparasse un altro linguaggio, quello della bellezza che deriva dalla letteratura, per diventare una persona nuova, diversa. Oggi, per fortuna, è impensabile la condanna all'ergastolo di un minorenne”.



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Il serial killer all'epoca dei due primi delitti aveva 14 anni

Vanessa Isoppo

La Spezia, 23 gennaio 2023 – Cinque omicidi compiuti da un ragazzino di quattordici anni sconvolsero la vita di Sarzana tra il 1937 e il 1939. Vanessa Isoppo ha scritto un libro 'G.W.Vizzardelli – Analisi psico-criminologica di un serial killer adolescente' – con la prefazione di Marco Buticchi – su questo incredibile fatto di cronaca che è stato presentato qualche giorno fa dall'autrice alla libreria Liberi tutti alla Spezia (e nei mesi scorsi a Vezzano e Ameglia, fra l'altro). I giornali di allora l'avevano soprannominato 'Il mostro di Sarzana'.

Un ragazzino, neanche maggiorenne, poco più che bambino al momento dei primi due delitti. L'autrice ha al merito di riportare alla luce un caso antico, con le lenti delle leggi e della psico-criminologia dei giorni nostri. Vizzardelli, condannato all'ergastolo con sentenza definitiva nel 1941, si suicidò l'11 agosto 1973, cinque anni dopo avere ottenuto la libertà condizionale nel luglio 1968.

“A 51 anni, nel giorno in cui gli comunicarono che finalmente era un uomo completamente libero – scrive l'autrice sarzanese, già docente di Psicologia generale all'Università di Genova e specializzata in Scienze Criminologico-Forensi - che aveva espiato la sua pena, che non doveva più firmare il registro in caserma ogni domenica, si uccise, tagliandosi ai polsi e al collo, senza disturbare nessuno, lasciando tutto pulito e ordinato, scusandosi ancora in un bigliettino con la sorella per quell'ultimo disturbo”. Ottenne la grazia dal Presidente della Repubblica Saragat nel 1968 e si suicidò a Carrara nel 1973.

In carcere  imparò perfettamente l'inglese al punto da leggere Shakespeare in lingua originale. “Shakespeare – scrisse Vizzardelli al criminologo Franchini – mi ha avvinto sin dalla prima volta che ho letto le sue opere, il che avvenne nel 1941 e più lo leggo e più mi piace. Shakespeare, contrariamente a quanto i critici vogliono asserire, in tutte le sue tragedie imposta dei problemi psicologici che sono di imperituro interesse appunto perché riguardano l'animo umano nei suoi più profondi recessi, e l'animo umano rimane oggi quello che era un tempo”.

Proprio il criminologo Franchini si chiese dieci anni dopo i delitti: "Come è possibile che un ragazzo che a 18 anni era apparso freddo, egocentrico, privo di sentimenti morali, di compassione per le vittime, di capacità empatiche, a 26 anni fosse così cambiato, presentando un importante movimento della sfera emotivo-affettiva, uno spiccato sentimento di aspirazione all'elevamento culturale, una capacità di districare dalla confusione iniziale sentimenti familiari e amicali così profondi?". Franchini ipotizzò che "la passione per lo studio e per la lettura fosse alla base della sua importante evoluzione".

Oggi al minorenne Vizzardelli sarebbe stato impossibile comminare la pena dell'egastolo. Isoppo dà la parola al magistrato Maurizio Caporuscio: “Fino al 1994 poteva accadere che il minore venisse condannato alla pena perpetua sia, come Vizzardelli, in caso di imputazione plurime, sia anche per un singolo omicidio pluriaggravato. La Corte Costituzionale, con la storica sentenza 168 del 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli del codice di procedura penale nella parte in cui tali norme non escludono l'applicazione della pena dell'ergastolo al minore imputabile. A seguito di tale pronuncia, il minore, pur se ritenuto responsabile, come nel caso del Vizzardelli, di una pluralità di efferati omicidi, non può in nessun caso essere condannato alla pena perpetua”.

Alla luce della scienza psico-criminologica odierna, Vanessa Isoppo conclude così l'analisi del caso Vizzardelli: “Vizzardelli ha ucciso alla stessa età in cui oggi i ragazzini imbracciano un'arma solo nei videogiochi e mi è venuto spontaneo pensare a lui come alla sesta vittima. Vittima della violenza che conobbe nell'infanzia. Infatti è bastato che in carcere imparasse un altro linguaggio, quello della bellezza che deriva dalla letteratura, per diventare una persona nuova, diversa. Oggi, per fortuna, è impensabile la condanna all'ergastolo di un minorenne”.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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